“Sono stato aggredito, malmenato, ingiuriato, calunniato e diffamato da un fascista. Tutto ciò pubblicamente, nel mio quartiere. Questo per il solo fatto di aver difeso dei ragazzi nigeriani richiedenti asilo politico e per aver documentato, come la mia professione richiede, ogni singola minaccia o fatto di interesse per la mia narrazione”. Oggi abbiamo ricevuto una mail che chiedeva aiuto. La scrive un ragazzo, musicista e giornalista a Roma, che denuncia di aver subito una violenta aggressione: è stato picchiato per aver difeso e documentato minacce razziste contro altri ragazzi, nigeriani. L’aiuto che Alberto chiede a noi è di far circolare la notizia, perché “la gente sappia ciò che capita a tutti” ma crediamo che non debba essere lasciato solo. Facciamo la nostra parte pubblicando il testo che ci ha indicato sul suo diario facebook. Non è esattamente quella che aveva annunciato come una ricostruzione dei fatti – che speriamo possa comunque trovare altre sedi – ma è comunque una denuncia grave, scritta come fosse una sorta di invettiva contro l’indifferenza che può e deve trovare altre risposte, soprattutto da chi ad Alberto è più vicino
di Alberto Salmè
Io oggi ho paura.
Ho paura di Voi.
Premetto che in quanto esseri umani mi fate schifo. Tutti.
Sono coerente: mi faccio schifo anche io. Da solo.
Vi dico una sola cosa, cari signori miei: ci sono cose che fanno molto più male delle legnate sulla capoccia.
Una di queste è la vostra indifferenza.
Io mi ci sono trovato spesso nei panni di chi chiede aiuto, e per il solo fatto di chiedere aiuto è guardato con diffidenza, con circospezione e disprezzo.
Perché: “Se ti hanno aggredito un motivo ci sarà”.
E’ vero, un motivo c’è sempre. Forse non è quello che piace a Voi, ma sulla forma sono anche piuttosto d’accordo.
Quella passata è stata una delle giornate più brutte della mia vita.
Perché?
Perché pur sapendo che esistono i razzisti, i fascisti, i pericoli pubblici conclamati, io ho continuato a essere un giornalista.
L’ho fatto credendo in me, nei miei ideali e nel mio dovere di denunciare odio, reati e violenze.
Anche al costo di subirle sulla mia pelle.
Sono stato aggredito, malmenato, ingiuriato, calunniato e diffamato da un fascista. Tutto ciò pubblicamente, nel mio quartiere.
Questo per il solo fatto di aver difeso dei ragazzi nigeriani richiedenti asilo politico e per aver documentato, come la mia professione richiede, ogni singola minaccia o fatto di interesse per la mia narrazione.
Una narrazione che parla di odio.
Di odio per il diverso, il debole e l’emarginato.
Perché se ci pensate bene, cari signori miei, le vostre paure di parteggiare quando qualcuno chiede aiuto a gran voce, provengono dal fatto di sapere che fine fa chi di aiuto ha bisogno.
Avete paura delle conseguenze del pericolo che ti costringe ad aggredire a tua volta, o a fuggire.
Ma soprattutto: avete paura delle conseguenze pubbliche di ciò di cui sopra.
Voi, signori miei, siete degli omertosi perché siete delle vittime.
Come me.
E vi impigrite, sornioni, cercando scuse per farle, le vittime.
La mia narrazione parla e parlerà sempre di odio.
Anche del mio personale odio.
Odio per Voi che siete degli indifferenti, e Gramsci ormai è abituato a rivoltarsi.
Odio per chi usa la violenza però poi bercia quando abbandonano un un dolce cagnolino in strada. E comunque alla fine gli immigrati: “Aiutiamoli a casa loro”.
Odio per la vostra piccola, meschina ipocrisia quando dite che avete tutti: “Degli amici froci”, ma poi a fronte di un bacio gay in pubblico vi girate dall’altra parte a rendere onore ad una vostra sedimentata idea di perbenismo e morale.
Odio per le vostre speculazioni sui rom, “parassiti, criminali, sottosviluppati”, ma poi il cazzo di otto per mille lo donate al mannaggia al Cristo, al fine di cercare di dormire meglio, quando se vi affacciate dal balcone di casa un’alternativa, vi dico, la trovate di sicuro.
Non pubblicherò una foto del mio volto tumefatto.
Non lo farò: siete obbligati a leggere per sapere, se volete sapere.
Siete obbligati ad ascoltare qualcosa che esula dalle beghe personali, anche politiche, che oppongono, in uguali misure umane, idee diverse e antitetiche.
Uno, nessuno o centomila per me non fa differenza.
Ciò che fa differenza, per quanto riguarda il mio piccolo mondo (forse totalmente immaginario), è cercare di cambiare anche una sola anima con il mio esempio.
Non con le mie auliche e raffinate opinioni.
Siete obbligati, e lo sapete, a parteggiare.
Io sono un musicista, giornalista, umanamente e professionalmente forse un fallito, di 33 anni.
Mi chiamo Alberto Salmé e sono quello che sono.
Sono contro i fascismi, il razzismo, il neoliberismo, la xenofobia e la violenza.
E queste parole rappresentano la mia essenza.
Queste parole, poche, sono tutto ciò che sono e mi rimarrà per sempre.
Anche il loro suono mi appartiene.
Ed è per questo che non farò mai nemmeno un passo indietro rispetto a questo. Posso tradire Voi, anche uno ad uno, ma non tradirò mai me stesso.
E’ anche per questo che continuerò a scrivere e a denunciare ciò che penso debba essere corretto e rivalutato. Non userò violenza contro la violenza, consapevole comunque di non essere Gandhi.
Anche a costo di rimetterci le penne.
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