Il governo russo ritiene che le armi nucleari gli diano sicurezza e gli consentano di imporre la propria volontà al mondo senza ripercussioni. Anche Israele, un altro Stato dotato di armi nucleari, ne è chiaramente convinto. Entrambi i governi violano il diritto internazionale e si aspettano l’impunità. In realtà anche gli Stati membri della NATO credono che la violenza nucleare sia il modo migliore per farsi strada nel mondo. “Ciò che tutti questi governi hanno in comune, oltre a una storia di estrattivismo coloniale e di sfruttamento economico, è la loro fede dogmatica nel potere della bomba per mantenere la loro supremazia in un ordine mondiale ineguale – scrive Ray Acheson di WILPF, a proposito della Prima Commissione dell’Assemblea Onu sul disarmo – Ma proprio come la situazione in Israele e Palestina dimostra che la violenza non scoraggia la violenza, così le armi nucleari non scoraggiano la guerra…”. La teoria della deterrenza serve a vendere armi. Del resto all’inizio della guerra in Ucraina i prezzi delle azioni delle aziende produttrici di armi sono saliti, così è accaduto quando Israele ha iniziato a bombardare Gaza. Invece di guardare il diritto internazionale accartocciarsi come una palla di carta mentre le persone vengono uccise, in ogni angolo del mondo persone, realtà sociali e istituzioni possono intraprendere azioni per cominciare a porre fine ai profitti di guerra, per porre fine alla sperimentazione e al possesso di armi indiscriminate, per proteggere la vita
In questo editoriale pubblicato nel First Committee Monitor il 21 ottobre (pp. 1-7), Ray Acheson – attivista e scrittrice, responsabile di Reaching Critical Will, il programma della WILPF per il disarmo – rende conto delle recenti violazioni del diritto internazionale, della erosione delle sue norme, dell’inerzia della comunità internazionale, delle discussioni avvenute recentemente alla Prima Commissione dell’Assemblea delle nazioni Unite sul disarmo e la sicurezza e indica le azioni urgenti da intraprendere a livello internazionale.
Ray Acheson è autrice di numerose opere sul tema del disarmo da una prospettiva femminista tra cui si ricorda: Banning the Bomb, Smashing the Patriarchy (2021); Abolishing State Violence. A World Beyond Bombs, Borders, and Cages (2022) e il working paper: Notes on Nuclear Weapons and Intersectionality in Theory and Practice.
Partecipare alla Prima Commissione (dell’Assemblea delle nazioni Unite sul disarmo e la sicurezza, ndr) di quest’anno significa assistere all’inazione di molti governi di fronte alle ripetute violazioni e abrogazioni del diritto internazionale. Come già osservato in un precedente editoriale, l’“erosione” dell’architettura internazionale del disarmo e del controllo degli armamenti non è un processo naturale, ma un deliberato disprezzo e smantellamento dei limiti, delle norme e delle consuetudini di un “comportamento statale accettabile”. Dalla deratificazione del Trattato sulla messa al bando totale degli esperimenti nucleari da parte della Russia alle azioni genocidarie di Israele contro i palestinesi, la posta in gioco non potrebbe essere più alta per chiedere il rispetto del diritto internazionale, porre fine all’impunità delle violazioni e costruire nuove regole per limitare la violenza e le armi. Eppure, mentre innumerevoli governi lamentano l’“erosione” del diritto internazionale, molti sono complici o partecipano attivamente alla sua distruzione.
Il contesto conta ancora
La settimana scorsa, in Prima Commissione, Israele ha continuato a contestare le critiche ai suoi bombardamenti e all’assedio di Gaza e a negare la responsabilità per la morte di migliaia di civili palestinesi. Lunedì ha sostenuto che qualsiasi “contestualizzazione” dell’attacco di Hamas contro i civili israeliani significa ricorrere a “sofismi linguistici come arma” e negato che Israele sia uno Stato coloniale e di coloni. Il rappresentante israeliano ha proclamato che le morti di civili a Gaza sono “unicamente responsabilità” di Hamas, affermando che chiunque sostenga il contrario è “moralmente disorientato”.
Questa posizione non è coerente con il diritto umanitario internazionale, che chiarisce che gli attacchi sproporzionati e indiscriminati contro i civili sono illegali. Martedì, il rappresentante dello Stato di Palestina ha continuato a mettere in discussione la coerenza delle azioni di Israele a Gaza con il diritto internazionale e ha affermato: “come può l’autodifesa includere l’uccisione di migliaia di civili? Come può includere l’uccisione di membri del personale delle Nazioni Unite, di giornalisti, di medici? Come può includere l’imposizione di un assedio totale su Gaza, privando 2,3 milioni di persone di elettricità, cibo, acqua e farmaci? Come può l’autodifesa includere l’uso di armi proibite a livello internazionale come il fosforo bianco?
Israele non ha risposto direttamente a queste domande, ma ha ribadito che qualsiasi tentativo di discutere il contesto dell’attacco di Hamas equivale a giustificare il massacro di cittadini israeliani. Secondo il diritto di replica israeliano, qualsiasi riferimento alle risoluzioni delle Nazioni Unite che condannano le politiche coloniali e di apartheid di Israele significa evidentemente sostenere il massacro di civili.
Come sottolineato nell’editoriale della scorsa settimana, si possono condannare sia gli attacchi illegali di Hamas contro i civili israeliani sia gli attacchi illegali di Israele contro i civili palestinesi. Lo dimostrano le decine di migliaia di ebrei in tutto il mondo e in Israele che si sono espresse contro i bombardamenti e l’assedio di Gaza da parte del governo israeliano. Riconoscere che l’attacco di Hamas non è avvenuto nel vuoto non lo giustifica, ma chiarisce invece che l’attacco non era contro gli israeliani “per quello che sono”, come afferma Israele, ma piuttosto per il luogo in cui si trovavano: la terra palestinese occupata. Questa non è una giustificazione per gli orribili attacchi di Hamas, ma contribuisce a dimostrare che la risposta sproporzionata di Israele e la punizione collettiva dei palestinesi fanno parte della sua più ampia campagna di colonialismo, apartheid e ora, a quanto pare, di genocidio.
E ora il genocidio
L’unico modo per non danneggiare i civili – tutti i civili – è fermare la violenza. Ma da ciò che si dice all’interno delle Nazioni Unite e da ciò che si fa al di fuori di esse, non ci sono segni di diminuzione della violenza.
Venerdì scorso, 13 ottobre, la rappresentante israeliana ha concluso il suo intervento dicendo che “Israele vincerà”. Cosa significa vincere? Significa forse lo sterminio completo di tutto il popolo palestinese? Le dichiarazioni e le azioni intraprese dal governo di Israele lo suggeriscono fortemente. Ben Gvir, ministro israeliano della Sicurezza nazionale, ha dichiarato sui social media che “l’unica cosa che deve entrare a Gaza sono centinaia di tonnellate di esplosivi dell’aviazione, non un grammo di aiuti umanitari”. Il bombardamento da parte dell’esercito israeliano di ospedali, scuole ed edifici residenziali, l’uccisione indiscriminata di civili, operatori sanitari e giornalisti a Gaza sono tutti elementi che rientrano nel genocidio.
Le organizzazioni palestinesi per i diritti umani, i gruppi della società civile ebraica, le organizzazioni femministe per la pace, i gruppi statunitensi per i diritti costituzionali, gli studiosi dell’Olocausto e del genocidio e altri hanno lanciato un avvertimento: un genocidio della popolazione palestinese di Gaza è imminente. Il 12 ottobre, un nutrito gruppo di relatori speciali delle Nazioni Unite ha condannato “gli attacchi militari indiscriminati di Israele contro il già stremato popolo palestinese di Gaza”. Il 14 ottobre, il relatore speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani nei Territori palestinesi occupati ha avvertito che Israele sembra stia attuando una “pulizia etnica di massa dei palestinesi all’ombra della guerra”. Il 15 ottobre, oltre 800 studiosi dei conflitti e dei genocidi e professionisti del diritto internazionale, hanno firmato una dichiarazione pubblica in cui si segnala la possibilità di un genocidio perpetrato dalle forze israeliane contro i palestinesi di Gaza. Il 19 ottobre, sette relatori speciali delle Nazioni Unite hanno avvertito: “È in corso una campagna da parte di Israele che si traduce in crimini contro l’umanità a Gaza. Considerando le dichiarazioni dei leader politici israeliani e dei loro alleati, accompagnate dall’azione militare a Gaza e dall’escalation di arresti e uccisioni in Cisgiordania, c’è anche un rischio di genocidio contro il popolo palestinese”.
I relatori hanno anche affermato: “Non ci sono giustificazioni o eccezioni per tali crimini. Siamo sconcertati dall’inerzia della comunità internazionale di fronte alla conduzione estrema della guerra”. Gli oltre 800 studiosi hanno invitato tutti gli Stati “ad adottare misure concrete e significative per prevenire individualmente e collettivamente gli atti di genocidio, in linea con il loro dovere legale di prevenire il crimine di genocidio”. A tal fine, spiegano gli studiosi, “tutti gli Stati dovrebbero agire immediatamente ai sensi dell’articolo VIII e dovrebbero invitare gli organi competenti delle Nazioni Unite, in particolare l’Assemblea Generale dell’ONU, a intraprendere un’azione urgente e appropriata ai sensi della Carta delle Nazioni Unite per la prevenzione e la soppressione degli atti di genocidio.
Essi hanno inoltre sottolineato che la loro enfasi sull’Assemblea Generale è dovuta al fatto che l’azione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite è compromessa dagli Stati Uniti e dal Regno Unito, che inviano armi e forze militari nella regione a sostegno di Israele. Questa corruzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite è stata chiaramente evidenziata il 18 ottobre dal veto degli Stati Uniti e dalle astensioni di Regno Unito e Russia su una risoluzione portata in Consiglio dal Brasile che chiedeva “pause umanitarie” nei bombardamenti per consentire l’accesso degli aiuti a Gaza.
L’imperativo urgente di un cessate il fuoco
I fallimenti del Consiglio di Sicurezza non esonerano gli Stati membri delle Nazioni Unite dalle loro responsabilità. Essi devono lavorare attraverso canali multilaterali e bilaterali per un cessate il fuoco immediato e per consentire l’accesso umanitario a Gaza.
Un cessate il fuoco da solo non è ovviamente sufficiente a portare sicurezza, pace e giustizia ai palestinesi o agli israeliani. Ma dobbiamo anche evitare la situazione che si è verificata nel contesto della guerra della Russia contro l’Ucraina, in cui un cessate il fuoco è stato visto da molti come una capitolazione all’aggressione imperialista della Russia. Durante il dibattito ad alto livello dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a settembre, ad esempio, il Primo Ministro olandese ha osservato: “Alcuni paesi pensano di sostenere la pace in Ucraina semplicemente chiedendo un cessate il fuoco immediato. Pensano che questo aiuterà a porre fine alla guerra”. Ma, ha affermato, “non ci può essere una soluzione ‘condivisa’. La Russia è l’aggressore. E non sono i sostenitori dell’Ucraina a prolungare la guerra. È la Russia”. Il Presidente degli Stati Uniti ha anche sostenuto che i negoziati garantirebbero alla Russia l’impunità per la sua guerra. “Se abbandoniamo i principi fondamentali della [Carta delle Nazioni Unite] per placare un aggressore, quale Stato membro di questo organismo può sentirsi sicuro di essere protetto?”, ha chiesto. “Dobbiamo opporci a questa pura aggressione oggi e dissuadere altri potenziali aggressori domani”.
Ma questo approccio ha dissuaso i potenziali aggressori? Non ha dissuaso Hamas dall’attaccare i civili israeliani; di certo non ha dissuaso Israele dal punire collettivamente i civili palestinesi in risposta. Probabilmente, la condanna degli appelli al cessate il fuoco e alla pace ha incoraggiato i crimini di guerra di Israele. Questo rafforza il concetto del “might make right”, proprio come hanno fatto le guerre illegali, i colpi di stato, gli attacchi dei droni e le operazioni delle forze speciali degli Stati Uniti in tutto il mondo. Più gli Stati investono nella violenza, più rispondono alla violenza con altra violenza, più è probabile che la violenza si perpetui. La violenza diventa il linguaggio della comunicazione, la spina dorsale delle economie, la misura della “governance globale”.
Negli Stati Uniti e in altri Stati occidentali, gli appelli per un cessate il fuoco negli attacchi di Israele a Gaza e nei lanci di razzi di Hamas sono stati accolti con la stessa derisione che hanno avuto nel caso dell’Ucraina. “Non è il momento di parlare di un cessate il fuoco”, ha dichiarato il senatore statunitense John Fetterman. Dobbiamo sostenere Israele negli sforzi per eliminare i terroristi di Hamas che hanno massacrato uomini, donne e bambini innocenti”. Potremo parlare di un cessate il fuoco dopo che Hamas sarà stato neutralizzato”.
Questa posizione moralmente fallimentare non solo condona la punizione collettiva illegale di Israele nei confronti dei palestinesi, ma non ha nemmeno senso. Un cessate il fuoco ha lo scopo di interrompere immediatamente i combattimenti, per salvare vite umane, non è qualcosa che viene dichiarato quando una parte ha completamente decimato l’altra. I cessate il fuoco non sono pensati per essere il punto di arrivo, ma sono invece strumenti per porre fine all’uccisione di civili. Dopo che le bombe e le armi si sono fermate, la pace e la giustizia devono essere perseguite. I cessate il fuoco non dovrebbero essere usati per bloccare le condizioni attuali o consolidare le ingiustizie. Nel caso dell’Ucraina, il cessate il fuoco deve essere seguito dal ritiro di tutte le forze russe. Nel caso della Palestina, l’occupazione di Israele deve finire.
Naturalmente, questo richiede uno sforzo. Non è cosa scontata. E la diffidenza verso i cessate il fuoco anche da parte di chi vive la violenza indica che qualcosa non va nel sistema internazionale così come le persone ne fanno l’esperienza. Questo dà peso alla richiesta di riordinare il funzionamento delle cose, di impedire ai paesi militarizzati di dettare le condizioni, per democratizzare la negoziazione, la diplomazia e il processo decisionale negli affari internazionali, nella costruzione delle istituzioni, nella ricostruzione e nella riparazione. Questo va al di là di qualsiasi caso specifico di cessate il fuoco: va al cuore della diplomazia multilaterale, per la quale quasi tutti i delegati della prima Commissione affermano di impegnarsi.
Abbiamo molti esempi di come non fare le cose dopo un cessate il fuoco, dagli accordi di Dayton in Bosnia-Erzegovina agli accordi di Oslo tra Israele e Palestina. Ma i fallimenti del passato dovrebbero darci una guida per fare meglio in futuro, non condannarci a ripetere i fallimenti del passato.
Smantellare la deterrenza invece di smantellare il disarmo
L’importanza di non ripetere il passato riguarda anche un’altra tragedia che si sta consumando durante gli incontri della Prima Commissione di quest’anno: il possibile ritorno all’era dei test sulle armi nucleari.
Il 18 ottobre, il Parlamento russo ha completato il processo di revoca della ratifica della Russia del Trattato sulla messa al bando totale degli esperimenti nucleari (CTBT), richiesta dal Presidente russo Putin per “rispecchiare il modo di procedere degli Stati Uniti” che hanno firmato, ma non ratificato il Trattato. Il governo russo rimane firmatario del CTBT e afferma di non avere intenzione di effettuare test, a meno che non lo facciano prima gli Stati Uniti, ma la sua de-ratificazione rende più probabile la ripresa di test nucleari su larga scala. Ciò è particolarmente vero se si considera che è provato che Cina, Russia e Stati Uniti stanno potenziando i loro siti di sperimentazione di armi nucleari.
L’azione della Russia mina la norma che vieta a livello globale i test nucleari, che tutti gli Stati, ad eccezione della Repubblica Popolare Democratica di Corea, sostengono da un quarto di secolo. Il tentativo di smantellare la norma contro i test nucleari non è nell’interesse di nessuno Stato, tanto meno nell’interesse delle persone e del pianeta. Come ha affermato la Campagna internazionale per l’abolizione delle armi nucleari (ICAN), “Indebolendo il proprio impegno nei confronti del CTBT, la Russia ha un comportamento insensato e irresponsabile che usa le armi nucleari per intimidire gli oppositori alla sua invasione dell’Ucraina”. I trattati internazionali, tra cui il CTBT e il Trattato sulla proibizione delle armi nucleari, “sono fondamentali per garantire che non vengano ripresi i test nucleari che hanno danneggiato la salute della popolazione e diffuso una contaminazione radioattiva duratura”.
Ancora una volta, il diritto internazionale viene ignorato per perseguire un “interesse di sicurezza” percepito da uno Stato imperialista pesantemente militarizzato e dotato di armi nucleari. Il governo russo ritiene che le armi nucleari gli diano sicurezza e gli consentano di imporre la propria volontà al mondo senza ripercussioni. Anche Israele, un altro Stato dotato di armi nucleari, ne è chiaramente convinto. Entrambi i governi violano il diritto internazionale e si aspettano l’impunità per questo. Anche gli Stati membri della NATO credono che la violenza nucleare sia il modo migliore per farsi strada nel mondo. In una serie di post sui social media la settimana scorsa, la NATO ha posto la domanda: “Perché le armi nucleari sono fondamentali per la nostra sicurezza?”. La risposta è stata: “Per dissuadere le aggressioni: mantenere credibili le forze nucleari della NATO è fondamentale per prevenire attacchi da parte di attori ostili”; “Per prevenire la coercizione: sono la garanzia suprema della nostra sicurezza” e “Per preservare la pace”: L’obiettivo della NATO è creare un mondo più sicuro per tutti”.
La NATO ha letteralmente creato dei manifesti che pubblicizzano le virtù delle armi di distruzione di massa. Armi che la maggior parte dei suoi Stati membri ha riconosciuto avere conseguenze catastrofiche anche a livello ambientale. Armi per le quali i suoi stessi membri hanno speso miliardi di dollari per impedirne la proliferazione. Armi per le quali i suoi stessi membri hanno condannato la Russia quando ha minacciato di usarle nella sua guerra contro l’Ucraina. Proprio la settimana scorsa, durante la Prima Commissione, i membri della NATO (tra gli altri) hanno condannato la decisione del governo russo di de-ratificare il CTBT.
Ciò che tutti questi governi hanno in comune, oltre a una storia di estrattivismo coloniale e di sfruttamento economico, è la loro fede dogmatica nel potere della bomba per mantenere la loro supremazia in un ordine mondiale ineguale. Ma proprio come la situazione in Israele e Palestina dimostra che la violenza non scoraggia la violenza, così le armi nucleari non scoraggiano la guerra. La mitologia della deterrenza nucleare non ha impedito atti di guerra e di aggressione da parte di Stati dotati di armi nucleari, né ha reso il mondo più sicuro, come sostiene la NATO. I palestinesi, gli ucraini, gli iracheni, gli afghani e milioni di altre persone in tutto il mondo probabilmente contesterebbero l’idea che le bombe atomiche della NATO, o di chiunque altro, abbiano portato loro pace e prosperità.
Come ha detto il rappresentante dell’Austria nella sua dichiarazione nel corso del dibattito tematico sulle armi nucleari, “la logica precaria di voler raggiungere la sicurezza attraverso la minaccia permanente della distruzione di massa” si basa sulla capacità e sulla volontà di usare effettivamente le armi nucleari, che è una violazione del diritto internazionale e ha la capacità di provocare conseguenze globali catastrofiche.
La teoria della deterrenza non impedisce la violenza, ma fa vendere armi. La promozione sconsiderata della deterrenza riempie di denaro le tasche di coloro che gestiscono le aziende produttrici di armi e i laboratori nucleari. Esattamente come le condanne degli appelli al cessate il fuoco. Proprio come all’inizio della guerra in Ucraina i prezzi delle azioni delle aziende produttrici di armi sono saliti, così è accaduto ancora quando Israele ha iniziato a bombardare indiscriminatamente Gaza. Il sangue è più redditizio della pace.
Che fare?
Invece di guardare il diritto internazionale accartocciarsi come una palla di carta mentre le persone vengono uccise, ci sono azioni specifiche che gli Stati e le persone possono intraprendere per prevenire ulteriori violenze ora e difendere il diritto da un’ulteriore “erosione”.
Ecco due serie di raccomandazioni direttamente collegate alle questioni trattate dalla Prima Commissione – naturalmente si tratta di un elenco tutt’altro che esaustivo.
Porre fine ai profitti di guerra
Affrontare e neutralizzare i profittatori di guerra è una delle azioni più importanti che tutti gli Stati che sostengono veramente la pace e la giustizia possono intraprendere in questo momento. Nel contesto dell’attuale violenza in Israele e nei Territori palestinesi occupati, i governi dovrebbero lavorare attraverso l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il Trattato sul Commercio delle Armi (ATT) e i loro sistemi regionali e nazionali, per porre fine ai loro trasferimenti di armi a tutte le parti in conflitto e per imporre un embargo a Israele sulle armi sia in entrata che in uscita.
Gli Stati parte e firmatari dell’ATT hanno l’obbligo particolare di porre fine ai loro trasferimenti di armi a Israele perché violano gli articoli 6 e 7 del Trattato. L’articolo 6, paragrafo 3, del Trattato proibisce i trasferimenti di armi da parte degli Stati parte se sanno che le armi potrebbero essere utilizzate per genocidi, crimini contro l’umanità, gravi violazioni delle Convenzioni di Ginevra, attacchi diretti contro i civili o altri crimini di guerra. Ai sensi degli articoli 7 e 11, gli Stati parte non possono autorizzare l’esportazione di armi, munizioni, parti e componenti che potrebbero, tra l’altro, minare la pace e la sicurezza o essere utilizzate per commettere gravi violazioni del diritto internazionale umanitario e dei diritti umani. L’articolo 7, paragrafo 1, prevede una valutazione del rischio prima dei trasferimenti di armi per prevenire tali violazioni. Come osserva Control Arms, “non solo c’è un rischio elevato di tali violazioni, ma alcune di esse si stanno verificando in tempo reale e allo scoperto”.
Control Arms ha chiesto una riunione straordinaria degli Stati parte dell’ATT, come previsto dall’articolo 17(5) del Trattato, “per discutere la legalità dei trasferimenti alle parti coinvolte negli attuali combattimenti”. Nel frattempo, la coalizione chiede a tutti gli Stati firmatari dell’ATT “di interrompere il trasferimento di armi o altri articoli controllati dal Trattato a qualsiasi parte combattente del conflitto”.
Il gruppo palestinese per i diritti umani Al-Haq, che ha chiesto un embargo sulle armi nei due sensi nei confronti di Israele, nota anche che “le importazioni di armi da Israele sono in totale contraddizione con gli obblighi previsti dall’ATT”. Il gruppo spiega che “le fonti militari e industriali israeliane si vantano apertamente del fatto che le loro armi e tecnologie sono ‘collaudate in combattimento’ – in altre parole, testate sul campo su civili palestinesi ‘cavie umane’”. Così, quando gli Stati importano armi israeliane, “incoraggiano Israele a continuare a bombardare i civili palestinesi e a persistere nelle sue pratiche illegali”. A nessuno – né a Israele, né ai produttori di armi degli Stati firmatari dell’ATT – dovrebbe essere permesso di trarre profitto dall’uccisione o dallo strazio di civili palestinesi”.
A sostegno delle richieste di porre fine alla vendita di armi a Israele, ci sono state diverse importanti azioni dirette contro i produttori e distributori di armi. “World BEYOND War” Canada ha creato un’eccellente risorsa che rivela dove hanno sede le aziende che inviano armi a Israele, quali armi o parti e componenti stanno inviando e offre suggerimenti per azioni volte a sollecitare queste aziende e il governo canadese a fermare i trasferimenti di armi. Nel Regno Unito, Al-Haq e Global Legal Action Network hanno chiesto al governo britannico di sospendere tutte le licenze di esportazione di armi verso Israele, perché c’è un chiaro rischio che le armi britanniche possano essere usate per violare il diritto umanitario internazionale. Negli Stati Uniti, un funzionario del Dipartimento di Stato americano che si occupava di trasferimenti globali di armi si è dimesso a causa della sua opposizione alla concessione di ulteriori aiuti militari a Israele da parte del governo statunitense. Inoltre, alcuni attivisti hanno intrapreso azioni dirette contro le fabbriche di Elbit Systems nel Regno Unito e negli Stati Uniti.
Sono necessari seri sforzi a livello nazionale e multilaterale per interrompere e smantellare radicalmente il complesso militare-industriale e i sistemi di profitto bellico che portano all’oppressione della maggioranza delle persone nel mondo. Quando il capo di un’azienda produttrice di armi reagisce allo scoppio di una guerra con “Ci sono molte buone notizie”, questo indica che c’è un problema serio. Come la WILPF afferma dal 1915, il principale ostacolo all’abolizione della guerra è costituito dai “profitti privati delle grandi fabbriche di armamenti”.
Molte delle stesse fabbriche che costruiscono armi da guerra costruiscono anche bombe nucleari. I loro profitti privati sono uno dei principali fattori che portano alla possibile ripresa dei test sulle armi nucleari e che hanno impedito l’abolizione delle armi nucleari. Come ha calcolato ICAN, i nove Stati dotati di armi nucleari hanno speso 82,9 miliardi di dollari per le loro armi nucleari nel 2022. Alcuni Stati dotati di armi nucleari hanno aumentato le dimensioni delle loro scorte; altri stanno ampliando le loro strutture per le armi nucleari; tutti stanno modernizzando le loro bombe nucleari e i loro sistemi di lancio.
Per porre fine ai profitti della guerra è necessario porre fine alle strutture di produzione di armi che consentono profitti privati e influenza politica all’interno dei sistemi governativi. Ciò implica la riduzione delle spese militari, in linea con l’articolo 26 della Carta delle Nazioni Unite, e il riorientamento di tali risorse verso il risarcimento dei danni subiti, verso i programmi di disarmo e smilitarizzazione, verso la diplomazia e gli aiuti umanitari, verso la mitigazione del clima, il ripristino ecologico e la giustizia sociale a livello globale.
La stigmatizzazione delle armi e della guerra può contribuire a smantellare il complesso militare-industriale. Il lavoro di ICAN con le istituzioni finanziarie ha indotto 109 tra banche, fondi pensione, gestori patrimoniali e altri attori del settore finanziario a limitare gli investimenti nelle aziende coinvolte nello sviluppo, nella produzione, nei test, nella manutenzione e nello stoccaggio di armi nucleari. Un’azione decisa contro le aziende produttrici di armi nucleari e i profittatori di guerra che può avere e ha un impatto sulla politica. È necessario fare di più, con urgenza.
Porre fine all’uso, alla sperimentazione e al possesso di armi indiscriminate
Nel frattempo, ci sono alcune azioni dirette che gli Stati impegnati per la pace, la giustizia, il disarmo e il controllo degli armamenti possono intraprendere ora in difesa del diritto internazionale e della vita umana.
Gli Stati che hanno sottoscritto la Dichiarazione politica sul rafforzamento della protezione dei civili dalle conseguenze umanitarie derivanti dall’uso di armi esplosive in aree popolate devono denunciare i bombardamenti e quelli illegali e indiscriminati di Israele su Gaza e le punizioni collettive contro i civili palestinesi, nonché il lancio di razzi da parte di Hamas su zone abitate in Israele. In linea con la sezione precedente sui trasferimenti di armi, gli Stati che hanno approvato la dichiarazione dovrebbero anche smettere di fornire a tutte le parti in conflitto armi esplosive e sistemi di consegna. Come dimostrano i recenti eventi, a prescindere dall’attribuzione o dall’intenzione, l’uso di armi esplosive in aree popolate ha inevitabilmente conseguenze catastrofiche per i civili e deve cessare immediatamente.
Le alte parti contraenti della Convenzione sulle armi convenzionali, Protocollo III sulla proibizione o limitazione dell’uso di armi incendiarie, devono condannare l’uso del fosforo bianco da parte di Israele a Gaza e in Libano. Devono inoltre adoperarsi per rafforzare il Protocollo allo scopo di estendere la definizione di armi incendiarie e di includere disposizioni più severe contro le munizioni lanciate da terra.
Gli Stati firmatari del Trattato sulla messa al bando totale degli esperimenti nucleari (CTBT) e del Trattato sulla proibizione delle armi nucleari (TPNW) devono condannare la de-ratificazione del CTBT da parte della Russia e invitare tutti gli Stati che non l’hanno fatto a ratificare entrambi i trattati. Dovrebbero inoltre chiedere a tutti gli Stati dotati di armi nucleari di mantenere una moratoria sui test nucleari e di smantellare i loro siti di sperimentazione nucleare. Oltre ai test, naturalmente, tutti gli Stati dotati di armi nucleari e i loro alleati che li sostengono devono porre fine agli accordi di condivisione nucleare, rinunciare alle loro dottrine di deterrenza e smantellare i loro programmi di armi nucleari. Devono inoltre fornire riparazioni, assistenza e rimedio a coloro che sono stati colpiti dalle attività delle armi nucleari in passato. In sede di Prima Commissione, dovrebbero sostenere la risoluzione presentata da Kazakistan e Kiribati sul tema Affrontare le armi nucleari: fornire assistenza alle vittime e riparazione ambientale agli Stati colpiti dall’uso o dalla sperimentazione di armi nucleari, così come le risoluzioni sul TPNW, sul CTBT, sull’impatto umanitario delle armi nucleari, sugli imperativi etici per un mondo libero da armi nucleari, e accelerare l’impegno per la realizzazione del disarmo nucleare.
Tutti gli Stati dovrebbero inoltre sostenere lo sviluppo di un nuovo diritto internazionale che vieti e limiti i sistemi d’arma autonomi. Un primo passo è quello di co-sponsorizzare e votare a favore della risoluzione presentata da un gruppo interregionale di Stati alla Prima Commissione di quest’anno, che dà incarico al Segretario generale delle Nazioni Unite di raccogliere le opinioni degli Stati e di altri soggetti su questo tema.
Laddove la violenza viene già perpetrata con scarsa considerazione per le sofferenze causate, la situazione non potrà che peggiorare con l’adozione di tecnologie che consentono di classificare e categorizzare ulteriormente le persone. Al di fuori delle armi, l’intelligenza artificiale e gli algoritmi sono notoriamente prevenuti e discriminatori nei confronti di persone di colore, donne, trans, persone con disabilità e altri. Esse stanno già causando danni nell’ambito delle azioni di polizia e della sorveglianza delle frontiere; una volta armate, queste tecnologie porteranno un orrore indicibile agli esseri umani in tutto il mondo.
Israele e Russia sono due degli Stati che attualmente bloccano lo sviluppo del diritto internazionale sulle armi autonome e che stanno sviluppando e impiegando le relative tecnologie. In questo ambito e in altri, il complesso militare-industriale, le aziende tecnologiche e i governi stanno lavorando insieme per esacerbare i sistemi di apartheid e disumanizzazione, consentendo maggiore violenza, repressione e profitto. Una risoluzione in Prima Commissione è un passo avanti verso l’arresto di questi sviluppi e deve essere sostenuta da tutti coloro che si preoccupano di mantenere un significativo controllo umano sulle armi.
Proteggere la vita e la legge
Naturalmente, il controllo umano sulle armi non è l’obiettivo finale. Ma è un aspetto importante per dare priorità alla vita umana rispetto ai profitti e per prevenire ulteriori atrocità e oppressioni. Con gli Stati che abbandonano i trattati faticosamente conquistati e violano volontariamente e impunemente il diritto internazionale, è difficile vedere una speranza per il futuro dell’umanità. Lavorare ora per fermare un futuro in cui le uccisioni sono delegate a macchine programmate con algoritmi, in grado di condannare a morte gli esseri umani sulla base di sensori e software, sembra un punto di partenza importante. Ma non è il punto a cui dovremmo fermarci.
Ci sono molti Stati che si affidano al diritto internazionale “come scudo”, come hanno detto in passato il Costa Rica e altri. Centinaia di migliaia di persone sono scese in piazza la scorsa settimana in solidarietà con le vite dei palestinesi, spesso sfidando la criminalizzazione di questa solidarietà da parte dei loro governi. C’è una causa comune tra la maggioranza per proteggere la vita e il diritto. Sta a noi chiedere di meglio e di fare di meglio.
[Articolo scelto e tradotto da Bruna Bianchi per Voci di pace]
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