La frana nella Savoia francese e le precipitazioni nelle regioni del Nord di queste ore vengono raccontate come eventi improvvisi e imprevedibili. Eppure perfino i ricercatori di Ispra (ente governativo) sottolineano da anni come, tra i fattori più importanti per l’innesco dei fenomeni franosi siano stati, negli ultimi decenni, i fattori antropici, in particolare tagli stradali, scavi, eccessiva costruzione di edifici, prosciugamento delle falde acquifere. Mentre i grandi media parlano di maltempo, scrivono i No tav, quantità enormi di soldi pubblici vengono utilizzati per fare grandi opere inutili sotto le montagne, nei mari o nelle lagune
Nelle ultime settimane l’Alta Valle di Susa è stata scenario di diversi eventi di dissesto idrogeologico causati dalle abbondanti piogge che in breve tempo sono cadute su terreni secchi e aridi provocando esondazioni e grosse frane. La prima a Bardonecchia, dove il fiume principale è esondato travolgendo con fango e detriti la parte bassa del paese. La seconda, pochi giorni fa, ha interdetto l’ingresso della Valle Argentera in seguito al rigonfiamento del torrente Ripa, bloccando un centinaio di persone che sono poi state portate a Valle con l’elisoccorso. Nella giornata di ieri (27 agosto), invece, le forti piogge hanno generato una frana di grandi dimensioni nel territorio della Maurienne, all’altezza del Comune di Freney, nella Savoia francese. Un primo blocco di pietre è scivolato dal dirupo e finendo sulla strada provinciale. Successivamente, c’è stato il secondo evento di maggior impatto, con il crollo di quasi 700 metri cubi di materiale roccioso dalla montagna, che si è riversato sull’A43 fortunatamente senza il coinvolgimento di persone.
Le forti precipitazioni hanno però imperversato anche in altre regioni come Liguria, Trentino Alto Adige e Veneto e in molte città italiane è stata diramata l’allerta meteo senza per fortuna provocare grossi danni.
A Genova, in un’ora sono caduti 80 millimetri di acqua arrivando a fermare la circolazione della metropolitana e allagando la stazione di Genova Principe mentre diversi fulmini hanno disconnesso gli impianti ferroviari a Novi Ligure. Allagata anche Rapallo dove, in un ora, si sono accumulati oltre 65 millimetri di pioggia mista a grandine. I frequenti blackout elettrici hanno mandato in tilt l’impianto di collettamento delle acque bianche, che avrebbe dovuto evitare gli allagamenti.
Diversi eventi sono accaduti anche in Trentino dove le forti precipitazioni hanno provocato un grosso smottamento in val Genova. L’origine a circa 2mila metri d’altezza, forse a causa dello scioglimento del ghiacciaio. Una frana, invece, ha interdetto la viabilità sulla strada provinciale tra Verona e Trento.
Forti temporali anche in Veneto, a Venezia è prevista pioggia per oltre 100 centimetri, che farà andare sott’acqua Piazza San Marco.
Leggendo le testate nazionali queste drammatiche notizie sono da imputarsi a un’ondata di “maltempo” come se il sole fosse buono e le piogge cattive. Come se i fenomeni climatici fossero nemici colpevoli di voler distruggere territori e danneggiare le persone. Sorge spontanea la domanda, a chi fa comodo questo genere di narrazione? Forse a una classe politica che da anni continua a rincorrere le emergenze senza mai davvero fermarsi ed entrare nel merito delle questioni? Forse ad una giunta regionale, quella piemontese, che nel 2023 bandisce 5milioni di euro per i lavori di dissesto in ambito montano, collinare e lungo le sponde dei fiumi per “promuovere l’adattamento ai cambiamenti climatici”.
“Promuovere l’adattamento ai cambiamenti climatici”, avete letto bene. Se 5milioni di euro per la messa in sicurezza dei territori su tutta la regione Piemonte, possono sembrare un buon investimento, ci teniamo a precisare che solo per la galleria di servizio della Torino-Lione a Chiomonte, ne spenderemmo 40milioni.
Questi fenomeni vengono sempre descritti come improvvisi e imprevedibili da non permettere la pianificazione di investimenti a lungo termine con budget appropriati, motivo per cui vengono poi stanziati fondi emergenziali con tanto di “stato di allerta” proclamato nelle regioni colpite, ci ricordiamo bene dell’Emilia Romagna e della Lombardia solo per fare due esempi recenti.
Alla classe dirigente basterebbe guardare alcuni report degli Istituti Italiani che di questo si occupano.
Secondo il Rapporto sul Dissesto idrogeologico del 2018, redatto dall’Istituto Superiore per la Protezione Ambientale (Ispra): in ben nove regioni, il rischio idrogeologico è presente nel 100% dei comuni. Sono Valle D’Aosta, Liguria, Emilia-Romagna, Toscana, Umbria, Marche, Molise, Basilicata e Calabria. Mentre Abruzzo, Lazio, Piemonte, Campania, Sicilia e Provincia di Trento hanno percentuali di comuni a rischio tra il 90% e il 100%. I dati del Rapporto dicono che delle oltre 900mila frane censite nelle banche dati degli Stati europei, quasi due terzi sono italiane. 620.808 episodi che hanno coinvolto il 7,9% del territorio della Penisola.
I ricercatori di Ispra sottolineano come, tra i fattori più importanti per l’innesco dei fenomeni franosi, oltre le precipitazioni brevi e intense, quelle persistenti e i terremoti, siano stati, negli ultimi decenni, i fattori antropici, in particolare tagli stradali, scavi, l’eccessiva costruzione di edifici, spesso sorti abusivamente e il prosciugamento delle falde acquifere sotterranee. Tanto per fare degli esempi, nel 2013, a causa del prosciugamento delle falde acquifere e dell’instabilità del terreno conseguenti ai lavori del tunnel della ferrovia per l’alta velocità Firenze-Bologna (Tav), le pareti della scuola media Ottone Rosai di Firenze si erano pericolosamente crepate ma la struttura non ha ceduto. Su questa linea ora si indaga non solo per il prosciugamento dei corsi d’acqua, sorgenti e acquedotti ma anche per frode e corruzione. Per la Corte dei conti i lavori hanno causato un danno erariale di 13,5 milioni di euro. Lo stesso dissesto idrogeologico rischia di ripetersi anche in Val di Susa a causa dei lavori legati alla ferrovia Torino-Lione. Le conseguenze sono prevedibili osservando i precedenti lavori in valle, come il raddoppio della ferrovia Torino-Modane che ha provocato la scomparsa di 24 sorgenti, le gallerie dell’autostrada tra Exilles e la val Cenischia hanno fatto sparire altre 16 sorgenti, i lavori della centrale elettrica di Pont Ventoux un’altra decina. Sono tutti lavori in galleria che hanno bucato lo stesso massiccio in cui si sta scavando il tunnel della Torino-Lione. A segnalarlo è Massimo Zucchetti, professore del Politecnico di Torino che da anni si occupa dell’impatto dell’alta velocità in valle.
La perdita di pressione causata dagli scavi delle gallerie porta ad altrettante cospicue perdite d’acqua e gli stessi proponenti dell’opera hanno stimato che solo le due gallerie della tratta internazionale (il tunnel di base e il tunnel di Bussoleno) drenerebbero le falde per un totale compreso tra i 60 e i 125 milioni di metri cubi di acqua l’anno, comparabile alla fornitura necessaria a una città di circa un milione di abitanti, come Torino. L’analisi è fornita dall’International consulting group, organo incaricato dalla direzione generale Trasporti ed Energia della Commissione europea che ha indicato come il drenaggio delle acque sotterranee sia “tutt’altro che trascurabile”.
Continuano a chiamarlo maltempo ma la verità è che i soldi pubblici vengono buttati in enormi voragini, sotto le nostre montagne, nei mari o nelle lagune, nelle grandi opere inutili che devastano il territorio esistente in favore di benefici futuri che, come il MOSE a Venezia, non fanno altro che fare più danni.
Fonte: Notav.info
Valdo Federico Marchetti dice
Le cose sensate, scritte in quest’articolo, non vengono prese in considerazione dai decisori delle opere xchè rappresentano dei granelli di sabbia negli ingranaggi della macchina dalla quale escono lucrosissimi compensi