Tre contadini del Delta del Niger saranno risarciti dalla Shell per i danni subiti dai continui sversamenti di petrolio. È la prima volta che un tribunale, in questo caso olandese, condanna una multinazionale per assenza di vigilanza all’estero. Resta il fatto che le persone in fuga da paesi impoveriti, inquinati e resi sterili dallo sfruttamento massiccio delle materie prime, non hanno ancora nessun riconoscimento né tutela internazionale
È notizia recente che tre agricoltori del Delta del Niger potranno essere risarciti dalla compagnia petrolifera Royal Dutch Shell per i danni subiti dai continui sversamenti di petrolio che hanno inaridito i loro terreni e avvelenato le vasche per gli allevamenti del pesce. Lo ha stabilito una sentenza della Corte d’Appello dell’Aja, in Olanda, che ha ritenuto la Shell colpevole dell’inquinamento da idrocarburi causati dalla sua filiale Shell Nigeria. Shell dovrà ora garantire che altri episodi di inquinamento non si ripetano.
Una sentenza storica: è la prima volta infatti che un tribunale condanna una multinazionale, nel caso specifico olandese, per assenza di vigilanza (duty of care) all’estero. Questa sentenza apre un varco importante che potrà portare ad una nuova legislazione europea che condanni le aziende responsabili dei danni provocati all’estero e a sancire l’obbligo di tutelare l’ambiente e i diritti umani come stabilito dai regolamenti europei nelle zone coinvolte.
Come Shell, ora, altre compagnie petrolifere presenti in Nigeria, tra cui Eni, Total, Chevron ed Exxon, potrebbero essere chiamate a rispondere delle loro attività ed essere condannate per i danni ambientali arrecati al fragile ecosistema del Delta del Niger, ampiamente documentati tra l’altro anche dal Programma Ambientale delle Nazioni Unite.
La Nigeria, come molte altre nazioni del Sud del Mondo, vive il paradosso di essere una nazione ricca di materie prime ma incredibilmente povera. Nel Delta del Niger, dove la Shell ha impiantato i suoi stabilimenti, le conseguenze causate dal loro inquinamento hanno prodotto la morte di 16.000 bambini l’anno e ridotto l’aspettativa di vita di dieci anni rispetto ad altre aree del paese. Il re è nudo e ormai tutti sanno che sono le multinazionali a regolare le economie globali con la connivenza dei governi locali e occidentali, depauperando di tutte le risorse i così detti “paesi in via di sviluppo”. La Nigeria come l’Angola e via di seguito, nazioni ricchissime di materie prime, sono considerate, per aspettative di vita e qualità delle condizioni sociali, tra le più povere del mondo. La globalizzazione affonda le radici in questa logica di sfruttamento che ha portato alla nascita di un ulteriore fenomeno diffuso: quello della delocalizzazione decentrata. Le industrie occidentali oggi spostano i loro capitali in zone dove la manodopera è a basso costo, i diritti dei lavoratori non sono garantiti e non esistono o quasi regolamenti per la tutela ambientale.
Resta il fatto che le persone in fuga da questi paesi impoveriti, inquinati e resi sterili dallo sfruttamento massiccio delle materie prime, non hanno ancora nessun riconoscimento né tutela internazionale. Terreni inariditi dalle monocolture per il mercato occidentale, caffè, thè, cacao, soya, arachidi, dagli allevamenti intensivi di bestiame destinato alle tavole occidentali che hanno comportato il disboscamento di milioni di ettari di foreste… la lista è quasi interminabile: produzione del caucciù per l’industria automobilistica, del cobalto per la produzione di cellulari ed auto elettriche e via di seguito. Industrie inquinanti, senza alcun rispetto per i lavoratori che sempre più spesso vivono in condizioni di povertà assoluta. Un fenomeno complesso che genera squilibri ambientali, disordini sociali, insurrezioni, instabilità dei governi e costringe le persone a fuggire. Dalla Convenzione di Ginevra del 1951, in cui è stato sancito il diritto di protezione ai rifugiati da guerre, poco è stato realmente fatto per quei migranti, oggi in costante aumento (solo nel 2018, secondo i dati dell’Internal Displacement Monitoring Centre, ben 17,2 milioni di persone), costretti a migrare a causa degli eventi climatici estremi. Non è un caso quindi se la maggior parte di queste persone proviene da aree definite erroneamente “in via di sviluppo”, Africa, Sud America, Bangladesh, regioni fortemente colpite da fenomeni meteorologici violenti e criticità socio-economiche.
Soltanto nel 2018, per la prima volta all’Assemblea generale, l’Alto commissario per i rifugiati Filippo Grandi ha proposto un patto sulle politiche globali e nazionali per i successivi decenni basato su un approccio differenziato ma complementare rispetto ai rifugiati e ai migranti, riconoscendo le peculiarità dell’una e dell’altra categoria, senza però negarne le molte connessioni. Si è così giunti a due Global compact: Global Compact per una migrazione sicura, ordinata e regolare (GCM) e Global Compact sui rifugiati (GCR). Il Global Compact sulle Migrazioni può essere perciò considerato il primo tentativo intergovernativo di abbracciare il concetto di migrazione come diritto per tutti, siano essi migranti economici o climatici, tutelando i valori sanciti dalla Dichiarazione universale dei diritti umani. È dunque un importante punto di partenza: finalmente i paesi Onu hanno potuto definire una piattaforma focalizzata sui migranti e i loro diritti, attraverso un accordo che riconosce il carattere transnazionale delle migrazioni. Il compito di tradurla in pratica, però, spetta ai singoli paesi: concretamente l’accordo non contiene alcun obbligo. Tenendo conto che nel Global Compact sulle Migrazioni, l’Italia (unico paese del Mediterraneo) non è stata rappresentata a causa del rifiuto a partecipare dell’allora ministro degli interni Matteo Salvini, l’inserimento, nelle modifiche ai decreti sicurezza, del riconoscimento ai migranti climatici degli stessi diritti riservati a chi fugge da guerre e carestie – e dunque il diritto alla protezione umanitaria – è un importante passo in avanti. Segno che non è più possibile ignorare lo stato di assoluta necessità in cui vertono milioni di sfollati, costretti ad abbandonare le proprie terre a seguito di disastri ambientali la cui origine spesso ci riguarda da vicino.
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