Un’ampia conversazione con Umberto Santino, fondatore e direttore dello straordinario Centro siciliano di documentazione “Giuseppe Impastato”. Santino – tra i primi, giĂ negli anni Settanta, ad approfondire il concetto di borghesia mafiosa, oggi al centro delle attenzioni con l’arresto di Matteo Messina Denaro – ragiona delle trasformazioni della lotta a Cosa nostra, riprende il significato dell’espressione “mafia finanziaria” e spiega il suo punto di vista sul 41 bis e sul caso di Alfredo Cospito

Cosa pensi di tutte le polemiche e delle tante interpretazioni a proposito dellâarresto di Messina Denaro?
Il procuratore Maurizio De Lucia ha voluto sottolineare che lâarresto di Messina Denaro è una vittoria dello Stato e il frutto di un impegno investigativo condotto con il massimo rispetto delle regole e ha manifestato la sua irritazione per quanti hanno minimizzato lâevento, con affermazioni del tipo âĂ malato e si è consegnatoâ, e hanno rispolverato dietrologie con allusioni a trattative, in continuitĂ con pratiche che sono state oggetto di processi celebrati recentemente e che attendono il responso della Cassazione. Non ci sarebbe stato niente di tutto questo e se il procuratore non ha fatto nomi e cognomi, i riferimenti a quelli che ha definito âespertiâ o a colleghi che ânon fanno indagini da dieci anniâ, erano facilmente decodificabili.
La mia lettura dellâarresto non può non riconoscere lâimportanza dellâevento, se non altro per unâattesa durata trentâanni. Ciò non toglie che si possano fare delle precisazioni e delle riflessioni. Intanto câè da dire che Messina Denaro non era il capo di Cosa nostra, come vorrebbe la vulgata corrente; era il capo della mafia trapanese e negli ultimi tempi si è soprattutto dedicato ad affari lucrosi, in varie attivitĂ , dagli impianti eolici agli alberghi e ai resort, ai supermercati e al contrabbando di carburanti. Affari per 5 miliardi di euro. E ha mantenuto lâimmagine che circolava su di lui: personaggio anfibio, che coniugava tradizione e trasgressione. Figlio del capomafia Francesco, campiere e fattore della famiglia DâAlĂŹ (il rampollo Antonio, di Forza Italia, giĂ senatore e sottosegretario, è in carcere per concorso esterno) ne aveva raccolto lâereditĂ , ma si atteggiava a homo novus: un playboy che ha avuto rapporti con molte donne, ha fatto una figlia che non ha mai incontrato, e in un libretto, Lettere a Svetonio, che contiene lo scambio epistolare tra il giovane capomafia (Alessio) e un ex sindaco di Castelvetrano, con precedenti penali, legato ai servizi segreti, Antonino Vaccarino (Svetonio) fa citazioni letterarie, si definisce un âuomo veroâ, che ha la âcoscienza a postoâ. Evidentemente non gli pesano tutti gli omicidi che ha commesso e di cui si vanta: âCon i morti ammazzati potrei riempire un cimiteroâ.
Quanto alle sue attivitĂ imprenditoriali, dalle intercettazioni risulta che Toto Rina ne abbia dato un giudizio sprezzante: si occupa di âpali della luceâ, alludendo allâeolico, invece di fare quello che il capo dei corleonesi, che lo considerava un suo allievo prediletto, si sarebbe aspettato: cioè che continuasse la strategia stragista, per piegare lo Stato ai voleri di Cosa nostra. Per Riina essere mafiosi significa avere lâarsenale delle armi sempre a disposizione.
Lâarresto è stato interpretato come la conclusione della parentesi corleonese: è stato catturato lâultimo stragista, che ha dovuto abbassare la guardia, a causa della sua malattia. Câè poi chi sostiene che una trattativa ci sarebbe stata, ma non tra il capomafia e lo Stato, ma allâinterno di Cosa nostra. Cioè Messina Denaro sarebbe stato consigliato, o costretto, a farsi arrestare in cambio di qualche concessione, come la sospensione del 41 bis ai fratelli Graviano. Ma qui entriamo in un capo minato, in cui domina il detto e il non detto di un personaggio come Salvatore Baiardo, di professione gelataio, diventato star televisiva, che sarebbe un portavoce dei Graviano e avrebbe incontrato il fratello di Berlusconi, presumibilmente per recapitargli un messaggio, non certo affettuoso, dei fratelli di Brancaccio. Siamo al centro del problema piĂš grosso: i mandanti esterni delle stragi.
Tra le interpretazioni dellâarresto un tema dominante è stato quello della borghesia mafiosa, con riferimento ai medici che lâhanno assistito, agli amministratori che gli hanno rilasciato le carte dâidentitĂ , ai prestanomi che si sono intestate le sue attivitĂ imprenditoriali, alle logge massoniche: Campobello di Mazara è un paese con 11 mila abitanti e due logge massoniche. E poi ci sono tutti coloro che lo hanno visto circolare come un libero cittadino e dicono di non averlo riconosciuto. A parlare di borghesia mafiosa per primi sono stati i magistrati, poi sulla loro scia i giornalisti e pochissimi hanno ricordato che questa espressione, e lâanalisi che ne consegue, sono al centro della mia attivitĂ di ricerca, a partire dagli anni Settanta del secolo scorso.

Vogliamo parlarne?
Il mio concetto di borghesia mafiosa1 ha un avo e un padre. Lâavo è Leopoldo Franchetti, che in unâinchiesta privata svolta nel 1876 assieme a Sidney Sonnino – molti, compreso un giornalista che mi ha intervistato, scrivono che erano parlamentari; lo saranno dopo: Sonnino dal 1880, Franchetti dal 1882 – parlava di âfacinorosi della classe mediaâ che, attraverso âlâindustria della violenzaâ, acquisivano un ruolo dominante e godevano di buoni rapporti con lo Stato e le istituzioni. Il padre del concetto di borghesia mafiosa è Mario Mineo, economista e politico, prima con il Psi e il Pci, poi con i gruppi extraparlamentari, che parlava di una ânuova borghesia capitalistico-mafiosaâ formatasi negli anni Cinquanta e che aveva assunto un ruolo egemonico nella societĂ siciliana.
Nella mia analisi lâorganizzazione mafiosa che, in seguito alle dichiarazioni di Tommaso Buscetta viene denominata Cosa nostra, è al centro di un blocco sociale transclassista, che va dagli strati piĂš bassi della popolazione a quelli piĂš alti. Per gli strati piĂš bassi che, in un contesto con unâeconomia legale debole o inesistente, vivono di illegalitĂ , Cosa nostra è una dispensatrice di risorse che assicurano la sopravvivenza e un mondo a cui guardare con lâaspirazione a farne parte o ad aggirarsi nei dintorni, raccogliendone le briciole; per gli strati piĂš alti: professionisti, imprenditori, amministratori pubblici, politici, rappresentanti delle istituzioni, Cosa nostra vuol dire unâaccumulazione illegale continua e a grandi cifre, che assicura soldi facili, un insieme di relazioni indispensabili per avere un ruolo sul piano economico, sociale e politico. Il sistema relazionale è un capitale sociale che apre molte porte.
Il mio âparadigma della complessitĂ â, che coniuga crimine, accumulazione, potere, codice culturale, consenso sociale, e che sul piano storico intreccia continuitĂ e trasformazione, rimanda al ruolo storico della mafia nel sistema di potere, nella âcostituzione materialeâ, cioè nello Stato comâè e non come dovrebbe essere. Quello che scriveva il questore Sangiorgi2 sui mafiosi che proteggono e sono protetti da senatori e altri personaggi al vertice delle istituzioni, valeva ai suoi tempi, tra la fine dellâOttocento e i primi del Novecento; valeva giĂ ai tempi di Franchetti, poco dopo la formazione dello Stato unitario, è valso successivamente e vale anche oggi, in forme che si adeguano al mutare degli eventi.
In fin dei conti come va valutato questo arresto nella storia recente della lotta alla mafia? Pensi che questa lotta sia ancora sulla giusta strada, sia efficace, segua modalitĂ opportune?
Lâarresto di Messina Denaro segna certo la fine di unâepoca ma è anche un colpo alla mafia contemporanea: Messina Denaro era insieme lo stragista sanguinario e lâimprenditore che gestiva le attivitĂ di cui ho parlato.
Negli ultimi decenni la lotta alla mafia sul piano istituzionale si è configurata come reazione al lievitare della violenza, in unâottica emergenziale. La legge antimafia e il maxiprocesso vengono dopo i grandi delitti dei primi anni Ottanta e in particolare il delitto Dalla Chiesa; gli altri provvedimenti sono una risposta alle stragi dei primi anni Novanta. Si è istituzionalizzato un doppio binario, che implica una distinzione tra gli affiliati allâorganizzazione mafiosa e il resto della popolazione. E si è posto il problema della costituzionalitĂ di queste norme, che allora si cercò di risolvere con il confronto tra beni giuridici a valenza costituzionale: da una parte lâeguaglianza dei cittadini davanti alla legge, dallâaltra la salvaguardia della vita e della libertĂ dâazione calpestate o minacciate dalle organizzazioni di tipo mafioso. Tra i due beni prevalse questâultimo.
Il problema si è ripresentato con il 41 bis e il 4 bis, cioè con il carcere duro e lâergastolo ostativo per i mafiosi che non collaborano, che sarebbero incostituzionali e non rispetterebbero i diritti umani. Ă un dibattito ancora in corso.
Approfondiamo questo tema e in particolare lâapplicazione del carcere super duro e dellâergastolo ostativo anche a un anarchico additato come una sorta di capo terrorista. Cosa ne pensi?
Lâarticolo 41 bis dellâordinamento penitenziario, che istituisce il cosiddetto carcere duro, fu introdotto nel 1986 âin casi eccezionali di rivolta o di altre gravi situazioni di emergenzaâ per i reati di terrorismo e di eversione dellâordine democratico e solo nel 1992 fu esteso ai reati di mafia e criminalitĂ organizzata e lâergastolo ostativo, introdotto dallâart 4 bis, che impedisce al condannato lâaccesso ad alcuni benefici, si applica ai detenuti per âdelitti commessi con finalitĂ di terrorismoâ e per associazione di tipo mafioso, se non collaborano con la giustizia. Queste disposizioni nascono dallâesigenza di impedire la comunicazione tra i detenuti e lâorganizzazione di cui fanno parte, ma lâassociazione di tipo mafioso non è comparabile dal punto di vista organizzativo con il terrorismo. Si può dire: la mafia è un fenomeno strutturale, il terrorismo congiunturale. Cosa nostra, e con essa le altre associazioni di tipo mafioso, è considerata unâorganizzazione permanente, anche quando non ci sono atti di violenza visibili e eclatanti; una sorta di chiesa, in cui si entra con un giuramento e un rito di sangue, equivalente a una forma battesimale, e da cui non si esce, se non con la collaborazione con la giustizia, o con lâespulsione dellâaffiliato, che sarebbe âposatoâ. Questa ritualitĂ richiama la visione della mafia come ordinamento giuridico, distinto e contrapposto a quello statale, che rimonta al giurista Santi Romano. Quindi la funzione sia del carcere duro che dellâergastolo ostativo è questa, e solo questa: impedire la comunicazione. Qualsiasi altro gravame fuoriesce da questa finalitĂ e deve giudicarsi una forma di accanimento in contraddizione con i principi di uno Stato democratico.
Nel caso di Cospito siamo in presenza di unâapplicazione ingiustificata: non câè unâorganizzazione anarchica che somigli in qualche modo alla mafia, per continuitĂ , struttura organizzativa, obbligo di fedeltĂ . Alfredo Cospito non pare che abbia qualcuno con cui comunicare per dare un ordine per la commissione di un attentato o di un altro delitto. Non è lui che organizza e dirige le manifestazioni che danno luogo anche ad atti di violenza. Quando il ministro Carlo Nordio, alla dichiarazione di Cospito sullâuso del digiuno come unâarma, prende alla lettera questa espressione, giustamente gli si è fatta una lezione sullâuso e il significato di una metafora. Cospito si dice in lotta contro il 41 bis in qualsiasi caso, e qualche mafioso lo ha incoraggiato a continuare il digiuno per sostenere la loro richiesta della sua abolizione, ma questo non può intendersi come una sorta di aggravante che giustificherebbe la protrazione del 41 bis per lui.
Credi che lâattuale governo neofascista favorirĂ la lotta alla mafia? Le misure adottate dal passato governo con la riforma Cartabia e quelle che pare si approntino sono utili alla continuazione della lotta alla mafia?
La presidente del Consiglio alla notizia dellâarresto di Messina Denaro si è precipitata in Sicilia, il ministro dellâInterno Matteo Piantedosi, quello della decimazione dei migranti di tipo nazista, che ricorda I sommersi e i salvati di Primo Levi, si è gloriato del fatto che è accaduto con il suo ministero. E si potrebbe pensare che i neofascisti al potere vogliano rappresentare una reincarnazione dello Stato forte, monopolista della violenza, che non tollera la presenza di unâorganizzazione come la mafia, che non riconosce quel monopolio. Ma il neofascismo italico piĂš che statalista è iperliberista: non intende âdisturbare coloro che fannoâ, cioè gli imprenditori che non vogliono vincoli alla loro attivitĂ ; ha tentato di elevare la soglia dellâuso del contante, favorendo il riciclaggio; vuole limitare lâuso delle intercettazioni, indispensabili in indagini sulle mafie, anche quando non riguardano direttamente la mafia, e regimentare la libertĂ di stampa; vuole attenuare o eliminare i controlli sullâuso dei fondi europei per la pandemia, e tutto questo favorirĂ il ruolo delle mafie.
Su un terreno su cui si muovono le mafie, come quello dei migranti, il governo Meloni vuole continuare e aggravare la politica che fu di Minniti, con regole demenziali: le Ong possono fare un solo salvataggio, o imperdonabilmente crudeli: i porti sicuri sono i piĂš lontani possibile. Vuole ridurre ed eliminare il reddito di cittadinanza che, nonostante brogli e abusi, ha dato da vivere a persone sotto la soglia della povertĂ , riducendo lâaccettazione del lavoro nero e schiavistico e la dipendenza dalle mafie, escludendo per il tempo in cui sarĂ ancora in vigore la popolazione âoccupabileâ, un concetto astratto che non significa che câè un lavoro, sicuro e con un pagamento dignitoso, ma che potrebbe esserci unâimprecisata offerta di lavoro. E ha ereditato la riforma Cartabia decisamente mafiogena su punti fondamentali, come la perseguibilitĂ su querela di parte di reati come il sequestro di persona, eliminando un principio costituzionale fondamentale come lâobbligatorietĂ dellâazione penale e introducendo una privatizzazione del diritto, che esporrebbe la vittima di unâazione delittuosa, per lâatto stesso di ricorrere alla giustizia, alle reazioni, probabili o immancabili, degli autori del delitto. Un quadro che, al di lĂ di dichiarazioni di circostanza, non può che favorire le mafie, tollerare la soggezione e indurre omertĂ . Si può obbiettare che lâobbligatorietĂ dellâazione penale nei fatti non è rispettata per la mole dei reati da perseguire, ma questo problema dovrebbe risolversi con una depenalizzazione dei delitti cosiddetti bagatellari, la cui individuazione andrebbe affidata a unâapposita commissione che dovrebbe essere super partes. Ma ci sono commissioni o altri organi super partes?
Lo scopo, perseguito da tempo e ora prossimo ad essere realizzato, è separare le carriere tra inquirenti e giudicanti, che si potrebbe anche fare senza mettere sotto controllo i PM. Si sta varando una politica giudiziaria che mette al guinzaglio la giustizia. E la condanna di Mimmo Lucano a 13 anni e 2 mesi, una pena piĂš grave di quella prevista per i mafiosi: da 3 a 6 anni per chi fa parte dellâassociazione mafiosa, da 4 a 9 anni per chi la dirige; lâassoluzione di Berlusconi che comprava con marchette milionarie il silenzio delle olgettine, dimostrano che ci sono magistrati che il guinzaglio ce lâhanno giĂ .
Câè da chiedersi come si è arrivati a regalare il potere ai neofascisti, perchĂŠ di questo si tratta: le divisioni del cosiddetto centrosinistra hanno spalancato la porta a un partito che non nasconde le sue origini, con la fiamma tricolore che sprizza dalla tomba di Mussolini, e risuscita la ânazioneâ. E qui si apre un tema di fondo: in Italia, nonostante le retoriche sullâantifascismo, sulla Resistenza, sulla Costituzione âpiĂš bella del mondoâ, non abbiamo fatto i conti con il fascismo. Si è cominciato con Togliatti ministro della Giustizia e la sua amnistia che comportò la continuitĂ delle strutture dello Stato: la pubblica amministrazione, la magistratura, la scuola, i servizi segreti; si è continuato con la formazione di un partito che raccoglieva i reduci di Salò e la tolleranza per i gruppi che si richiamavano apertamente al fascismo, hanno progettato ed eseguito le stragi e sono rimasti impuniti. Un lungo percorso che ha portato alla situazione attuale.
Cosa pensi di quanto hanno detto in parlamento i noti ex magistrati antimafia Roberto Scarpinato e Federico Cafiero de Raho, eletti nelle liste del M5S? La loro attività parlamentare può essere utile alla lotta alla mafia?
In una parodia di parlamento con semianalfabeti, senza arte nĂŠ parte, alcuni con carichi penali pendenti, Scarpinato e De Raho sono gli unici, o tra i pochissimi, che hanno competenze maturate sul campo e capacitĂ di analisi. Il problema è cosâè e cosa vuole essere un movimento come i 5 stelle. Dopo il governo Conte uno, con un presidente inesistente e Salvini come plenipotenziario, dopo una scenata inedita nella storia parlamentare, come il pubblico sculacciamento del fanfarone leghista, lâesperienza del Conte due ha avuto aspetti positivi, come la difficile gestione della pandemia, e la decisione di Conte di far eleggere i due ex magistrati ha lâaria di una formalizzazione di una scelta antimafia. Ma i 5 stelle, anche dopo la scissione pilotata dalla lobby Draghi, rimangono una creatura ibrida, multanime, con posture che, di fronte a un Pd che ha perduto ogni contatto con gli strati popolari ed è diventato un partito dâopinione che raccoglie voti soprattutto nei quartieri bene, sarebbero âdi sinistraâ, come la richiesta del salario minimo e lâattenzione per lâambiente. Il quadro politico è segnato da una crisi della democrazia rappresentativa, con tassi di astensione del 60 per cento, che mostrano unâestraneitĂ alla partecipazione che, in mancanza di alternative (una relativa crescita del volontariato e del terzo settore non incide sul piano elettorale) favorisce la destra estrema. Personaggi come Scarpinato e De Raho, con una loro storia e una loro cultura, in questo contesto, sembrano degli alieni.
Cosa è diventata Cosa Nostra?
Si parla di una Cosa nuova, una mafia manageriale, mercatista, che manda i figli a Oxford, ha rinunciato alla violenza e predilige la corruzione, insomma una sorta di maxilobby o un insieme di lobby, ma la realtĂ parla una lingua diversa. La rinuncia alla violenza nasce dagli effetti boomerang dei grandi delitti e delle stragi e non è detto che sia definitiva e non è necessario che sia agita, può avere un suo peso e una sua capacitĂ di intimidazione e di condizionamento anche se è potenziale ed eventuale. La storia della mafia, ma direi di tutti i fenomeni di durata, persistenti nel tempo, è un intreccio di continuitĂ e trasformazione-innovazione. Lâestorsione continua ad esserci ed è la matrice identitaria, lo zoccolo duro che non viene archiviato per non diventare un mutante alla deriva. Lâinnovazione, lâuso di forme nuove e lo sfruttamento di nuove occasioni di profitto e di speculazione, che caratterizzano quella che giĂ in un saggio del 1986 definivo âmafia finanziariaâ, con un ruolo decisivo della borghesia mafiosa, sono indispensabili se non si vuole diventare un fossile, un carretto siciliano sperduto su una trazzera di campagna. La globalizzazione non cancella la dimensione locale e le prassi originarie, anche se possono apparire arcaiche e invece sono perfettamente funzionali alle scelte innovative. Gaetano Badalamenti, che siamo riusciti a far condannare per lâassassinio di Peppino Impastato, è stato condannato a 45 anni di carcere come regista della Pizza Connection, e lo era, perchĂŠ la signoria territoriale esercitata sul territorio di Cinisi e sullâaeroporto gli consentiva lâinstallazione delle raffinerie di eroina e la spedizione dei carichi di droga negli Stati Uniti e la commercializzazione attraverso la rete delle pizzerie. Questo è stato il ruolo, originale e specifico, della mafia in quello che Gallino definiva âfinanzcapitalismoâ, che vede convivere la mafia dei quartieri urbani e dei centri provinciali con il crimine transnazionale e il cybercrime. E pare che si continui su questa strada.
Umberto Santino, fondatore e direttore del Centro siciliano di documentazione “Giuseppe Impastato” di Palermo. L’ultimo suo libro è Mafie: a che punto siamo? Le ricerche e le politiche antimafia (Di Girolamo).
Note
1 Vedi capitolo di Santino e anche altri che fanno riferimento al concetto di borghesia mafiosa e al âparadigma della complessitĂ â in Mafie: a che punto siamo? Le ricerche e le politiche antimafia (a cura di Umberto Santino), di Girolamo editore, 2022 (atti del convegno per il quarantennale dellâattivitĂ del Giuseppe Impastato)
2 Vedi U. Santino, La mafia dimenticata, Melampo 2017, recensito qui: âLa mafia un power-brokerâ
NO mafia memorial Il progetto di creare a Palermo un Memoriale-laboratorio della lotta alla mafia nasce come naturale prosecuzione dellâattivitĂ del Centro siciliano di documentazione, avviata nel 1977 (con il convegno âPortella della Ginestra: una strage per il centrismoâ) e formalizzata nel 1980 con la costituzione dell’associazione culturale intitolata a Giuseppe Impastato. Nel 2017, il sindaco di Palermo Leoluca Orlando e il presidente del Centro Impastato Umberto Santino hanno firmato il protocollo dâintesa per la realizzazione di quel progetto. Oggi il “NO Mafia Memorial” si snoda nella sede di Via Vittorio Emanuele 353, a Palermo, e include lâarchivio fotografico (al piano terra), la nuova mostra multimediale (al secondo piano), il percorso museale, la biblioteca/mediateca e lâarea didattica (con i laboratori per le scuole). Per informazioni e prenotazioni: www.nomafiamemorial.org
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