Abbiamo bisogno di liberare la letteratura comparata dall’eurocentrismo. Negli ultimi venti anni, alcuni percorsi di ricerca – come quelli promossi da Dionýz Ďurišin (scomparso nel gennaio di venticinque anni fa) e Armando Gnisci – ripensano il modo di intendere la letteratura e, parlano, ad esempio, di mediterraneità, per mettere al centro un’idea di letteratura in grado di accettare volentieri la presenza affollata e mutante della pluralità
Santorini, isola della Grecia. Foto tratta da pixabay.com
Di Letteratura Mondiale se ne sentì pubblicamente parlare agli inizi del Duemila, in occasione di collaborazioni scientifiche tra l’Italia e la Slovacchia, grazie al proficuo lavoro di ricerca del comparatista slovacco Dionýz Ďurišin. È passato molto tempo da allora e rileggere oggi le sue opere – a venticinque anni dalla sua scomparsa – solleva l’esigenza di riappropriarsi del valore del dialogo e di quella espressività umana che, da tempi immemorabili, riflette esperienze individuali nella vita delle comunità.
Da sempre la letteratura, che si tratti di mondi mitologici o realistici, è espressione di una dimensione umana legata al rapporto con l’altro i cui esiti, belli o meno belli, sono inevitabilmente dati dal nostro essere in rapporto con. È attraverso questa prospettiva che andrebbe riattualizzata la prassi e la ricerca, rivendicando le giuste relazioni per un nuovo modo di intendere e praticare anche la Letteratura comparata, superando quella triste pretesa eurocentrica che ha ripreso a dominare il nostro presente.
Le traiettorie che negli anni porteranno il comparatista slovacco all’idea di una Letteratura mondiale, alle ricerche sui centrismi interletterari, sulla conoscenza di fenomeni nuovi dei testi e sugli scambi con le culture dell’Africa e dell’Oriente, faranno di lui uno dei più influenti studiosi capace di dare vigore a uno studio culturale, plurale e complesso, portatore di un nuovo internazionalismo.
Gli anni Novanta saranno gli anni all’apice delle sue ricerche in cui, la cooperazione tra studiosi slovacchi e studiosi italiani – tra i quali spicca il comparatista Armando Gnisci – porterà ad analisi sempre più ampie, con la messa in campo di una nuova metodologia. Nuove interpretazioni che sapranno dire della realtà di comunità interletterarie quale fenomeno intriso di ampie relazioni, tappe intermedie all’interno del processo letterario che, a partire dalle società ad organizzazione tribale, passando attraverso le letterature nazionali, approderanno insieme a una unità finale. Non limitandosi cioè a osservare il processo letterario nazionale solo all’interno dei ristretti confini di una letteratura nazionale tradizionale, prevarrà per Ďurišin e per il consesso di colleghi dell’Istituto di Letteratura Mondiale dell’Accademia delle Scienze di Bratislava, lo sforzo interpretativo di guardare all’opera attraverso nuove e più ampie relazioni, interessandosi di far emergere e definire altre componenti dello sviluppo letterario rimaste nell’ombra.
La scelta sarà quella di mettere insieme – attraverso precisi criteri geografici – «culture e letterature secondo i loro tratti naturali, studiandone gli elementi che ne determinano la loro evoluzione in ambienti conformi».
Tra le sue numerose pubblicazioni si distinguono, per innovazione alla ricerca letteraria, Čo je svetová literatúra? (Cos’è la letteratura mondiale?, 1992) e Sterdomorie medziliterárna siet’ (Il Mediterraneo. Una rete interletteraria, pubblicata postuma nel 2000). In queste opere la determinante geografica e il caso del mar Mediterraneo in particolare diventeranno elementi di importanza strategica che avranno la funzione di «unificare la mediterraneità in un centrismo interletterario ben individuabile». Un mare che abbraccia tre continenti – Africa, Asia ed Europa – dove, ricorderà Gnisci, nel corso del tempo «le civiltà e le storie, le invasioni e le resistenze, i matrimoni e le guerre, le espansioni islamiche e le crociate cristiane, la colonizzazione fenicia e quella greca, la conquista turca e la decolonizzazione maghrebina si sono sovrapposte in un processo di accatastamento mai interrotto».
L’area del Mediterranea assurge così, sia dal punto di vista storico, che culturale artistico e letterario, a immagine centrale e concreta di un nuovo concetto di letteratura mondiale, che terrà conto dell’evolversi del fenomeno letterario contemplando, non soltanto i prestiti letterari o i forestierismi, quanto soprattutto il contesto sociale, politico e culturale nel senso più esteso del termine.
Un nobile compito spetta dunque ai comparatisti di quegli anni che si prefiggeranno di superare i limiti eurocentrici attraverso una nuova prospettiva interculturale, concependo «la tradizione mediterranea come un’ottima preparazione a un destino mondiale in cui, il primo atto che la mente dovrà fare sarà quello di adattarsi ed accettare volentieri la presenza affollata e mutante, pressante e costipata della pluralità. Nel sollievo di non doversi porre, più o meno esplicitamente, il problema dell’inizio sin dall’inizio: la malattia filosofica primaria del pensiero europeo, quando si fa maschile e solitario, quando pensa di poter pensare tutto e come unico al mondo», scriverà ancora Gnisci.
In questa nuova visione proiettata a privilegiare la molteplicità dei punti di vista, non limitandosi a seguire rigidi criteri di appartenenza, scorgiamo le tracce di uno o più Mediterranei possibili.
Le letterature – anche quelle più lontane tra loro all’interno di una comunità specifica, seppure non unificate, con relazioni socio culturali asimmetriche e di certo non ugualitarie – non si sviluppano isolatamente ma dentro una rete di scambi. Strade storiografiche inaudite dunque che, anche a partire dalle culture dei Paesi colonizzatori, arriveranno a co-evolversi con le stesse culture colonizzate.
Continuando a seguire questa prospettiva, il cui attuale dibattito sembra purtroppo e in parte essersi arenato su posizioni di ghettizzazione da una parte, o timidi tentativi di riconoscimento dall’altra, emerge – oggi più che mai – l’urgenza di ulteriori chiavi interpretative, utili a far luce sul nostro presente buio e incerto.
Rileggere Dionýz Ďurišin – le cui opere mancano purtroppo di recenti ristampe italiane – chiama tutti noi a una responsabilità politica e civile che ci permette di liberare, almeno in letteratura, il bacino del Mediterraneo da quel rigido eurocentrismo e pensarlo volentieri come una zona mobile, incontrollabile e prolifica. «Nuove letterature creole-meticce; testi temi e scrittori che si contaminano fino a formare una zona disseminata e contaminante con tutti i mondi intorno»; una idea, quella dello studioso slovacco, che ha fatto della sua ricerca la «imprescindibile mondialità del colloquio umanistico come vera dimensione e giusto valore di qualsiasi studio letterario». L’idea di una comunità-mediterranea che nonostante tutto ancora attualmente persiste, ci parla della grande trasformazione che la migrazione attuale sta svolgendo nella proposta di una nuova modernità. Un Mediterraneo quale spazio aperto e dialogante, diametralmente opposto a quella realtà rappresentata da confini e barriere «“prese d’assalto” dai migranti provenienti dalle altre sue sponde».
Resistono ancora invece quelle particolari differenza e pluralità di discorsi che si tengono aperti tra di loro attraverso le migrazioni e i meticciati. Un colloquio incessante e continuo tra chi sa ascoltare, tra chi non si è arreso e vuole inventare e ri-scrivere insieme un nuovo presente.
Si ringrazia Nora Moll, professore associato di Letteratura comparata, per i preziosi suggerimenti.
Clara Santini, docente di lingua italiana come L2, mediatrice culturale, vice presidente Carminella APS e membro della Biblioteca antirazzista Carminella di Roma
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