Il sistema di accoglienza in Italia resta profondamente segnato da una dicotomia nella gestione ma dominano il controllo delle prefetture e le logiche emergenziali. Sarebbe forse ingeneroso dire che a un anno esatto dalla promulgazione della legge 173 del 2020 – quella che ha modificato, seppur parzialmente, le norme previste nel decreto Salvini – non sia cambiato nulla, dice Gianfranco Schiavone. Tuttavia, la situazione va sempre letta all’interno di un contesto che vede una discesa del livello di rispetto dei diritti fondamentali e che segna probabilmente la storia in maniera indelebile. Un’ampia intervista al presidente del Consorzio Italiano di Solidarietà, tra i fondatori del sistema Sprar e dell’Associazione studi giuridici sull’ immigrazione, tratta dal quaderno “Benevenuti“. Negli ultimi mesi, Schiavone ha partecipato al “Tavolo Lo Sai?” (promosso da Europasilo, Refugees Welcome, Recosol, ma anche da amministratori e studiosi) per trovare delle risposte concrete allo stallo in cui si trova l’accoglienza in Italia

Gianfranco Schiavone è presidente del Consorzio Italiano di Solidarietà-Ufficio Rifugiati. Tra i fondatori del sistema Sprar (Sistema nazionale di protezione per richiedenti asilo e rifugiati), e dell’Asgi (Associazione studi giuridici sull’ immigrazione) è autore di numerose pubblicazioni in tema di diritto dell’immigrazione e protezione internazionale. Ma, soprattutto, è da anni un riferimento indispensabile per chi si occupa di migrazioni e accoglienza. Negli ultimi mesi ha partecipato con convinzione al “Tavolo Lo Sai?” (promosso da Europasilo, Refugees Welcome, Recosol, ma anche amministratori e studiosi) per trovare delle risposte concrete allo stallo in cui si trova l’accoglienza oggi in Italia. Con lui abbiamo cercato di tracciare un quadro sulle varie tappe e criticità del sistema attuale.
È trascorso un anno dall’approvazione delle modifiche ai decreti sicurezza, cosa è cambiato?
Sarebbe forse ingeneroso dire che a un anno esatto dalla promulgazione della legge 173 del 2020 non sia cambiato nulla. Credo che comunque questa legge è stata estremamente importante, ha prodotto alcuni cambiamenti anche se modesti ma soprattutto questi cambiamenti vanno letti guardando al complesso della situazione europea. È inquietante lo sfaldamento, con un forte aumento delle violazioni dei diritti fondamentali delle persone ai nostri confini esterni: la terribile vicenda al confine tra la Polonia e la Bielorussia ne è soltanto la più recente e violenta dimostrazione. Quindi la situazione italiana va sempre letta all’interno di questo contesto che volge verso una discesa del livello di rispetto dei diritti fondamentali e che segna probabilmente la sua storia in maniera indelebile. Da questo punto di vista e considerata la storia recente, l’Italia nell’ultimo anno ha forse reagito meglio di altri territori e la legge 173 ha avuto il suo ruolo.
Cosa intendi esattamente?
Pensiamo ai tre punti fondamentali. Il primo è una riscrittura delle disposizioni sui soccorsi in mare con un articolo che è stato anche giustamente criticato perché la migliore formulazione sarebbe stata l’integrale abrogazione delle modifiche introdotte dal decreto Salvini. Comunque la nuova norma precisa le disposizioni per gli interventi di soccorso in mare, il rispetto dei diritti fondamentali delle persone così come prevede il principio di non respingimento e l’obbligo appunto di soccorrere sempre e comunque. Questo, come sappiamo, non avviene nella realtà, ma insomma diciamo che ora abbiamo un sia pur timido miglioramento rispetto all’epoca precedente. Il secondo aspetto fondamentale in senso migliorativo delle misure introdotte dalla legge 173 riguarda la protezione speciale, cioè il ripristino di quel terzo status di protezione che oggi consente al nostro paese di dare attuazione, forse non del tutto completa, all’articolo 10 della Costituzione configurando il diritto d’asilo come un diritto soggettivo da riconoscere allo straniero che si trova in condizioni di mancato esercizio delle libertà fondamentali. Quindi in situazioni molto diverse e più ampie da quelle previste dalla nozione di protezione internazionale. In particolar modo per come è stata riformulata la nozione di protezione speciale in relazione ai divieti di respingimento e di espulsione, a seguito dell’obbligo di rispettare la vita privata e familiare, questa previsione è decisamente innovativa.
Una protezione speciale a tutto tondo?
In un certo senso sì. Si tratta di una sorta di divieto di sradicamento, o diritto di radicamento delle persone che si sono costruite in qualunque modo una vita in Italia e il cui allontanamento violerebbe la loro vita privata e familiare. Un modo diverso e molto più ampio di quello della legislazione precedente. La nuova norma pone il rispetto della vita privata e familiare all’interno del diritto d’asilo configurandolo, per l’appunto, come un diritto fondamentale che l’amministrazione e lo stato non possono violare. Possono soltanto agire con un allontanamento della persona, laddove ci siano esigenze molto forti di tutela dell’ordine pubblico. Situazioni molto particolari e gravi e non certo qualsiasi violazione dell’ordinamento che ha portato quella persona a ricevere delle sanzioni penali.
Veniamo al terzo punto…
Il terzo punto di riforma fondamentale della legge 173/2020 riguarda il sistema di accoglienza. La riforma c’è stata, non lo possiamo negare. Nel senso che il decreto Salvini viene completamente modificato sotto questo profilo, ripristinando il sistema di accoglienza previgente, che si chiamava Sprar e che oggi viene chiamato Sai (Sistema di accoglienza e integrazione) – ma la differenza fra i due sistemi è molto ridotta. Di fatto è un ritorno alla ratio precedente e cioè che il sistema pubblico di accoglienza italiano riguardi sia i richiedenti asilo che i titolari di protezione internazionale e speciale nonché altre situazioni vulnerabili, in primo luogo minori stranieri non accompagnati. In tutto questo, i centri gestiti direttamente dalle prefetture, i cosiddetti centri di accoglienza straordinari, devono rimanere secondo l’ottica della nuova normativa strutture temporanee e provvisorie, da utilizzare solamente nel caso in cui non vi siano posti nelle strutture ordinarie del Sai e per il minor tempo possibile. In questo modo l’Italia torna a scegliere un modello avanzato di gestione dell’accoglienza dei richiedenti asilo e della protezione sociale dei rifugiati che potrebbe porla all’avanguardia in Europa.
L’uso del condizionale non è casuale…
Già perché nella realtà non è così. Il sistema nel ripristinare sostanzialmente ciò che c’era prima dell’ottobre del 2018 fa sicuramente un’operazione positiva fondamentale rispetto alla devastazione che l’accoglienza ha avuto nel periodo compreso tra ottobre 2018 e dicembre 2020, ma ignora quelli che erano i grandissimi limiti di quell’approccio. Non funzionava, o funzionava solo molto parzialmente, e anche oggi continua a non funzionare.
L’accoglienza è da sempre organizzata in un sistema binario che ha generato problematiche a diversi livelli: da una parte l’accoglienza strutturata in accoglienza diffusa gestita dai Comuni ex Sprar,/Siproimi e ora Sai, dall’altra quella più emergenziale gestita da privati e direttamente dipendente dalle prefetture, i Cas. Se da una parte il sistema ex Sprar risulta un esempio virtuoso di accoglienza, di fatto ad oggi sono i Cas che gestiscono la maggior parte dell’accoglienza in Italia. Perché?
L’espressione sistema binario è molto corretta ed è molto efficace perché il sistema italiano è sempre stato nella realtà un sistema binario fin dal 2002, cioè fin da quando, ormai vent’anni fa, nasceva per l’appunto il sistema Sprar: questa condizione quindi non è temporanea ma e strutturale, è una scelta di lungo periodo di cui sembra che non riusciamo più a liberarci. Questa presenza contemporanea nella gestione dei sistemi di accoglienza del modello Sprar oggi Sai e degli interventi di gestione invece diretta dello Stato, attraverso le prefetture, rappresenta una dicotomia sistematica e sistemica nel modello italiano. Cambia il tempo, cambiano le norme ma questa dicotomia non si riesce a superare. Oggi la norma ci dice di nuovo, e per la seconda volta, la prima era già avvenuta nel 2015 (con la riforma introdotta dal decreto legislativo 142 del settembre 2015, ndr), la stessa cosa: il sistema è unico ma la realtà non è affatto così. Dobbiamo smetterla di dire che temporaneamente non è così ma lo diventerà, perché altrimenti ci prendiamo in giro.
Cosa ha generato questo stato di cose?
Dobbiamo esaminare con molta attenzione cosa è successo in questi venti anni, in particolare dal 2015. Con il decreto legislativo 142 del 2015, il sistema unico diventa una finalità.
Per quale motivo questa finalità non viene mai raggiunta?
Il primo e fondamentale motivo è la questione della volontarietà della adesione degli enti locali al sistema Sai. Rinvio ai documenti di Europasilo e in generale ai documenti del “Tavolo lo Sai?”. La volontarietà e non l’obbligatorietà ha prodotto negli anni un sistema disomogeneo totalmente difforme sul territorio nazionale e ovunque – e sottolineo ovunque – largamente minoritario rispetto al sistema “vero”, che è quello gestito direttamente dalle prefetture. In nessun momento in questi anni il sistema Sprar oggi Sai ha superato più di un terzo dei posti disponibili. Solo oggi supera questa soglia perché il numero complessivo dei posti di accoglienza in Italia ha avuto una drastica contrazione ed è incredibilmente sottodimensionato rispetto alle esigenze di un Paese come l’Italia che, tra l’altro, è esposto agli arrivi dei richiedenti asilo soprattutto via mare.
Quindi un sistema strutturato sottodimensionato?
Il sistema Sprar prima del 2018 non ha mai superato mediamente il 20 o forse il 25 per cento dell’intero bisogno di accoglienza e in alcune regioni, soprattutto nel nord, si è situato mediamente al di sotto del 20, del 15 e persino del 10 per cento diventando in alcune territori, penso al Veneto ma anche al Friuli Venezia Giulia che è la regione dove io vivo, un sistema quasi irrilevante. Le ragioni per cui questo modello della libera adesione volontaria non consente di andare avanti e produrre un vero sistema, sono ampiamente spiegate nelle tesi appunto di Europa asilo e del “Tavolo lo sai? https://refugees-welcome.it/sistema-di-accoglienza-e-integrazione-le-proposte-del-tavolo-lo-s-a-i/. Lo ripeto perché ci sono motivazioni molto chiare dal punto di vista giuridico e anche dal punto di vista dell’analisi complessiva della realtà.
Percentuali risibili e gestione emergenziale. Come è possibile scardinare questa situazione cronica?
Il sistema binario è ormai consolidato, purtroppo. L’ intenzione evidente del ministero dell’Interno è di mantenere una propria predominante presenza nella gestione diretta del sistema di accoglienza e di lavorare sottotraccia in maniera costante per la disapplicazione di fatto della legge.
Sono accuse gravi.
Mi rendo conto che quello che dico può sembrare molto forte. Parlo di disapplicazione perché un’amministrazione chiamata a far rispettare la legge dovrebbe agire con tutti gli strumenti amministrativi in suo possesso per fare in modo che tutte le volte in cui è possibile attivare progetti da parte delle autonomie locali, questi abbiano la priorità. E soltanto quando non c’è alcuna risposta dal territorio, in via subordinata, la prefettura locale debba intervenire a garantire l’erogazione della accoglienza al richiedente asilo. Ricordo che l’accoglienza dei richiedenti asilo non è facoltativa ma è un obbligo derivante dal rispetto delle direttive dell’Ue e del diritto dell’Unione, in particolar modo della direttiva numero 33 del 2013 in materia di accoglienza. Il limite della volontarietà implica in primo luogo che l’ingresso dei comuni nel sistema può avvenire in qualunque momento e che lo Stato dovrebbe sempre considerare come privilegiato. Quindi, il fondo per le politiche sull’asilo, nella parte che riguarda il finanziamento del Sai, dovrebbe essere sempre disponibile e non solo quando escono dei rari bandi pubblici. I comuni dovrebbero poter prendersi progressivamente quote di accoglienza, il sistema Cas dovrebbe essere gestito sempre nell’ottica di un sistema che sostituisce o integra sistema Sai. Invece oggi avviene che c’è una programmazione a singhiozzo nella quale lo Stato mette a disposizione delle autonomie locali un certo numero di posti attraverso una programma con un meccanismo di presentazione delle domande con scadenze irragionevoli, con modalità anche di presentazione di organizzazione, di selezione, molto macchinoso.
Un vero e proprio percorso ad ostacoli…
È significativo della volontà politica: il sistema SAI deve rimanere assolutamente secondario. Neppure di fronte all’emergenza Afghanistan, alla più grave crisi umanitaria dell’ultimo periodo che aveva prodotto una grande risposta emotiva, si è colta l’occasione per un netto allargamento del sistema di accoglienza, ma a si è arrivati alla misera previsione di 3.000 nuovi posti.
L’arrivo dei rifugiati afghani non ha quindi modificato di molto questo stato di cose…
No. Per ciò che riguarda il 2022, la legge finanziaria prevede la copertura finanziaria per l’attivazione di altri duemila posti nel prossimo anno. Parliamo di numeri che fanno crescere il Sai ma nella stessa logica del passato e cioè piccoli incrementi che non spostano l’asse fondamentale del problema: il vero sistema è quello dei centri di accoglienza straordinari gestiti dalle prefetture.
Sempre il sistema binario…
È evidente che oggi il sistema complessivo è troppo sottodimensionato, che c’è sicuramente bisogno di dover rispondere a esigenze minime di accoglienza dei titolari di protezione ma purtroppo non c’è nessuna volontà di andare realmente a spegnere la macchina dei Cas o ridurla quantomeno al minimo… Eppure la legge dice che dovremmo andare progressivamente verso il sistema unico, ma non ci stiamo andando in alcun modo.
Da quanto dichiari sembra che si voglia a tutti i costi mantenere una logica emergenziale dell’accoglienza…
Esattamente, è un altro vantaggio di questa abile strategia di elusione della legge. Mantenere il sistema Cas in quanto dichiaratamente emergenziale temporaneo come un sistema che eroga solo i servizi essenziali. Quindi strutture di accoglienza molto modeste, tendenzialmente di grandi dimensioni con la presenza di servizi molto ridotti in termini di qualità, con pochissimi interventi di sostegno al percorsi di vita delle persone. Sostanzialmente un parcheggio… Non più come i parcheggi degradati dell’epoca salviniana ma un parcheggio un pochino più pulito e presentabile. Nella pratica succede anche che la maggioranza di titolari di protezione e altri rimangono anni dentro i Cas, con servizi cosiddetti essenziali e addirittura, secondo alcune prassi utilizzate dalle questure, in flagrante violazione della norma, una volta ottenuto il riconoscimento di protezione, vengono pure messi alla porta e non trasferiti nel sistema Sai perché non ci sono abbastanza posti di accoglienza! Tutto questo ha trasformato l’Italia in un paese nel quale l’accoglienza dei richiedenti asilo è volutamente un sistema solo emergenziale che viene percepito dalla popolazione italiana come un fastidioso peso.
Ma come viene invece percepito dai richiedenti asilo? Perché l’Italia sembra essere da sempre più un Paese di transito che di arrivo.
I richiedenti asilo con ragione percepiscono l’Italia come un paese che dà loro terribilmente poco in termini di prospettive di vita ed è questo il motivo per cui nonostante gli arrivi siano relativamente in aumento, i numeri rimangono molto modesti. Capiamoci: un numero significativo di richiedenti asilo e persino di titolari di protezione continua a concepire l’Italia come un paese di transito, quindi vengono accolti, ma poi prima o dopo se ne vanno. È come se il sistema italiano dell’accoglienza non producesse mai nulla, ma fosse soltanto un sistema di riempimento e svuotamento e non di crescita complessiva della società.
Sembra proprio che il fenomeno migratorio non debba appartenere alla nostra società…
Se guardiamo il numero dei richiedenti asilo che sono arrivati in Italia, quantomeno dal 2015 ad oggi, e quello complessivo dei titolari di protezione e poi andiamo a vedere quanti realmente vivono in Italia, beh ne esce un quadro sconcertante. Percentuali sempre molto basse con medie al di sotto di quella europea.
In tutto questo quadro drammatico esistono delle eccezioni?
Certo, esistono anche sperimentazioni virtuose in alcuni territori dove si è giunti invece ad una percezione positiva della presenza dei rifugiati, dove i modelli di gestione funzionano. Ma bisogna anche essere sinceri e dire che tutto questo non modifica il quadro generale. Non devono diventare esempi da mostrare pubblicamente e politicamente quando si fanno i convegni o quando il governo italiano deve fare qualche rapporto… Non si può presentare come funzionante un sistema che invece cambia per non cambiare, perché cambiano le normative, vengono abrogate poi vengono ripristinate, cambiano i numeri ma complessivamente questo modello resta ingessato.
Quindi poche o nulle speranze per un futuro diverso.
Nei prossimi tre anni, considerando la programmazione in corso, anche sulla base delle previsioni della legge finanziaria, andremo avanti a questo ritmo. Non avremo nessuna modifica strutturale ma avremo un lento e piccolo aumento del Sai. E avremo un continuo consolidamento del sistema Cas, in quanto non c’è nessuna ragione per dire che questo sistema dei centri straordinari è in fase di superamento.
Tu vivi e lavori a Trieste. La situazione degli abusi sui migranti provenienti dalla cosiddetta rotta balcanica è stata da te denunciata molto tempo prima che arrivasse alle cronache nazionali ed internazionali. Ora la recente inchiesta tedesca mette a nudo anni di abusi mascherati da apparenti “lecite” riammissioni. Cosa succederà ora che il re è nudo?
Per capire le riammissioni informali dei richiedenti asilo bisogna innanzitutto spiegare che cosa sono state. Si è trattato di una decisione politica totalmente illegale e chi l’ha assunta sapeva benissimo di non poterlo fare. La vicenda, emersa nel maggio 2020, consisteva nell’aver dato istruzioni alla polizia di frontiera terrestre del Friuli Venezia Giulia di impedire, tutte le volte che ciò fosse possibile, ai cittadini stranieri che arrivavano dalla rotta balcanica di presentare domanda d’asilo in Italia e contestualmente respingerli in Slovenia. Non come richiedenti asilo, perché ciò non è sarebbe stato possibile secondo la legge, ma come semplici “clandestini” che non avevano mai presentato la domanda di protezione internazionale o meglio, non avevano mai manifestato questa intenzione. La vicenda delle riammissioni, quindi, non ha nulla a che fare, come a volte viene detto un po’ per difenderla in maniera maldestra, con la questione del paese competente che esamina la domanda di protezione. Questa tematica è regolata dal pessimo regolamento Dublino III, che è necessario cambiare il prima possibile. Garantisce però il diritto di accesso del richiedente asilo nel paese in cui intende fare la domanda. La riammissione tra l’Italia e la Slovenia non era quindi il trasferimento di richiedenti asilo ma la negazione dell’esistenza dei richiedenti asilo con trasferimento forzato di persone a cui veniva impedita la presentazione della domanda d’asilo. La domanda che si sono posti gli autori di questa assurda e illegale strategia è stata: “Come facciamo a farlo senza che tutto ciò emerga?”. Ed ecco l’idea, geniale nella sua perversità, della cosiddetta informalità della riammissione… Ovviamente l’espressione riammissione informale è inaccettabile, lo comprende anche chi non è pratico di diritto, nel senso che nessuna misura della pubblica amministrazione nei confronti di una persona italiana o straniera può essere informale! Informale è qualcosa che riguarda i rapporti fra le persone nella vita quotidiana. Se l’amministrazione assume una decisione nei confronti di una persona, questa deve essere una decisione attraverso un provvedimento scritto, motivato in fatto e in diritto, e notificato alla persona affinché possa esercitare il diritto costituzionalmente garantito dall’articolo 24 della Costituzione. Alla sua difesa in giudizio avverso, questo provvedimento riguarda anche situazioni molto semplici. Faccio sempre l’esempio volutamente ridicolo della multa per divieto di sosta: il provvedimento della pubblica amministrazione nei confronti di una persona per una vera o presunta violazione del Codice stradale. Non esistono multe informali, non esistono appunto neppure a questo livello, figuriamoci quando parliamo di diritti fondamentali! Non è quindi difficile comprendere che non si può e non si poteva riammettere nessuno in Slovenia senza un provvedimento scritto e motivato. Ma se così fosse stato, questo sistema di illegalità non sarebbe sopravvissuto un giorno, perché nessuno poteva mettere per iscritto ciò che stava facendo. Quel provvedimento sarebbe stato impugnabile di fronte a un tribunale che, al di là dei possibili diversi orientamenti giurisprudenziali, avrebbe immediatamente evidenziato i profili di illegalità della condotta della pubblica amministrazione.
Quindi qual è stata la decisione?
Non assumere alcun provvedimento e raccontare questa farsa che è possibile non prendere alcun provvedimento… Della vicenda delle riammissioni devo dire che ciò che mi ha più colpito non è stata la condotta illecita delle istituzioni italiane bensì l’indifferenza con la quale tutto questo è avvenuto. Forse non si tratta solo di indifferenza, ma di una pericolosa omertà che ha coinvolto un po’ tutti all’interno delle istituzioni. Ha coinvolto la stampa e salvo rare meritevoli eccezioni, ha coinvolto la società civile e gli studiosi perché la ricetta delle riammissioni e delle riammissione informali è stata una violenta rottura della legalità sulla quale nessuno studioso poteva avere dei dubbi. La realtà è che viviamo in una società nella quale anche le più clamorose violazioni sono possibili, se riguardano in particolar modo i migranti. A Trieste per mesi si è discusso se le riammissioni fossero lecite o meno, come se si trattasse di una discussione da bar. La violazione della norma è talmente palese e urticante che avrebbe dovuto produrre una reazione immediata.
Ora però le riammissioni sono finite, cosa è accaduto?
Sì, dalla metà di gennaio 2021. A seguito della concomitanza di due fatti molto importanti: da un lato una risposta in parlamento della ministra Lamorgese all’interrogazione urgente del deputato Palazzotto. La ministra, sia pur in un linguaggio estremamente involuto, dove era evidente la poca volontà di chiarezza, tra le righe, riconosce che non sono possibili le riammissioni dei richiedenti asilo. Dall’altro, il 18 di gennaio 2021 è arrivata l’ordinanza del tribunale di Roma, a firma del giudice Silvia Albano, che accoglie l’istanza cautelare richiesta nei confronti di un richiedente asilo pakistano che era stato respinto mesi prima al confine italiano e che si trovava in Bosnia. Il tribunale accoglie la richiesta di far ritornare in Italia questa persona e stigmatizza, con una ricostruzione giuridica molto rigorosa, la condotta delle autorità italiane, responsabili di violazioni delle norme di diritto interno europeo e internazionale. Da allora, le riammissioni non sono più avvenute per tutto il 2021, sono continuati però questi logori dibattiti pubblici anche da parte di alti funzionari dello Stato….
Com’è la situazione attuale?
Oggi, dicembre 2021, possiamo dire che questa pagina è definitivamente chiusa con una visita al confine italo sloveno, a Trieste, attuata il 30 novembre da parte dei deputati Riccardo Magi e Matteo Orfini. Riprendendo una ennesima risposta del ministero dell’Interno a una interrogazione presentata da Magi, e con parole più chiare, si ammette che le riammissioni informali non possono essere mai applicate ai richiedenti asilo. Si tratta di una risposta che smentisce radicalmente una prima risposta data all’interrogazione – sempre presentata da Magi nel 24 luglio 2020 – e che mette in luce in maniera evidente la illegalità della condotta delle istituzioni italiane.
Benvenuti
L’abbiamo chiamato ancora “Benvenuti”, il secondo Rapporto sull’accoglienza diffusa del 2021, questa volta anche in dialogo vivo con i versi di Wole Soyinka, premio Nobel per la letteratura nel 1986, che trovate in controcopertina. Nelle 120 pagine che potete scaricare gratuitamente qui sotto, proviamo a guardare alla frontiera con gli occhi di chi non ha l’ossessione del controllo del territorio. All’interno trovate molte cose, ma soprattutto una declinazione dettagliata, limitata per lo più ai problemi dell’accoglienza, della pervasività nefasta delle inossidabili logiche emergenziali. Quell’influenza malefica proviamo a raccontarla, giorno per giorno, settimana dopo settimana, nelle centinaia di articoli pubblicati ogni anno su “Benvenuti Ovunque”, la testata interna a Comune-info in cui raccogliamo l’informazione dedicata ai migranti, ai rifugiati e ai richiedenti asilo. E la raccontiamo qui, in questo quaderno, nei diversi approfondimenti sulle difficoltà cronicizzate che ostacolano anche solo il riavvio (dopo lo smantellamento salviniano) di un sistema pubblico marcato in profondità dal dominio del controllo delle prefetture e dall’impronta emergenziale

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