
Eppure “cumpiatiscə”. Nel mio dialetto (salentino, ndr) viene usato spesso. Con un unico significato, quello di comprendere, capire, e quindi, se si è capaci, di perdonare. Non la pietà che nasconde una evidente superiorità di stato. Per lo stesso motivo non il commiserare. Il nudo e crudo di ognuno, che dilata l’umano, gli fa posto, in un riconoscimento reciproco della comune fragilità, l’essere nulla tra solitudine errori angoscia e speranza. “Sotto la stessa calamità, era qui un altro patire, per dir così, un altro languire, … un altro compatirsi e soccorrersi a vicenda” diceva Manzoni.
Normalmente è troppo pensare di poter patire, quindi soffrire, insieme ad un altro che è lontano, sconosciuto, diverso. Eppure. È quel normalmente che va ripensato, quel normalmente perché cosi fan tutti e ci porterebbe a vivere come le maggioranze vogliono, e pensare invece quanto mondo c’è nell’insolito, nel diverso, l’eccezione che può oppure no confermare la regola che ci siamo dati.
Non so quanto “ni cumpiatimi” gli uni con gli altri, nei tempi dell’odio e della cattiveria al potere. Eppure. Siamo chiamati non so da chi – coscienza Dio valori giustizia un’idea diversa di comunità e di politica – a rimanere saldi, a capire le ragioni del bene e del male, a restare fedeli alle prime, a non assomigliare nelle parole e nei modi a chi vorremmo avversare. Nessuna mollezza morale, nessun cedimento alle ragioni dei più forti e dei più potenti, nessuna giustificazione del disumano, è coltivare invece la propria forza morale, quella delle proprie convinzioni, tradurla in posture chiare che raccontano un altro modo di stare al mondo, anche da sconfitti, pensieri parole e pratiche che dicono di un’altra visione. Lo possiamo chiamare un manifesto esistenziale, innanzitutto, e poi politico. Che non fa la pipì in testa a nessuno e non maledice, senza sapere senza capire.
C’è una “i” in più nel dialetto rispetto all’italiano “compatire”, forse ha a che fare con la liturgia delle ore – la compieta – che completa, chiude, il giorno con il riconoscimento delle proprie colpe e la recita dei salmi, una preghiera diffusa al tempo dei miei nonni. Ha a che fare con quel “cum” del prefisso, quel “con” che è la base di ogni “noi”, possibile.
Eppure :
pensieri parole pratiche che dicono di un’altra visione. Grazie davvero Rosaria