Nonostante i ripetuti interventi della Corte costituzionale governo e maggioranza parlamentare rifiutano di abrogare i decreti sicurezza. Scrive Alessandra Algostino, professoressa di diritto costituzionale all’università di Torino: “Occorre rifiutare in toto la logica dei decreti: criminalizzazione e disumanizzazione del migrante, punizione della solidarietà, espulsione del disagio sociale e repressione del dissenso…”

Il 9 luglio con un comunicato stampa la Corte costituzionale ha annunciato di aver dichiarato l’incostituzionalità della disposizione che preclude l’iscrizione anagrafica degli stranieri richiedenti asilo introdotta dal primo decreto sicurezza (art. 13 decreto legge n. 113/2018, convertito in legge n. 132/2018). È un altro colpo ai decreti sicurezza, dopo il primo, se pur limitato, inferto con le sentenze nn. 194 e 195 del 2019: la Consulta, allora, aveva accolto le censure riguardanti il potere sostitutivo dei prefetti, lasciando impregiudicate altre questioni, dichiarate inammissibili in quanto proposte dalle Regioni in materie riservate in via esclusiva allo Stato.
Dopo che alcuni giudici avevano dato un’interpretazione tendente ad annullarne la valenza incostituzionale e che alcuni sindaci vi avevano esplicitamente “disobbedito”, la Corte, adita su ricorso dei tribunali di Milano, Ancona e Salerno, ha ritenuto la norma riguardante la (non) iscrizione anagrafica lesiva dell’art. 3 Costituzione. La violazione del principio di uguaglianza è duplice: «per irrazionalità intrinseca» rispetto alle finalità di controllo vantate dal decreto sicurezza e «per irragionevole disparità di trattamento», in considerazione del fatto che la mancata iscrizione anagrafica incide sul godimento di servizi essenziali.
Mentre si ripetono gli interventi della Corte costituzionale, sul versante politico si continua a discutere della modifica dei decreti sicurezza: il tema pare tornato in auge in questi giorni, ma l’abrogazione dei decreti sicurezza – l’abrogazione, e non al più l’attenuazione degli aspetti più controversi – doveva essere tra i primi passi del “nuovo” Governo… Non è solo questione di recepire i rilievi espressi, senza farne seguire un comportamento concludente, dal Quirinale, o di reintrodurre un novello modello SPRAR, abbandonando i grandi centri per strutture disseminate sul territorio e aperte anche ai richiedenti asilo. Occorre rifiutare in toto la logica dei decreti: criminalizzazione e disumanizzazione del migrante, punizione della solidarietà, espulsione del disagio sociale e repressione del dissenso.
Non è sufficiente una revisione che ampli, come si è ventilato, i casi di permesso umanitario (abrogato dal primo decreto sicurezza): occorre una legge che dia attuazione, dopo oltre settant’anni, all’asilo costituzionale (art. 10, comma 3), senza appiattirlo sulle più limitate forme di protezione internazionale. Occorre abbandonare la politica di esternalizzazione delle frontiere, che, attraverso accordi di riammissione conclusi in forma soft (violando l’art. 80 Costituione), con Stati come la Libia o il Sudan, viola il diritto di asilo e il principio di non refoulement e costituisce nella sostanza una forma di delocalizzazione della tortura.
Ma Governo e maggioranza parlamentare non mostrano di voler invertire la rotta. È passato quasi un anno dall’insediamento del governo Conte II e i decreti sicurezza sono ancora in vigore, a dimostrazione dello scarso interesse delle forze politiche al governo, che utilizzano le proposte di modifica nel gioco politico degli equilibri interni ed esterni, senza mostrare alcuna reale volontà di cambiamento (come emblematicamente si evince dalla proposta di ridurre ma non di eliminare le multe alle ONG, conservando intatta la ratio di criminalizzazione della solidarietà e l’“accettazione” del genocidio del popolo migrante che si compie nel Mediterraneo). Non solo. Il Governo, il 7 aprile 2020 ha chiuso con decreto interministeriale i porti alle navi delle ONG e ha condannato in mare per giorni, rifiutandosi di assegnare un porto, violando il divieto di trattamenti inumani e degradanti, naufraghi ed equipaggi (tra le ultime, la drammatica vicenda delle centottanta persone della Ocean Viking); la maggioranza parlamentare, dal canto suo, ha nuovamente approvato i finanziamenti alla Guardia costiera libica, nonostante rapporti e pronunce dei giudici [cfr. Corte d’assise di Milano, I, sent. 10 ottobre 2017, confermata dalla Corte d’assise d’appello di Milano, I, ud. 20 marzo 2019] che inequivocabilmente documentano le torture compiute nei centri di detenzione per migranti in Libia (per tacere della guerra che imperversa nel Paese).
I giudici possono, e devono, sancire e condannare violazioni dei diritti (e della Costituzione), ma non è sufficiente: occorre opporsi e rovesciare radicalmente politiche incostituzionali e disumane, sostenute da maggioranze parlamentari bipartisan o tripartisan, nel nome di una politica che attui la Costituzione e rispetti i diritti.
* Professoressa associata in Diritto costituzionale presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Torino.
Pubblicato su Volerelaluna.it (come sostenere Volere la luna).
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