A poche ore dal voto che decide se il centrosinistra potrà continuare a governare la Regione Lazio, Marta Bonafoni, prima donna della Lista Civica per Zingaretti presidente, racconta in un’ampia conversazione con la redazione di Comune una campagna elettorale assai diversa dalla competizione ossessiva e greve che in queste settimane hanno messo in scena il circo mediatico e i leader politici. Dal grande interrogativo sulla rilevanza e le motivazioni dell’astensione alla conferma che il territorio esprime ricchezze molto superiori a quelle che vengono raccontate. E poi lo sguardo differente sul mondo del femminismo, l’appello ai compagni di Simone, che sceglie di votare per la prima volta segnato dal racconto di giovani africani, la complessa vicenda del Forlanini, il Baobab, gli spazi sociali minacciati, il cammino nel Parco dei Castelli Romani, il welfare territoriale e il rifiuto di un lavoro qualsiasi, il pericolo CasaPound. Una lunga cavalcata all’insegna dell’impossibilità di cedere alla condanna della rassegnazione e all’accettazione della realtà e del mondo così come sono o come sembrano
della redazione di Comune
Nell’autunno del 2015, ha scritto su queste pagine un “pezzo” delicato quanto profondo, il fermoimmagine di un’alba in cui, correndo piano e respirando forte, racconta il profumo di caffè che arriva dalle finestre appena aperte e la città che riparte. Era una Roma ancora assonnata, pigra, ma con la forza e la calma necessarie ad affrontare le fatiche di sempre e le nuove contraddizioni di ogni giorno. Quell’articolo, intitolato Quando si sveglia il cuore della mia città, era una piccola gemma della narrativa diaristica di Marta Bonafoni. Due anni dopo, a quel titolo, basterebbe forse aggiungere un punto di domanda per raccontare quel che si muove intorno alla trepidazione di queste ultime giornate siberiane di una campagna elettorale: domenica 4 marzo si sceglie se confermare o meno il centrosinistra alla guida del Lazio.
Quello di Marta è il secondo nome nella Lista Civica per Zingaretti presidente. Per far due chiacchiere su questa scelta, l’abbiamo incontrata nel suo piccolo e accogliente comitato elettorale del quartiere romano di San Giovanni. Arriva sorridendo, come sempre, lo sguardo non tradisce tensione ma accompagna parole appassionate che non nascondono una verità difficile: non sono tempi di certezze, questi. Zingaretti è sempre stato molto amato e anche questa volta è nettamente favorito. Le destre unite, segnalate così avanti nei sondaggi nazionali, nel Lazio non hanno saputo mettere in campo alternative credibili. C’è poi l’incognita a Cinque Stelle, che, per la verità, incognita non è e non sembra più da tempo. Schiera una candidatura rilevante, popolare, almeno sul piano mediatico. È quella di Roberta Lombardi, che i sondaggi – per quel che valgono, certo – danno solo pochi punti sotto il presidente uscente.
Negli anni di una crisi della rappresentanza politica, che è sempre più profonda e fa sempre meno notizia, decideranno gli indecisi, gli incerti fino alle ultime ore del 4 marzo: andare a votare o no? E se sì, questa volta per chi? Il perché, invece, vale solo per una parte di quelli che prenderanno le schede, anche quella verde delle Regionali. Tra loro, di certo, ci sono quelli che sceglieranno Bonafoni. Gente con più domande che certezze, convinta che uno spazio per cambiare il mondo esista malgrado tutto. E che vada conquistato sempre, metro dopo metro, correndo piano e coltivando la speranza che il cuore della città, della regione, dell’Italia (e magari del mondo) sia sempre lì ad aspettare, pronto a svegliarsi per ricominciare, per provarci di nuovo, anche se…
Cominciamo con uno scambio di ruoli. Hai abbastanza esperienza giornalistica alle spalle, no? Puoi raccontarci cosa hai scoperto e cosa ti ha sorpreso in queste settimane in giro per il Lazio?
Non è una scoperta ma ho avuto una conferma netta del fatto che la società della nostra regione esprime ricchezze molto superiori a quelle che vengono raccontate. Il quadro nazionale ci consegna una realtà in cui è davvero molto faticoso chiedere consenso, eppure mi ha sorpreso il numero persone che hanno osservato con attenzione il lavoro fatto in Regione. Lo hanno capito e hanno saputo distinguere due piani. Io temevo che il “mischione” indifferenziato dei “politici” fosse il vero nemico da battere. Dal volantinaggio al mercato rionale fino all’iniziativa nel piccolo centro della provincia, invece, ho avuto l’impressione che un governo non litigioso, sincero, che non ha mai provato a vendere fumo, sia stato percepito per quello che era. Prendiamo la sanità, un tema delicatissimo per raccogliere consensi. Non abbiamo mai vantato risultati truccati, come si è soliti fare. Dovevamo risanare una situazione difficilissima, ora possiamo uscire dal piano di rientro del deficit e pensare insieme a come ricostruire un nuovo modello: non solo ospedali ma sanità territoriale, integrazione socio-sanitaria e tutte le altre questioni che sembrano tecniche ma sono invece il welfare diffuso. Quello che serve a combattere disuguaglianze che non sono una percezione ma carne e ossa dei cittadini di questa regione.
Insieme a chi si può combattere?
Ci sono tante persone che hanno capito che c’era chi stava facendo uno sforzo per riprendere a camminare, hanno resistito a molte difficoltà e hanno partecipato ai bandi di inclusione, di lotta alla povertà, delle politiche giovanili. Ecco, ora dobbiamo aiutare a traghettare tutte quelle persone dentro un protagonismo vero della ricostruzione. Sono state le pratiche a tenerci in vita. Penso a modelli di welfare innovativo, come quelli sperimentati tra Monterotondo, Mentana e Fonte Nuova. Mentana e Fonte Nuova hanno un governo civico che non si può certo definire di sinistra, eppure lì vive un tessuto civile che tiene botta sulla parità, l’uguaglianza, la lotta alle discriminazioni. Mai come questa volta, comunque, penso che la Regione dovrà assomigliare a quel sarto di cui una volta parlammo anche insieme, con voi di Comune. Quello che, anziché soffiare sul fuoco e allontanare i lembi dello strappo sociale, prova con pazienza a ritessere un filo e ricomporre un quadro di coesione.
Qual è stata la principale dinamica che hai utilizzato nella campagna?
Non ho alle spalle, come altri colleghi, molte esperienze elettorali. La prima dinamica scelta è la stessa che ha guidato i miei cinque anni nel consiglio regionale: la partecipazione. Non è stato, poi, nemmeno così terribilmente faticoso. Non ho dovuto inseguire la gente perché proponesse iniziative pubbliche. Per fortuna mi hanno chiesto di farne molte, soprattutto nei luoghi del sociale e delle donne, dove avevamo fatto dei piccoli passi avanti, avuto dei grandi successi – perché è accaduto anche questo – oppure dove c’è un percorso da completare. Quelle persone mi hanno detto: ti abbiamo “misurata” e abbiamo verificato che c’eri. Ci sono parecchi altri temi che hanno caratterizzato la mia esperienza in Regione: per esempio, la disabilità, l’agricoltura sociale, il welfare territoriale. Per quel che riguarda le donne, però, devo dire che mi è capitato di dover ricordare spesso che, com’è ovvio, non si tratta solo contrastare la violenza ma anche di dar valore a molte altre cose, come la grande capacità di essere motore per una vera “ripartenza” della democrazia. Il “femminile” e il “femminista” vanno visti, in primo luogo, come uno sguardo diverso sul mondo. Poi i giovani: ho fatto campagna con un sacco di diciottenni al primo voto. Ricordo, in particolare, una serata aperta con Simone, che voterà domenica per la prima volta. Ha letto il racconto di alcuni giovani africani perseguitati in paesi dove il diritto al voto è stato conquistato con il sangue. Ha fatto lui un appello ai suoi compagni perché non sottovalutassero l’occasione che viene loro offerta. Altro tema essenziale è, naturalmente, l’ambiente, inteso però come cura del territorio ma anche come possibilità di cura per le persone dentro un sistema economico diverso. Per fare ancora un solo esempio, abbiamo fatto una gran bella passeggiata a Nemi, lungo il cammino del Parco Regionale dei Castelli Romani, che unisce discorsi sullo stile di vita, la lentezza, il recupero delle tradizioni… Insomma, la possibilità di valorizzare davvero e rimettere in gioco quel pezzo della provincia di Roma in modo molto diverso da quello generato dall’espansione urbanistica impazzita per tanti anni. Quello che prevedeva la costruzione della seconda casetta per i romani mentre i mosaici del tempio di Diana gridavano vendetta e venivano calpestati.
Dentro una campagna così difficile, in primo luogo per la risonanza del voto nazionale, vedi anche la possibilità di tenere aperto uno spazio di comunicazione con chi sceglie di non votare provando a qualificare la sua scelta? Pensiamo, per esempio, ad alcune nostre amiche e compagne femministe, le cui scelte certamente rispetti… Oppure l’astensione è, alla prova dei fatti, solo un nemico da battere e magari, di fronte a qualche provocazione, ci può scappare pure un bello scambio d’insulti?
L’insulto è una cifra talmente abusata in questa campagna che fa solo paura. Nel “mercato” elettorale c’è n’è una vera inflazione ma non appartiene certo alla mia cultura politica. Mi è capitato, è ovvio, di partecipare a confronti in cui, dalla platea, qualcuno ci accusava con modi, diciamo fuori dalle righe, per quello che abbiamo fatto o non abbiamo fatto in questi cinque anni. Ho spesso consigliato anche a chi era tentato di rispondere per le rime di non farlo, in alcuni casi “disperati”, anche solo per ragioni di posizionamento. Sappiamo tutti che, anche al di là delle liste, dei partiti, ecc., la vera partita è quella dell’astensionismo. A livello nazionale mi pare si preveda un tasso altissimo, per la regione non lo so. Certo, io qualcuno che ha detto ritiro solo la scheda verde delle regionali l’ho incontrato. Dentro questo quadro di frammentazione, con il rischio di trovarsi perfino un consigliere regionale di CasaPound, noi, lo ripeto spesso, dobbiamo tenere ferma la barra della coesione. Tra gli astensionisti potenziali però c’è molta gente diversa. C’è, per esempio, anche chi dice di non essere ancora convinto e segnala un’insufficienza. Penso che quella insufficienza possa essere anche una delle ragioni che spiegano una parte del consenso che raccolgono a Roma i Cinque Stelle, malgrado il governo cittadino non abbia certo entusiasmato. Credo che la sinistra possa recuperare parecchi dei voti che aveva avuto prima e che nel 2016 sono andati ai Cinque Stelle. Altri ancora avevano invece solo scelto di dare un segnale di protesta non andando a votare. Sono convinta che non potremo recuperarlo tutto quel voto deluso, perché ancora manca una proposta politica alternativa convincente e liberata dal peso delle sconfitte e delle disillusioni. Non a caso io sono in una lista civica. Non c’è un contenitore simile a quello che può essere un partito o un movimento che sia all’altezza della sfida del presente. Non lo vedo, eppure ho provato a guardare con speranza a diversi tentativi fatti negli ultimi due o tre anni. Sono stata in alcuni flussi che andavano in una direzione potenzialmente interessante ma il risultato, poi, non è stato sufficiente. Non solo per me ma per un gruppo di compagni e compagne di cui fa parte, per esempio, anche Massimiliano Smeriglio, il vicepresidente uscente della Regione Lazio.
Perché?
Abbiamo dovuto prendere atto di non essere arrivati a una soluzione vera. Saremmo arrivati a una soluzione che poteva garantire qualche “posto” ma non c’è bisogno di posti, c’è bisogno di risposte da dare alle persone. Così abbiamo scelto una lista civica che esprime valori fortemente politici per cercare ancora una volta di ricostruire uno spazio con il mondo della cultura, quello della scuola, dell’università, della salute. C’è poi il mondo delle amministrazioni locali che, in anni così condizionati dal Patto di stabilità, sono in prima linea nel rapporto con i cittadini. Se le persone non ottengono risposte, il primo crinale del rapporto di fiducia che va in crisi è quello: il sindaco, l’assessore sono la prima crepa democratica che s’è creata in questi anni. La Regione ha tentato di spostare fondi, di redistribuire funzioni, ma non può far tutto, servono norme nazionali. Con la scomparsa delle province, poi, sono andate in crisi la manutenzione delle strade, quella delle scuole…Noi siamo riusciti a salvare tre centri antiviolenza di donne che rischiavano di chiudere perché facevano riferimento a una delega tenuta dalle Province ma svuotata di risorse da mettere in bilancio.
Cos’è successo?
È stato poco raccontato ma a un certo punto, per effetto della Legge Delrio, la Regione è stata invasa da scatoloni della Città metropolitana in cui c’erano le carte di centri antiviolenza e per l’assistenza specialistica per gli alunni disabili. Anziché girarci dall’altra parte, ci siamo rimboccati le maniche e abbiamo provato a esercitare una funzione mettendo in gioco il bilancio regionale e i fondi europei, arrivando perfino a mettere a rischio il rapporto con l’Europa che ci ha chiesto conto dell’utilizzo di quelle risorse. Abbiamo risposto che stavamo provando a garantire un intervento essenziale sull’inclusione, come richiesto dall’Europa stessa. Vedremo come risponderanno. Non è stato facile, si trattava di interventi fuori programma, ma può un alunno disabile essere il fuoriprogramma della politica?
A un elettore che magari apprezza quello che sostieni, ma dice di non poterti votare perché fai parte di una coalizione guidata da un esponente del Pd, cosa risponderesti?
Che abbiamo fatto una lista che può votare proprio chi non vuole il Pd che c’è oggi. La nostra è una lista civica che cerca di tenere insieme anche il buono che c’è nel Pd per poter rilanciare la Regione. Altri metodi io non ne vedo, c’è solo quello degli accordi successivi al voto, più o meno segreti, che però non raccontano la verità a chi va a votare. Bisogna misurarsi sulla visione di governo di una Regione come il Lazio, non sul Pd. Poi, naturalmente, più sei forte e più riesci a far valere le tue idee diverse.
E Zingaretti è a tuo avviso una garanzia sufficiente per esercitare un governo che tenga in considerazione gli equilibri espressi dal voto, anche se non dovessero far prevalere le liste che hanno più peso politico per ragioni altre, magari anche esterne alla Regione?
Secondo me, sì.
E a quelli che dicono che sul Forlanini Zingaretti fa solo promesse, cosa vuoi dire?
Speravamo di chiudere la vicenda del Forlanini in questa legislatura riconsegnandolo “carte in mano” (non “chiavi in mano”, perché non sarà di proprietà di nessuno, resterà pubblico). Non è stato possibile, perché il Forlanini è tanto bello quanto oneroso. Il processo partecipativo è andato a rilento rispetto a quel che avremmo voluto, però consegniamo la certezza che resterà pubblico, che sarà riconsegnato ai cittadini con la funzione che ci è stata chiesta: sociale, presidio territoriale e parco. È evidente che dovremo vigilare, perché il percorso indicato non resti un annuncio. Teniamo le luci accese e manteniamo l’allarme, ma non è accaduto quel che si temeva. Sul Forlanini gli appetiti denunciati erano veri, è uno degli esempi che ci ricorda quanto sia importante avere capacità di ascolto. Ritengo che aver resistito a quegli appetiti per consegnarlo alla prossima legislatura con un mandato pubblico vero sia un primo successo sul quale sappiamo però di non poter abbassare la guardia.
A chi sostiene che la politica dentro le elezioni, e poi quella dentro le istituzioni, non è necessariamente quella più importante per cambiare il mondo, cosa rispondi?
Penso ci sia grande nobiltà in moltissime persone che fanno politica fuori dai partiti e dalle istituzioni. Un tempo ti avrei detto che una è più importante dell’altra. Oggi penso che lo siano entrambe. La prima cosa che mi viene in mente è che chi si mette in gioco dentro esperienze istituzionali democratiche rafforza anche chi fa politica solo nel sociale. È la separazione tra i due poli quel che indebolisce. Contaminarsi in un processo di partecipazione che arriva anche al consenso e al voto è una cosa buona. Poi penso che bisogna ragionare davvero su quel che sta succedendo a destra. C’è bisogno, ora, di un creare un argine a Salvini e a chi, come CasaPound, è di fatto disposto ad appoggiarlo. Il discorso sulle responsabilità di aver prodotto la situazione attuale è una cosa ma la destra italiana con Maroni ministro dell’interno è molto diversa da quella con Salvini al suo posto. Anche per i processi sociali che sono andati avanzando, quelli dello scontro degli ultimi contro i penultimi, per fare solo un esempio.
Tra le cose più noiose (e talvolta anche irritanti) di ogni campagna elettorale, c’è il rito di una rivendicazione tutta difensiva di quel che è stato fatto da parte di chi ha governato. C’è sempre la tentazione di doverlo premettere ma anche di farlo prevalere su quel che si intende fare. Tu come la vedi?
Penso che noi dobbiamo rilanciare sul tema dell’ambiente. Non si tratta, ovviamente, di accentuare l’intensità del colore verde delle nostre politiche ma di impostare, per esempio, un’economia diversa. Riconvertire dal punto di vista ecologico e sociale, dare fiato alle filiere alternative rispetto a quelle della grande distribuzione, rilanciare il tema del biologico e dei piccoli produttori sui mercati rionali, favorire questo tipo di consumi nelle mense pubbliche e in particolare in quelle scolastiche. L’elenco è molto ampio e i lettori di Comune lo conoscono alla perfezione, per fortuna contribuiscono ogni giorno pure ad alimentarlo. Sia chiaro, noi non possiamo fare tutto ma non ho alcuna difficoltà a dire che abbiamo fatto troppo poco. Dobbiamo provare davvero a fare molto di più. Faccio un altro esempio: penso che il tema del reddito debba avere una declinazione. Siccome noi daremo un reddito alle donne che escono da percorsi segnati dalla violenza, dobbiamo dire chiaro che quel reddito non dovrà essere legato a un’occupabilità qualsiasi ma a un impegno che si fa carico della responsabilità del territorio e del futuro. Non va bene un qualsiasi lavoro, insomma, non puoi rimettere in gioco lavori che hanno portato alla desertificazione delle risorse naturali o a una competizione cittadina che distrugge la vivibilità. Ci vuole proprio una responsabilità nuova. Non è una scusa, è vero che siamo stati occupati a risanare 22 miliardi di debito, una cosa che comportava il dover riferire al ministero del tesoro e delle finanze ogni attività fatta per garantire il diritto alla salute, quello sancito nell’articolo 32 della Costituzione. Ogni volta che lo ripeto mi viene il mal di stomaco. Adesso, però, dobbiamo uscire da quella dinamica e tornare a esercitare una responsabilità tutta politica per quelle scelte.
Se proviamo a collocare la Regione Lazio non in Italia ma nel mondo e guardiamo agli stimoli che la politica può ricevere dai movimenti, è piuttosto chiaro che le notizie migliori arrivano dalle donne. Come può ispirare il tuo lavoro quella straordinaria e impetuosa crescita di movimenti planetari?
Per prima cosa direi che torneremo ad avere un bilancio di genere delle politiche. È un capitolo che mise in campo anni fa l’amministrazione Marrazzo, poi la crisi economica e i tagli fatti dai governi sulle Regioni (non tutti sbagliati, va detto) hanno fagocitato anche quel tentativo. Invece sull’economia c’è un nodo decisivo del sistema che opprime le donne. Non è secondario che oggi ci sia la notizia del fallimento delle società di Weinstein. La denuncia delle donne ha prodotto una conseguenza economica rilevante, eppure questa notizia, secondo i media, deve avere molto meno rilievo di un gossip assurdo sulla misurazione del ritardo nelle denunce della violenza. Dobbiamo capire che parlare di violenza sulle donne significa parlare di democrazia paritaria. Il discorso vale anche per le risorse: non dobbiamo decidere se le pari opportunità debbano avere un piccolo aumento ma se le pari opportunità sono un mandato costitutivo della Regione.
Pensi ci siano altre cose rilevanti sulle quali potete e dovete fare molto meglio di quel che è stato fatto?
Ne citerei ancora almeno due. Ieri mi sono affacciata al Baobab. Mi hanno pure chiesto di fare un’intervista ma ho rifiutato perché volevo stare ben lontana da possibili equivoci di visite elettorali. Ci sono andata per portare qualcosa da vestire e da mangiare ma, soprattutto, perché sono rimasta colpita dalle tante foto bucoliche sulla neve (per carità a San Giovanni era bellissimo vedere la città finalmente abitata con uno scenario così bello) e volevo proprio rendermi conto, senza rilasciare alcuna dichiarazione, di quale impatto la neve e il gelo potessero avere su quella spianata aperta. Ho avuto la netta impressione che lì facesse molto più freddo che in qualunque altro luogo della città e ho provato una certa angoscia. Lo dico, senza retorica, per farmi capire su cosa possiamo fare meglio. Ci tengo al Baobab, tre anni fa sono stata una delle persone che hanno fatto interposizione verso lo sgombero della polizia. Ho provato ad oppormi, a dire che non si poteva fare tentando di far valere anche quel poco che conta il mio ruolo istituzionale. Mi hanno preso e spostata di peso. Lì è stato proprio il corpo che mi ha fatto capire in modo diverso, fisico, quanto in questa città avesse smesso di decidere la politica per lasciare campo alla questura. Poi, con la Regione, abbiamo fatto un tentativo ma non è arrivato un nulla osta che poteva solo venire dal Viminale o da Roma Capitale. Ecco, dunque la prima cosa che voglio dire per rispondere alla domanda: su certe questioni, come la vicenda del Baobab, non possiamo più fermarci alle deleghe. Dobbiamo smettere di dire che da qui a qui fa la Regione, qui invece fa lo Stato, qui fa il Comune. Il problema che grida attraverso il Baobab, voi lo sapete molto meglio di me, non si ferma, è destinato a diventare parte fondamentale della storia delle nostre città. Dobbiamo fare e parlare di più, non possiamo rassegnarci ad accettare una vergogna che così resta un buco nero per ogni ente di governo.
Bene, e la seconda cosa?
Qui lo spunto è più allegro perché viene dalla Milonga che abbiamo ballato a Garbatella sabato scorso ma è anch’essa una questione seria. È la questione degli spazi sociali e culturali. Io sono romana, conosco bene la storia della delibera 140, e so questa è una città che merita e deve poter difendere gli spazi che ha saputo conquistare e riprendere. Anche mentre stiamo parlando ora sono certa che in molti luoghi della città stanno nascendo idee straordinarie. Non possiamo rassegnarci a veder minacciati i luoghi bellissimi in cui nascono quelle idee. Sono idee di una produzione culturale e di un valore sociale impareggiabile che non esisterebbero altrove. Come Regione un tentativo nuovo l’abbiamo fatto a Trastevere. Si chiama WEGIL, è bellissimo, andatelo a vedere. È nato in un posto che per me è sempre stato un buco della città, un luogo nero che è diventato uno degli spazi più belli che abbia mai visto. Era chiuso dal 1976 e adesso, come ha detto qualcuno, è uno spazio nuovo dal cuore antico. Il discorso della 140 è però ancora più importante. In quel caso non è l’istituzione ad aprire uno spazio ma è l’istituzione che dice alla produzione dal basso: i nostri spazi sono i vostri. Deve nascere un patto che possa restituire alla città una bellezza, se mi passate il termine, proprio imperdibile. Non è una cosa da poco, perché si tratta di far nascere una nuova cultura politica a Roma. Vorrei potermene occupare dal 5 marzo in poi, perfino indipendentemente dal fatto che torni o meno in Consiglio regionale. Fare politica oggi a Roma deve essere qualcosa di molto diverso dalla discussione sui fotomontaggi di Virginia Raggi in funivia, quella è una cosa che non mi riguarda e segnala solo il livello di scadimento del confronto ma anche dello scontro politico. Noi dobbiamo pensare ora a cosa poter proporre con Roma, e non su Roma, quando sarà il momento di farlo.
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e possiamo dire che quando ha visto i rapporti di forza ha proprio deciso di abbandonarci al nostro destino
Dopo aver letto questa onesta intervista e il precedente commento mi è venuto di pensare al Guicciardini. Come il “particulare” può distruggere la politica. E nello steso tempo mi sono risonate le tiritere di Salvini che vuole difendere i barbieri, i pescatori, i camionisti, i baristi, gli infermieri, i muratori, i lavapiatti, gli albergatori, i tassisti, i poliziotti, i, i, i, i, i, ……..tutti purché mi diano il voto.