L’ondata planetaria di indignazione contro il suprematismo bianco seguita all’assassinio di George Floyd vista dal continente nero. La cui parola, generalmente, non trova il minimo ascolto in questi casi. Non a caso il recente rapporto sulle ‘crisi dimenticate’ del mondo (quelle con almeno 200 mila persone costrette alla fuga), pubblicato dal Consiglio Norvegese per i Rifugiati, pone 9 paesi africani su 10 ai primi posti della classifica. Quelle crisi sono prima volute, create, finanziate e poi in fretta dimenticate e cancellate da tutti, dagli africani stessi e poi dal resto del mondo. Non sarà certo il pan-umanitarismo a risolverle, anzi. Per poter funzionare, questo tipo di sistema ha bisogno di ridurre le persone a vittime incapaci di intendere e volere ciò che costituisce il loro bene. La seguente e logica operazione consisterà nel fornire (e vendere) progetti e strumenti per risolvere il problema. Si vive e si prospera di crisi e nelle crisi. Poi ci sono i trafficanti d’armi, i venditori di schiavi, la polizia di frontiera corrotta, l’incetta delle materie prime, lo sfruttamento dei bambini, eccetera eccetera. Tutta roba, bisogna avere il coraggio di dirselo, che – nonostante siano l’Occidente e l’Oriente a dirigere l’orchestra – non potrebbe perpetuarsi senza la complicità degli africani stessi e dei politici presi in ostaggio dai soldi, dal potere e dal prestigio. Gli amici dell’Africa non vengono per aiutare quanto per essere aiutati a declinare altrimenti la vita. Non hanno ricette, progetti, strategie, fondi di primo intervento, consigli da dare, foto da prendere o giudizi da imporre. Gli amici dell’Africa sanno bene che alla fine sono gli analfabeti che scriveranno, nella polvere, le parole che più contano. Gli amici dell’Africa vivono nell’attesa che proprio loro, i bambini, senza saperlo, salvino il mondo
Perché era nero o perché umano. Forse le due cose messe assieme, con una vistosa prevalenza della prima, vista la reazione in America e altrove all’efferata uccisione per soffocamento di George Floyd a Minneapolis. Il movimento Black Lives Matter, la vita dei neri importa, ha ‘contaminato’ buona parte del mondo suscitando reazioni, interrogativi e accuse sul ruolo delle polizie e, più ancora, sul latente razzismo che non finisce di minare l’umana avventura.
Le reazioni al Covid, alle politiche neoliberali fasciste di Donald Trump, l’impatto dei mezzi di comunicazione, il ruolo degli Stati Uniti e non ultima l’indignazione del ‘morto di troppo’ hanno creato un clima sociale che l’abbattimento di statue sospette esprime a meraviglia. D’altra parte, qualcuno scrisse che, al momento di abbattere le statue, è sempre meglio lasciare intatto il piedistallo, servirà per il prossimo idolo. Le manifestazioni sono spuntate un po’ dovunque e financo in Africa qualcosa, con qualche ritardo, si è mosso. Nulla di particolarmente eclatante ma almeno sufficiente a farla uscire dalla clandestinità nella quale si trova in queste circostanze. Il presidente della Commissione dell’Unione Africana, il forum dei già capi di stato, il Ghana, il Kenia, l’Africa del Sud, la Tunisia, il Senegal e poi artisti e calciatori di fama che hanno patito cori razzisti negli stadi d’Europa. Ma forse ha ragione Alpha Blondy, cantante avoriano che ormai da anni usa il reggae di Bob Marley per esprimere il suo pensiero.
“Insisto, persisto e affermo/ I nemici dell’Africa sono gli Africani“. ‘Gli imbecilli’ è il titolo dell’estratto dalla canzone citata e inserita in un album uscito con preveggenza nel lontano 1997. Blondy, nel testo, fa allusione alle varie crisi che hanno scosso il continente in quel periodo. Il primo e grande nemico dell’Africa è la dimenticanza o la censura delle sofferenze del popolo. È di questi giorni il Rapporto sulle ‘crisi dimenticate’ del mondo pubblicato dal Consiglio Norvegese per i Rifugiati. Nello stilare la ‘classifica’, il rapporto prende in considerazione tre elementi: la mancanza di volontà politica, quella di attenzione dei media e la mancanza di aiuto economico. Il documento analizza solo le crisi che hanno provocato oltre 200 mila sfollati o rifugiati. Dalle 41 crisi prese in esame, risulta che tra le prime dieci figurano ben nove Paesi africani. Troviamo al primo posto il Camerun, segue la Repubblica Democratica del Congo, poi il Burkina Faso, il Burundi, il Mali, il Sud Sudan, la Nigeria, la Repubblica Centrafricana e il nuovo arrivato Niger.
Unico Paese incluso non africano tra i primi dieci è il Venezuela, mentre di altri Paesi non si hanno statistiche affidabili o sono palesemente occultate. Queste crisi sono prima create e poi in fretta dimenticate, dagli africani e poi dal resto del mondo. E non sarà il pan-umanitarismo che rappresenterà la salvezza da queste crisi, volute, subite, provocate, facilitate, finanziate e infine cancellate. Proprio quest’ultimo, il pan-umanitarismo, potrebbe rappresentare l’altro nemico occulto dell’Africa. C’è chi vive e prospera di crisi e nelle crisi, e che, direttamente o meno, rischia di perpetuare le cause e le conseguenze delle crisi stesse. Si sviluppano competenze di crisi umanitarie e si cerca di ‘vendere’ al meglio il prodotto in questione nella spietata concorrenza tra Organizzazioni Umanitarie. Per poter funzionare, questo tipo di sistema, abbisogna dell’osservanza di alcune condizioni. Una di queste è la riduzione delle persone a vittime più o meno inermi del loro destino e dunque incapaci di intendere e volere ciò che costituisce il loro bene. La seguente e logica operazione consisterà dunque nel fornire progetti e strumenti per realizzare ciò che si crede possa risolvere il problema prima creato e poi coltivato dalla crisi stessa.
I fabbricanti di armi, i venditori di schiavi, i posti di polizia, le dogane corrotte tra una frontiera e l’altra, le elezioni ‘tropicalizzate’, l’incetta delle materie prime, la vendita delle terre, lo sfruttamento dei bambini, le catene migratorie di prostituzione, il commercio di cocaina e falsi medicinali, i mandati presidenziali a durata indefinita e le Commissioni Elettorali Nazionali Indipendenti che fanno eco al potere non potrebbero perpetuarsi senza la complicità degli africani stessi e dei politici presi in ostaggio dai soldi, dal potere e dal prestigio. Certo l’Oriente e l’Occidente sono tutto meno che innocenti e queste operazioni probabilmente non potrebbero avere un buon esisto senza il loro avallo. Tutto vero, ma questo non toglie e semmai accusa chi avrebbe dovuto fare sue le parole di un certo Diallo Telli, ucciso da un dittatore di nome Sekou Touré, che disse: “…Noi siamo i popoli che più abbiamo sofferto l’ingiustizia nella storia ed è per questo motivo che non abbiamo il diritto né politicamente, né moralmente, di infliggere ingiustizie agli uomini”. Pochi oggi, qui come altrove, avrebbero il coraggio di concepire e esprimere pubblicamente queste parole di altissimo valore etico. Un Continente che tradisce e spinge i suoi figli a fuggirlo rinnega il proprio passato.
Ancora lo stesso Blondy, nel seguito della canzone citata sottolinea: “Ci sono i diamanti a cielo aperto/ c’è l’oro a cielo aperto/ la bauxite a cielo aperto/ l’uranio a cielo aperto/ ma i cervelli sono sepolti a cielo aperto…” Non dovrebbe andare lontano chi vorrebbe identificare e nominare i nemici: per buona parte si trovano qui, nel Continente africano, e se proprio vogliamo parlare di razzismo allora cominciamo con fare pulizia e verità qui a casa nostra. Nel Maghreb, e non è un mistero per nessuno, sono proprio gli africani (del nord e quindi di carnagione più chiara) che insultano e rendono spesso schiavi i ‘neri’ dell’Africa sub sahariana. Quanto è accaduto e sta accadendo in Libia e in Algeria, con campi di detenzione e tortura e, nel caso dell’Algeria, di espulsioni di migranti, con il furto del frutto di lavoro di anni, poi buttati e abbandonati nel deserto, donne e bambini compresi. Il tutto nel silenzio assordante dei dirigenti africani, gli stessi che poi commentano con amarezza l’uccisione per asfissia di un fratello nero, americano e soprattutto lontano agli occhi e dal cuore e che si incontrano almeno due volte l’anno ad Addis Abeba, nella sede dell’Unione.
I nemici più pericolosi dell’Africa sono, nondimeno, i mercanti di Dio, un Dio contraffatto da ideologie che arrivano al Continente con le cannoniere e gli accordi commerciali. Trovano in fretta acquirenti per rovesciare sulle spiagge e i deserti le scorie e gli scarti della loro civiltà fatta di cose da vendere in continuazione. Cercano spazi per fare fosse, comuni o private, per poi nascondervi quanto altrove non troverebbe mai posto. Usano il dio denaro come paravento, comprano e fanno comprare, vendono illusioni, miraggi, utopie consumate dall’uso e promettono un paradiso da centro commerciale, plasmano immaginari e accartocciano i sogni per buttarli al macero. Anch’essi trovano complici e trasformano la saggezza di un tempo in un’inutile cantilena di pescatori che hanno dimenticato l’arte della pesca. Fanno delle mercanzie l’unico orizzonte degno per un Mercato Unico, Libero e Globale di rapina dei poveri.
Perché neri o perché poveri, forse è bene non sbagliarsi nell’identificare il nemico. Il torto principale dei migranti che sbarcano (o prima annegano nel mare), o arrivano in aereo o per impervie strade, non sono anzitutto il colore della pelle, la forma degli occhi o la lingua e gli usi differenti, ma è la povertà che disturba. E lo stesso si riproduce in questa parte del mondo: si è se si HA…Chi non HA non è nessuno. Poco importa il colore dell’abito indossato per l’occasione. Pure l’Africa di adesso, neocolonizzata a suo piacimento e finchè le conviene, discrimina i poveracci, i democratici, i diritti umani, i giornalisti, gli artisti e i giudici che fanno il loro mestiere. L’Africa abbisogna, e allo stesso tempo teme, la verità di sé e del suo destino. Magari, come tutti del resto, ha bisogno di amici veri e sinceri. Non molti ma esistono ancora oggi.
Gli amici dell’Africa tacciono, fanno silenzio e buttano via il tempo che avevano prima di arrivare. Gli amici dell’Africa non vengono per aiutare quanto per essere aiutati a declinare altrimenti la vita. Gli amici dell’Africa sono coloro che si lasciano contagiare dal sapore del vento e hanno intuito quanto la sabbia sia importante per interpretare la storia umana. Non hanno ricette, progetti, strategie, fondi di primo intervento, consigli da dare, foto da prendere o giudizi da imporre. Gli amici dell’Africa sanno bene che alla fine sono gli analfabeti che scriveranno, nella polvere, le parole che più contano. Gli amici dell’Africa vivono nell’attesa che proprio loro, i bambini, senza saperlo, salvino il mondo.
Niamey, 14 giugno 2020
Tommaso dice
Una semplice narrazione della realtà africana che esplica tutta la paradossalita’ di chi siano i responsabili e carnefici delle tragedie africane che vengono considerate endemiche con tutta la cosciente falsità pretestuosa di coloro che la dichiarano ….
maria martini dice
finalmente una voce lucida e sincera
Daniela Dal Lago dice
Tutto questa bellissima analisi per sottolineare che non è il colore della pelle il problema, è la povertà! (che non ha colore o forse ce li ha tutti).
È il razzismo economico, il problema.