Scegliere la strada di una pedagogia transculturale significa adottare un passo lento, che si nutre prima di tutto di ascolto. Il libro Dialogo di Sonia Colucelli e Irene Lashin – edito da AnimaMundi nella collana curata dalla Rete di Cooperazione Educativa “Vocabolario dell’arca. Parole in caso di diluvio” – aiuta ad andare oltre l’idea di educazione interculturale a cui siamo abituati e che troppo spesso finisce per rafforzare stereotipi e pregiudizi
![](https://comune-info.net/wp-content/uploads/2020/12/abstract-1320719_1920-1024x1024.png)
![](https://comune-info.net/wp-content/uploads/2020/12/9791280008299_0_221_0_75.jpeg)
Sono passati diversi giorni dalla lettura del libro Dialogo – edito da AnimaMundi nella collana, curata dalla Rete di Cooperazione Educativa, Vocabolario dell’arca. Parole in caso di diluvio – di Sonia Colucelli e Irene Lashin, un tempo necessario per far sedimentare emozioni e riflessioni. Eppure continua, nonostante abbia tentato di allacciarlo a pensieri ben più ampi senza farne perno, ad apparirmi Alexandru. E allora non ho alternative che dare voce a questi pensieri insistenti che probabilmente vogliono prendere forma per sbrogliarsi dal mercato che c’è nella mia mente.
Alexandru era un alunno di una quarta primaria di diversi anni fa. Una classe in cui ero supplente per poche ore settimanali. Un bambino molto introverso, piuttosto rigido, dall’aspetto pulito e freddo. Poco integrato nella classe, solitario e talvolta scontroso. Chiesi a una collega che lo conosceva ormai da diversi anni e mi rispose: “Sono ucraini, devono pensare solo allo studio senza distrazioni”. Questa frase mi risuona nella testa da anni perché ancora oggi a ripensarla mi scuote. All’epoca mi offese. Vidi un pregiudizio lapidario su una cultura tutta, un riassunto riduttivo. Con il passare degli anni e dell’esperienza un giorno mi trovai, quasi senza accorgermene, a dare una risposta simile a una collega appena entrata in ruolo. Alexandru è il mio faro ogni qualvolta ho bisogno di fare una riflessione sul multiculturalismo e l’intercultura. Quell’anno, poco dopo l’inizio della scuola, partecipammo a un concorso di arte ed essendo una classe molto ricca con bambini e bambine dalle origini diverse, costruimmo un percorso sulla tradizione culinaria e alla fine il nostro elaborato appariva come una tovaglia da pic-nic apparecchiata con diversi cibi nei piatti e sul retro varie ricette e spiegazioni. Ebbene sì, forse un po’ tutti prima o poi sfioriamo la punta dell’iceberg passando per cibi e tradizioni pensando di addentrarci in chissà quale progetto interculturale approfondito. La risposta corretta arriva proprio da Irene Lashin, giovane autrice del libro: non c’è un iceberg che possa andare bene per tutta una cultura, ognuno ha il suo.
![](https://comune-info.net/wp-content/uploads/2020/12/jan-kopriva-SCEywLgwj2E-unsplash-681x1024.jpg)
Alexandru era un bambino che proveniva da una famiglia con un’impostazione piuttosto rigida e che teneva molto alla sua affermazione come riscatto per gli anni di deprivazione affrontati dalla mamma; ma questa è storia di molte culture. Dalla terza primaria aveva imparato a viaggiare da solo, accompagnato dalla hostess. Ricordo che mi feci ripetere due volte il suo tragitto estivo. Partiva dall’Italia verso la Romania dove lo accoglievano i nonni materni. Con loro restava due settimane. Poi, sempre solo, prendeva l’aereo per Mosca dove lo aspettava suo papà con cui passava un mese. Il padre lavorava in un ristorante e alla sera era sempre solo, alle volte passeggiava per la città. Ad agosto viaggio inverso con notte in aeroporto insieme ad altri due bambini che aveva conosciuto proprio in questi viaggi. La mamma restava in Italia; lavorava come badante e studiava italiano. Studiava forte. Alexandru era un uomo con tutta la responsabilità di dover ottenere ciò che gli era richiesto per rispetto. Nessun capriccio, nessun attimo di esitazione di fronte ai bambini che aveva intorno. Ignorare e proseguire. Nel tempo però mi sono accorta che molti bambini originari dell’Est avevano queste prerogative. Allora ho osservato meglio. Anche nei pakistani si riconosce la stessa caparbietà. E così, guardando ancora meglio, ci si accorge che anche i bangladesi spesso rispecchiano questa caratteristica. Ed è così che ci si ritrova a ridurre in semplici frasi culture intere e nazionalità… Ma la verità, come al solito, è molto più complessa, fatta di contesto storico, di esperienze personali, di inclinazioni e attitudini.
Certo, ho sponsorizzato l’idea che Alexandru si sentisse parte di una comunità perché aveva potuto riconoscersi in un pierogi al formaggio, ma già allora questa felicità mi appariva come un minuscolo tassello di quello che la scuola avrebbe il compito di stanare. Quello che mi chiedo spesso però è: se diventa così complesso per chi ha il compito educativo e formativo all’interno della scuola come possiamo pensare di riuscire a vivere in una società interculturale senza una seria riflessione, senza interiorizzare una formazione volta all’”integrazione” che ci consideri tutti come individui diversi gli uni dagli altri senza sostare in una terra del noi e loro? Questo libro ha avuto il potere di rassicurare queste mie eterne domande che concorrono a farmi sentire sempre poco preparata, in fragile equilibrio fra il non voler passare un messaggio di noncuranza e uno di iper attenzione.
Il dialogo fra Sonia e Irene, mamma e figlia, permette di capire che anche chi vive in maniera diretta questo intreccio porta avanti un processo lento, consapevole, di ascolto e accoglienza che va attraversato e porta con sé cambiamenti e crescita. Mondi che non sono soltanto bicromatici ma ricchi di sfumature e di parti comuni. Mettiamoci in cammino sulla strada di una pedagogia transculturale che fa emergere, al di là delle differenze, il nostro fondo comune (Alain Goussot). Esperienze non sempre facili da far convivere ma che aiutano a trovare una misura per conoscere se stessi e gli altri come individui diversi, ognuno con le proprie storie e significati in un mondo, sotto il pelo dell’acqua, ricchissimo di vita.
Valentina Guastini, insegnante, fa parte della Rete di Cooperazione Educativa
Lascia un commento