Qual è la differenza tra i milioni di ucraini in fuga dalle bombe e le migliaia di vittime delle altre guerre, ad esempio quelle interminabili nella Siria o nello Yemen o perseguitate da regimi tremendi come quelli di Egitto, Iran, Afghanistan o Turchia?

I drammatici eventi di queste settimane (da Cutro alle nuove vittime nel Mediterraneo) accompagnati dalle inquietanti esternazioni delle gerarchie politiche, che discutono di questione Ucraina e del “problema migranti” ci trasmettono il vero volto di questo Occidente. La storia delle popolazioni mondiali è sempre stata contrassegnata dai fenomeni migratori. Milioni di persone, che nel corso dei secoli si spostano in cerca di condizioni di vita migliori. In genere è la necessità che spinge al cambiamento. Ci si sposta perchè il luogo di provenienza è inabitabile, a causa di condizioni socio-ambientali (migranti economici) o perchè lo scoppio di conflitti e guerre, regimi oppressivi e rivalità interetniche rendono la fuga l’unica via percorribile. E si scappa anche quando in mancanza di condizioni igienico-sanitarie minime vengono a manifestarsi delle epidemie.
Migrazioni secolari hanno portato interi gruppi ad insediarsi su nuovi territori. Durante la fine dell’800 milioni di italiani, irlandesi, polacchi sono emigrati negli Stati Uniti in cerca di una vita degna. Negli anni del secondo dopoguerra le mete scelte dagli italiani sono state la Germania, il Belgio, la Svizzera. Paesi con un passato coloniale come la Francia o l’Inghilterra sono caratterizzati da un melting pot significativo. Certo, c’è da interrogarsi sulle condizioni di vita dei migranti (“i dannati della Terra”), soprattutto quelli figli delle ultime generazioni.
In linea di massima, chi si integra viene accettato, ma l’integrazione spesso corrisponde all’assimilazione e non al riconoscimento. Lo straniero che si conforma ad una serie di regole giuridico-sociali può essere in grado di convivere nella società di arrivo, anche perchè si ha bisogno di lui come forza-lavoro sottocosto, che non avanza particolari pretese. E’ questa una caratteristica comune a tutte le migrazioni: che si tratti di messicani negli USA, o di cittadini provenienti dall’Est europeo, o ancora dal continente africano o asiatico da impiegare come manovalanza nell’agricoltura, nell’edilizia o nella logistica.
Milioni di bisognosi che ingrossano le fila del cosiddetto esercito di riserva. Generalmente il grosso dei movimenti migratori vede queste persone spostarsi nei Paesi confinanti, pensiamo ad esempio ai milioni di afghani presenti in Pakistan, o al milione e mezzo di siriani rifugiati nel Libano, paese di 5 milioni di abitanti, che da decenni versa in una situazione di crisi economica fuori controllo con la maggioranza della popolazione in situazione di povertà estrema.
Il motivo scatenante delle migrazioni è che qualcuno, dall’interno oppure esternamente attraverso mire espansionistiche, si è spinto oltre. Dalla scoperta delle Americhe sono stati i Paesi europei, che in quanto conquistatori di nuove terre, impossessandosi delle risorse ivi giacenti hanno imposto con la forza il loro modello di sviluppo. Le fortune statunitensi sono dovute alle migrazioni europee, che hanno reso ricco quel Paese per mezzo del genocidio dei nativi indiani ed importando forza lavoro nera. Dal mercantilismo alle forme moderne dello sviluppo capitalistico lo sfruttamento di persone e territori è l’altra faccia delle migrazioni.
Le mani occidentali sono arrivate dappertutto, e con loro la relativa violenza. Basterebbe leggere le belle e drammatiche pagine di Eduardo Galeano ne “Le vene aperte dell’America Latina” per rendersene conto. Fenomeno migratorio e globalizzazione economica sono quindi interconnessi, e assumono manifestazioni diverse a seconda delle esigenze politiche.
Un caso particolare è quello riguardante gli ebrei, vittime di Pogrom e dell’Olocausto, e da sempre additati come uno dei mali del vivere associati, ma che a loro volta, in conseguenza di una visione religiosa integralista e di un nazionalismo inteso come forma di risarcimento, sono stati gli artefici di un colonialismo da insediamento, che ha causato la segregazione dei palestinesi al pari dei regimi di apartheid.
Le migrazioni oggi stanno diventando un’urgenza, che da fenomeno epocale va strutturandosi, tanto da rendere superflue le discussioni intorno agli aiuti da esportare a casa loro per scongiurare le partenze, ma che riportano alla luce i motivi scatenanti e il discorso intorno al debito. Lo scambio fra culture, il meticciato, è un arricchimento per tutti quanti, e le vecchie società occidentali, piaccia o meno, sono destinate al cambiamento.
Quello che non si può accettare è la solita propaganda securitaria, in base alla quale scegliere chi escludere dal far parte del mondo ricco. Muri, recinzioni e campi di detenzione ovunque, enclosures umane, fungono da contenitori di masse di disperati, facendoci rabbrividire se solo pensiamo a quanto accaduto sotto i nazionalismi novecenteschi. Siamo sempre noi occidentali i responsabili delle migrazioni: il solo fatto di intessere rapporti commerciali con regimi e Paesi in guerra ci addossa delle colpe. Pertanto, chi migra dall’Afghanistan o dall’Iran, dal Medio Oriente o dai Paesi africani ci chiama in causa.
Eppure la sfacciataggine degli Stati e delle istituzioni europee è quella di scindere le questioni. Chi scappa dalla guerra ucraina viene accolto con trattamento di favore (non vi saranno mire geopolitiche?), gli altri, quelli dalla pelle scura vengono considerati migranti a tutti gli effetti, che necessitano di legislazioni ad hoc. Quale la differenza tra i milioni di ucraini in fuga dalle bombe e le migliaia di vittime delle altre guerre (Siria,Yemen…), regimi (Egitto, Iran, Afghanistan, Turchia…) o del tribalismo libico? Cosi 8 milioni di ucraini sono fuggiti, e di questi circa 5 milioni hanno ottenuto forme di protezione: 1,5 milioni nella reazionaria Polonia; 500 mila nella Repubblica Ceca; oltre un milione in Germania (che già aveva accolto 1 milione di siriani); solo 175 mila in Italia.
Il rapporto Migrantes a fine 2022 parla di circa 100 milioni di profughi nel mondo (dato raddoppiato nell’ultimo decennio), di cui più di 20 a causa del cambiamento climatico.Il 70% di essi si rifugia nei Paesi vicini e solo una minima parte ambisce ad andare in Europa e ci riesce. 200 mila attraversano le frontiere europee; 100 mila gli ingressi in Italia via Mediterraneo, e tra questi, al di là del loro status di rifugiati o di chi chiede la protezione internazionale, ci sono quelli che vogliono andare altrove, magari per ricongiungersi con i famigliari, e quelli che vengono rimpatriati e respinti.
Alla fine non solo dalle dichiarazioni, ma in specie dai provvedimenti, viene fuori la solita retorica, che non si vergogna nemmeno di celare la visione razzista e interclassista del mondo bianco occidentale. Allora, ci sono migranti di serie A, che non vengono nemmeno definiti tali – gli ucraini – e migranti veri e propri – tutti gli altri -, che arrivano sopra i barconi, e sui quali si contnuerà a legiferare in modo sbagliato. Anche se questo argomento costituirà motivo di consenso elettorale sia per le destre sovraniste quanto per le élite liberiste, esso rappresenta la vera faccia dell’imbarbarimento di un Occidente incivile.
Il dr. Giannini, con cognizione di causa, ha messo inesorabilmente il dito nel punctum dolens del fenomeno migratorio, portando in superficie il razzismo latente che affligge la Destra al potere nelle cosiddette democrazie occidentali, timorose che il sincretismo culturale con i popoli in fuga da guerre dimenticate, terrorismo, cambiamenti climatici e catastrofi naturali, possano umanizzare il loro behaviour.