La nuova bozza di politica della Banca Europea degli Investimenti (Bei) prevede uno stop deciso ai prestiti per progetti legati all’energia fossile. Ma l’Italia non ha ancora chiarito la sua posizione, potrebbe anche unirsi alla Polonia e ad altri per bocciarla. Negli ultimi dieci anni, solo per il comparto energetico, all’Italia sono arrivati 17,5 miliardi di euro, circa 6 sono andati a finanziare le infrastrutture della rete elettrica, mentre 4,5 sono stati assorbiti dal settore dei combustibili fossili, soprattutto gas. Le fonti fossili devono restare sottoterra se vogliamo provare ad evitare le ripercussioni più gravi del riscaldamento globale
La decisione finale verrà presa probabilmente nel prossimo vertice Ecofin del 10 ottobre, ma per capire cosa ne sarà della svolta “verde” della Banca Europea per gli Investimenti è un’altra la casella del calendario da tenere d’occhio. Il 10 settembre, a Zagabria, si riunirà infatti il Board of Directors della Bei, composto dai direttori generali dei Ministeri delle finanze che, per conto degli Stati membri dell’Ue, si occupano di valutare strategie e politiche dell’istituto.
All’ordine del giorno di quel meeting c’è il parere sulla nuova bozza di policy della Bei sui prestiti, che entrerà in vigore a fine 2020. Un documento chiave per le politiche energetiche europee, perché allo stato attuale prevede un forte stop al finanziamento di progetti legati ai combustibili fossili. Tradotto: niente più denaro all’estrazione di idrocarburi, alle miniere di carbone, a gasdotti e rigassificatori o centrali termoelettriche ad alimentazione fossile. Si tratta di un cambio di strategia inedito per l’istituto, che in questi anni ha elargito cifre considerevoli all’industrie del carbone, del gas e del petrolio. Anche nel nostro paese, secondo solo alla Spagna per finanziamenti Bei nel 2018 (7,3 miliardi).
L’Italia detiene il 16% del capitale della Bei, come Francia, Germania e Regno Unito. Questo peso finanziario all’interno dell’istituto si riflette sulla governance, poiché chi più paga, più conta. Ora la domanda è: cosa pensa il nostro paese della nuova strategia sui finanziamenti? È pronto ad approvarla o si schiererà a fianco della Polonia e degli stati membri più conservatori in tema di politiche climatiche? Domande che abbiamo posto a Gelsomina Vigliotti, capo della Direzione generale per i rapporti finanziari internazionali del Mef. Tuttavia, il Ministero non ha risposto alle ripetute richieste di commento. Negli ultimi giorni, i vertici di Partito democratico e Movimento 5 Stelle, impegnati nella trattativa per formare il governo, hanno annunciato «un’ampia convergenza sui punti dell’agenda ambientale», ma non hanno chiarito se fra questi c’è la decarbonizzazione della Banca europea per gli investimenti.
«È preoccupante che il Ministero non abbia ancora chiarito la sua posizione sulla decarbonizzazione della Bei – commenta Elena Gerebizza, ricercatrice e campaigner dell’associazione Re:Common – In questo vuoto politico rischiano di inserirsi gli interessi dell’industria fossile, soprattutto del gas, che ha obiettivi molto diversi dall’interesse generale. La banca pubblica dell’Ue può svolgere un ruolo chiave nel facilitare una trasformazione nei paesi più vincolati alle fossili. In questi giorni si decide come lo farà, se mettendo avanti gli interessi del pianeta e dei suoi abitanti, o quelli dell’industria del gas, che per decenni ha beneficiato del sostegno economico e delle garanzie offerte dalla Bei».
Negli ultimi dieci anni, solo per il comparto energetico, all’Italia sono arrivati 17,5 miliardi di euro dall’istituto. Di questi, circa 6 miliardi sono andati a finanziare le infrastrutture della rete elettrica, mentre 4,5 sono stati assorbiti dal settore dei combustibili fossili. Gas soprattutto, ma anche carbone e petrolio. Quella dei prestiti fossili, però, è un’epoca da lasciarsi alle spalle quanto prima, se è vero che – per evitare cambiamenti climatici devastanti – gli esperti delle Nazioni Unite raccomandano di tagliare le emissioni medie globali del 40-60% rispetto ai livelli del 2010, per azzerarle alla metà del secolo.
L’Unione Europea, e con essa l’Italia, non possono tirarsi indietro: nel 2015 hanno sottoscritto l’accordo di Parigi, che richiede ai contraenti di fare ogni possibile sforzo per evitare un riscaldamento globale superiore a 1,5 °C entro il 2100. La decarbonizzazione è un processo complicato, che richiede molto denaro pubblico e politiche drastiche per riorientare gli investimenti nei settori strategici: energie rinnovabili, efficienza energetica, reti di distribuzione, sistemi di stoccaggio.
«Se i 4,5 miliardi dati alle fossili italiane dalla Bei fossero dirottati sulle rinnovabili o su attività volte alla transizione energetica sarebbe un segnale importante – afferma Claudio Magliulo del movimento globale per il clima 350.org – Per questo è fondamentale approvare la nuova bozza di policy al più presto e senza annacquamenti. Immaginiamo quante cose si potrebbero fare se questo flusso di denaro fosse vincolato a una strategia per la decarbonizzazione dell’economia, il che significa prima di tutto lasciare tutti i combustibili fossili, gas incluso, dove si trovano: sottoterra».
Eppure, ad oggi l’Italia non ha dato un disegno all’altezza della sfida. Il Piano nazionale integrato energia e clima, che guarda proprio al 2030, è stato accolto con freddezza dalla Commissione Europea perché basato su una «centralità del gas nel futuro mix energetico» che «sembra essere in contraddizione con gli obiettivi dichiarati di decarbonizzazione». È un piano a tutto gas, che piace ai colossi italiani: Eni con la scoperta dell’enorme giacimento di Zohr nelle acque egiziane, Enel con i progetti di conversione al gas di quattro centrali a carbone entro il 2025 e Snam con gli investimenti in gasdotti nel Centro Italia e nel Mezzogiorno. Ma le fonti fossili devono restare sottoterra se vogliamo evitare le ripercussioni più gravi del riscaldamento globale. Per questo numerose organizzazioni ambientaliste come 350.org hanno ingaggiato una battaglia per tagliare i legami finanziari fra queste industrie inquinanti e gli istituti di credito, pubblici e privati. Di qui la nuova bozza di policy sui finanziamenti della Banca Europea per gli Investimenti, che solo lo scorso anno aveva approvato un prestito da 1,5 miliardi per il Tap, il gasdotto transadriatico che fa parte di un mega-tubo fra l’Azerbaijan e la Puglia. L’onda lunga delle pressioni ecologiste ha portato la nuova presidente della Commissione Europea, Ursula Von der Leyen, ad annunciare la conversione della Bei in una «banca per il clima». Quanto potrà incidere questo cambio di rotta su una politica energetica italiana che sta gettando le basi per legarsi a doppio filo alle importazioni di gas nei prossimi decenni?
«Una solida transizione energetica finanziata in parte dall’Europa tramite la sua banca di investimento ci renderebbe meno dipendenti da importazioni di combustibili fossili, determinando una minore esposizione alle tensioni geopolitiche – spiega Luca Bergamaschi, analista di E3G, un think tank europeo sui cambiamenti climatici – Oggi possiamo abbandonare il carbone senza passare dal gas. Non abbiamo bisogno di nuovi impianti né infrastrutture di trasporto: la capacità esistente può supportare la transizione, se investiamo a sufficienza in energie rinnovabili, efficienza e sistemi di gestione intelligente della domanda che aiutino a bilanciare la rete elettrica quando ci sono picchi positivi e negativi dell’offerta».
L’Italia potrebbe avere un interesse particolare nel pianificare azioni radicali per la decarbonizzazione. L’aumento delle temperature nel nostro paese, infatti, può avere impatti gravi nel Mezzogiorno, con la desertificazione di ampie aree agricole e conseguenti cali della produzione di cibo. «Se il clima fosse una banca, lo avremmo già salvato», recita uno slogan utilizzato dai movimenti ambientalisti. Se l’Italia sceglierà di cambiare la Bei il prossimo 10 settembre, forse questa volta una banca potrebbe rendere al clima un favore.
Articolo pubblicato anche sulla Stampa sessione TuttoGreen, qui con il consenso dell’autore
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