
In queste ore, chiusa in una gabbia, un’orsa patisce la tortura inflitta da una umanità sconsiderata. In queste ore, strappata ai suoi cuccioli, un’orsa subisce la punizione disumana di chi ancora crede che la natura vada dominata e non ascoltata, guidata e non seguita. Questa è una breve riflessione sul rapporto fra uomo e natura.
L’uomo vive nella natura, ma non ci vive esattamente come gli altri animali. La sua integrazione al mondo naturale è stata da sempre un po’ più difficile. Sarà che non abbiamo peli sulla pelle, che le nostre unghie hanno davvero poco a che fare con degli artigli, che non sappiamo arrampicarci, e che non siamo nemmeno particolarmente veloci, ma una cosa è certa però: l’uomo, così com’è, non basta a sé stesso. Morirebbe di freddo se non si cucisse un vestito, di fame se non sapesse coltivare la terra. Per fortuna però le mancanze del nostro corpo sono state colmate dall’ingegno della nostra mente. È proprio lì, fra un orecchio e l’altro, che abbiamo tutta la nostra forza, è proprio lì che abbiamo il nostro dono e la nostra condanna. Ed è davvero incredibile pensare che quella stessa cosa in virtù della quale sappiamo innalzarci e risolvere mille problemi, sia anche lo strumento del nostro abbrutimento, con cui violentiamo ciecamente i nostri simili e il mondo che ci circonda.
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Ma torniamo all’orsa Jj4: senza colpa per essere nata in una valle del Trentino, senza colpa per aver aggredito quella che riteneva essere una minaccia per i propri cuccioli, senza colpa insomma per aver fatto quello che la natura le ha insegnato a fare. Sono tante le domande che in queste ore ci passano per la testa. Ci chiediamo se abbiamo sbagliato a reintegrare gli orsi nei boschi del Trentino e riflettiamo su quanto sia stato colpevole illuderci di poterne controllare la natalità e contenere il numero a nostro piacimento. Le questioni che si possono e si devono aprire sono molte, e riguardano la possibilità di una convivenza, l’opportunità del reintegro, e le modalità di contenimento del pericolo. Comunque la si voglia pensare però, un fatto senz’altro rimane certo: quest’orsa non ha colpe. Quest’orsa non è infatti più pericolosa delle altre, e perciò non merita più delle altre la morte, né tanto meno la tortura a cui in questa disumana cattività, lontano dai suoi cuccioli, la stiamo costringendo.
Condannare l’orsa per aver ucciso un uomo significherebbe trascinarla davanti a un tribunale umano, come se un animale fosse punibile per aver trasgredito una legge che non è la sua. Come se fosse punibile, in altre parole, per aver rispettato la propria natura.
Non voglio essere frainteso: il dolore per la morte di Andrea Papi è profondo e chiunque di noi si sarebbe potuto trovare al suo posto. La sofferenza di una morte così tremenda non è neppure pensabile. Uccidere quest’orsa però non riporterà in vita nessuno, ma aggiungerà al dolore di una morte la vergogna di un’uccisione.
Sarebbe doloroso costatare che in qualche modo stiamo mettendo in atto una vendetta, ma ancora più doloroso è il sospetto che in questa vendetta si celi qualcosa di addirittura peggiore, qualcosa di più disonesto: uccidere l’orsa potrebbe essere infatti il tentativo di illudere i cittadini che il problema della convivenza con gli animali selvatici sia stato prontamente risolto. Il sacrificio di un singolo animale avverrebbe così in nome della tranquillità di molti uomini, con buona pace degli animalisti, e l’orsa Jj4 diverrebbe il capro espiatorio di una colpa tutta nostra. La questione della convivenza con gli orsi invece è tutt’altro che chiusa con questa cattura, ma al contrario proprio con questa cattura va aperta e va discussa, in modo serio e razionale.
È davvero giunto il tempo di riflettere su quanto gli equilibri della natura siano delicati, su quanto noi uomini siamo fragili davanti ai rivolgimenti che possono conseguire agli interventi poco saggi che facciamo su di essa, su quanto sia necessario rispettare ogni singolo frammento di flora e di fauna, ed educarci a una visione organica del mondo naturale. E senz’altro l’uccisione dell’orsa Jj4 non rappresenterebbe un passo in questa direzione.
L’atteggiamento imperialista con cui ci siamo abituati ad abitare il mondo va definitivamente abbandonato: abbiamo l’urgenza improrogabile di capire che la natura non è più qualcosa da dominare e controllare, ma è qualcosa a cui, ora più che mai, dobbiamo tentare, rispettosamente e cautamente, di reintegrarci.
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Quando si parla di “natura” occorrerebbe avere chiare le relazioni ecologiche. La specie umana dotata dell’esoscheletro “cultura” è natura come gli orsi. Nel caso in oggetto, sono degli umani che hanno reintrodotto l’orso in un territorio fortemente antropizzato. Un ipotetico ripristino di uno stato “naturale” antecedente o un modo per incamerare soldi? Prima gli orsi interagivano con popoli che li cacciavano e ne contenevano la diffusione, così avveniva con i popoli nativi che spesso amiamo. Oggi gli umani urbanizzati considerano ciò una crudeltà. Io vivo in montagna in una piccola borgata ai margini del bosco. Qui non l’hanno ancora portato, se arrivasse avrò il diritto di difendere la mia tana e i miei cuccioli (figli o nipoti)? O dovrò andarmene per non turbare l’animo di altri umani lontani dai boschi e chiusi nelle città? Se mettete l’orso noi dobbiamo poterci difendere. Nel caso specifico, quell’orsa avendo già ucciso è oggettivamente pericolosa per altri umani (quell’uomo non stava predando i suoi cuccioli, ma attraversava semplicemente un sentiero), quindi andava abbattuta subito. Nello stesso tempo servirebbe una condanna penale a chi ha promosso e gestito questo tipo di reintroduzione, ignoranti di ogni concetto ecologico. Infine mi raggela che tutta l’attenzione sia sull’orsa e non sull’umano che ha perso la vita.