Di George Monbiot*
Se Mosè avesse promesso agli Israeliti una terra dove fluivano secrezioni mammarie e vomito di insetti, lo avrebbero seguito a in Cananea? Anche se questo significa latte e miele, ne dubito.
Perché allora usiamo questi termini per descrivere le meraviglie naturali del mondo? Ci sono esempi dappertutto, ma illustrerò il problema con alcuni esempi presi nel Regno Unito. Sulla terra, i luoghi in cui la natura è protetta, si chiamano “siti di particolare interesse scientifico”. Al mare, vengono etichettate “ zone di divieto” o “aree di riferimento”. Se vi foste prefissi di allontanare le persone dal mondo vivente a stento avreste fatto di meglio.
Anche il termine “riserva” è freddo ed alienante: pensate a quello che intendiamo dire quando usiamo quella parola riguardo a una persona. “Ambiente” è altrettanto brutta: è una parola vuota che non crea alcuna immagine nella mente. Gli animali e le piante vengono descritti come “risorse” o “scorte”, come se ci appartenessero e se il loro ruolo fosse quello di servirci – un’idea che si estende disastrosamente dal termine “servizi ecosistemici”.
I nostri assalti alla vita e alla bellezza sono anche addolciti e nascosti dalle parole che usiamo. Quando una specie è annientata per mezzo dell’azione umana, usiamo il termine “estinzione”. Questo non comunica alcun senso di azione e confonde lo sradicamento da parte della gente con il ricambio naturale della specie. E’ come chiamare l’omicidio “scadenza”. Anche “cambiamento di clima” confonde la variazione naturale con la catastrofica distruzione che causiamo: una confusione deliberatamente sfruttata da coloro che negano il nostro ruolo. (Anche questo termine neutrale è stato ora bandito dall’uso nel Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti). Vedo ancora gli ecologisti che si riferiscono ai pascoli “migliorati”, intendendo la terra dalla quale tutta la vita è stata cancellata tranne un paio di specie di piante preferite per il pascolo o per l’insilato. Abbiamo bisogno di un nuovo vocabolario.
Le parole possiedono un notevole potere di modellare le nostre percezioni. L’organizzazione Causa Comune discute un progetto di ricerca in cui si chiede ai partecipanti di fare un gioco. A un gruppo è stato detto che si chiamava “Gioco di Wall Street”, mentre all’altro si è domandato di partecipare al “Gioco della Comunità”. Era lo stesso gioco, ma quando si chiamava Gioco di Wall Street, i partecipanti erano coerentemente più egoisti e avevano più probabilità di tradire gli altri giocatori. C’erano differenze analoghe tra le persone che svolgevano uno “Studio sulla reazione dei consumatori e uno “Studio sulla reazione dei cittadini”: le domande erano le stesse, ma quando le persone si vedevano come consumatori, era più probabile che associassero valori materialistici a emozioni positive.
Le parole codificano dei valori che sono innescati quando li sentiamo. Quando certe espressioni vengono ripetute, possono modellare e rafforzare la visione del mondo, rendendo difficile per noi considerare un argomento in una luce diversa. I pubblicitari e gli esperti di comunicazione comprendono fin troppo bene questa cosa: sanno di poter innescare certe risposte usando un cerato tipo di linguaggio, ma molti di coloro che cercano di difendere il pianeta vivente sembrano indifferenti a questa informazione.
Il fallimento catastrofico da parte degli ecologisti di ascoltare ciò che i linguisti cognitivi e gli psicologi sociali hanno continuato a dire loro, ha provocato la peggiore inquadratura di tutte: “il capitale naturale”. Questo termine ci informa che la natura è subordinata all’economia umana e perde il suo valore quando non può essere misurata con il denaro. Provoca quasi inesorabilmente all’affermazione espressa dall’organizzazione governativa Natural England: “Il ruolo fondamentale di un ambiente naturale che funziona adeguatamente, è di portare la prosperità economica.”
Inquadrando il mondo vivente in questo modo, seppelliamo gli argomenti che il denaro non può comprare. In Inghilterra e nel Galles, secondo un rapporto del Parlamento, la perdita del suolo costa circa un miliardo di sterline all’anno”. Quando leggiamo tali dichiarazioni, assorbiamo il suggerimento implicito che questa perdita potrebbe essere riscattata con il denaro, ma il totale di 1 miliardo di sterline perduto il quest’anno, più il miliardo di sterline perduto il prossimo anno, e così via, non è un certo numero di miliardi. E’ la fine della civiltà.
Una domenica sera sono andato a vedere i castori che hanno cominciato a ripopolare il fiume Otter nella Contea del Devon. Mi sono unito alle persone che tranquillamente procedevano fino alla loro tana. L’amico con il quale camminavo ha osservato: “E’ come un pellegrinaggio, non è vero?” Quando siamo arrivati alla tana del castoro, abbiano trovato una folla che stava in piedi in silenzio assoluto, sotto gli alberi. Quando è comparso un martin pescatore, poi un castoro, si poteva leggere la meraviglia e il piacere su ogni faccia. Il nostro stupore per la natura e il silenzio che dobbiamo osservare quando osserviamo gli animali selvaggi, allude alle origini della religione.
Allora, perché coloro che cercano di proteggere il pianeta vivente, che senza dubbio sono stati ispirati a dedicare la loro vita a questo tramite lo stesso senso di meraviglia e di venerazione, non riescono, così tristemente ad afferrare questi valori nel modo in cui nominano il mondo?
Coloro che gli danno un nome lo possiedono. Gli scienziati che hanno coniato il termine “siti di interesse speciale” stavano rivendicando dei diritti – indubbiamente senza volerlo: questo luogo è importante perché ci interessa. Coloro che descrivono i minuscoli frammenti di fondali dove non è permesso alcun tipo di pesca commerciale come “zone di riferimento”, ci dicono che il significato e lo scopo di tali luoghi è un riferimento scientifico. Sì, svolgono quel ruolo. Per la maggior parte delle persone che vivono lì, però, rappresentano molto di più: rifugi eccezionali affollati da creature che entusiasmano e meravigliano.
Invece che appropriarsi del diritto di dare i nomi, gli ecologisti professionisti dovrebbero reclutare poeti e linguisti e amanti della natura dilettanti per aiutali a trovare le parole per quello che amano. Ecco alcune idee, Per favore, miglioratele e arricchitele.
Se chiamassimo le aree protette “luoghi di meraviglia naturale”, non parleremmo soltanto all’amore della natura delle persone, ma stabiliremmo anche un’aspirazione che esprime quello che dovremmo essere. Smettiamo di usare la parola ambiente e adoperiamo invece termini come “pianeta vivente” e “mondo naturale”, dato che ci permettono di formarci un quadro di ciò che stiamo descrivendo. Abbandoniamo il termine “cambiamento di clima” e cominciamo a dire: “ degrado del clima”. Invece di estinzione adottiamo la parola promossa dall’avvocatessa Polly Higgins: ecocidio.
Abbiamo la fortuna di avere una ricchezza di natura e una ricchezza linguistica. Mettiamole insieme e usiamo una per difendere l’altra.
* giornalista e scrittore ambientalista (tra i suoi libri tradotti in italiano Apocalisse quotidiana. Sei argomenti per una giustizia globale, Edizioni Ambiente)
Fonte : The Guardian. Tradotto da Maria Chiara Starace per Z Net Italy (Licenza Creative Commons CC BY NC-SA 3.0)
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