L’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, signora Michelle Bachelet, ha espresso tutta la sua preoccupazione per quello che ha definito “questo letale disprezzo per i disperati”. Poi l’ex presidente del Cile ha ribadito la necessità di un’azione più determinata per dispiegare sufficienti operazioni di ricerca e soccorso nel Mediterraneo centrale chiedendo sostegno per il lavoro delle ONG e l’adozione di un accordo comune e basato sui diritti umani per lo sbarco tempestivo di tutte le persone soccorse in mare. Ha invitato infine il governo libico di unità nazionale e l’Unione europea e i suoi Stati membri a riformare urgentemente le loro attuali politiche e pratiche di ricerca e salvataggio nel Mar Mediterraneo centrale che spesso privano i migranti delle loro vite, della loro dignità e dei diritti umani fondamentali. Nel commentare queste rilevanti affermazioni, Fulvio Vassallo Palelogo fa l’ennesimo amaro e drammattico punto della situazione
1. Le politiche dell’abbandono in mare continuano a produrre vittime, corpi abbandonati ai libici dai mezzi di soccorso degli stati europei che avrebbero potuto intervenire tempestivamente, vittime che non meritano neppure un comunicato ufficiale. Per i superstiti, “il rilascio” in Libia significa soltanto che sono stati fatti scomparire e si trovano forse già nelle mani di altri torturatori, e che il governo libico non garantisce per la loro incolumità. Con la complicità dei governi europei. Dietro gli accordi bilaterali stipulati con l’Egitto, la Libia, la Tunisia, l’Algeria ed il Marocco ci sono cospicui finanziamenti europei e si nasconde l’operato dell’agenzia europea per il controllo delle frontiere esterne Frontex. Una rete di responsabilità che sono riuscite finora a sottrarsi alla giurisdizione internazionale ma sulla quale arriva adesso la pesante condanna dell’Alto Commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite.
2. Il governo maltese è giunto al punto di “ringraziare”i le autorità di Tripoli per la collaborazione nei respingimenti “su delega” ( anche a pescherecci di una flotta privata maltese) che hanno permesso di riportare in Libia migliaia di persone. Anche Salvini nel 2018 si era espresso allo stesso modo. Adesso, da Roma sono arrivati dal nuovo governo Draghi ampi riconoscimenti e consistenti forniture alla sedicente “Guardia costiera libica”. Che continua ad essere assistita e supportata dalla missione Nauras di Mare Sicuro ( operazione della Marina militare italiana) a Tripoli. Il documento adottato dal Commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite dovrebbe essere il punto di partenza per una indagine internazionale indipendente che giunga a sanzionare le più eclatanti violazioni delle Convenzioni internazioali perpetrate dagli Stati in nome della “difesa dei confini” e della “lotta all’immigrazione illegale”.
Il governo, “provvisorio”, di Tripoli rimane incapace di sanzionare chi viola i diritti umani sui territori che controlla e si può ritenere responsabile del mantenimento, nei ruoli della sedicente guardia costiera libica, di personaggi, come il noto trafficante Bija di Zawia, che da anni risultano espressione dei gruppi criminali più forti che si camuffano da guardiacoste ma che in realtà operano come trafficanti. Nulla si sa delle modalità delle intercettazioni operate in acque internazionali, di quelle gestite dai maltesi e di quelle operate dai libici, sotto gli occhi degli agenti europei a bordo dei velivoli di Frontex, e nulla si fa sapere sulla sorte delle persone che vengono riportate a terra, destinate ad essre abusate e rivendute.
3. Chiunque continua ancora a rappresentare la realtà dei soccorsi nel Mediterraneo centrale con il richiamo ad una zona SAR “libica” mente sapendo di mentire, perché non esiste una intera zona di mare interamente sotto il controllo di una unica centrale di coordinamento nazionale (MRCC) in Libia, e soprattutto perché la sedicente Guardia costiera libica, per quanto assistita dalla missione italiana NAURAS presente a Tripoli, non ha le capacità operative per garantire la salvaguardia della vita umana in mare nella vastissima zona che si è assegnata. Appare poi in evidente contraddizione la posizione delle Nazioni Unite che con l’IMO (Organizzazione internazionale del mare) riconoscono una zona SAR libica, con le conseguenze che ne derivano, e con le dichiarazioni dell.OIM (Organizzazione internazionale delle migrazioni) e dell’UNHCR (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati) continuano a confermare che la Libia non garantisce porti sicuri di sbarco e che gli Stati devono evitare qualunque tipo di respingimento verso quel paese. Si dovrebbe consultare anche l’ultimo Report dell’OIM sulla presenza del COVID-19 in Libia, per comprendere dove sarebbe necessario intervenire e come. I respingimenti collettivi non risolveranno nulla, anzi aggraveranno tutti i problemi, anche sanitari, in un territorio ancora diviso tra milizie mercenarie pronte alla guerra. Se le Nazioni Unite ritrovassero un minimo di coerenza, dopo quanto accertato dall’OIM, dall’UNHCR e adesso dall’Alto Commissario per i diritti umani Bachelet, la zona SAR “libica” dovrebbe essere immediatamente sospesa e sostituita da una missione internazionale di soccorso. Fino a quando questo non avverrà le Nazioni Unite continueranno a perdere credibilità ed autorevolezza.
Diverse associazioni, tra le quali Statewatch, hanno sottoscritto una lettera aperta con cui si invita l’IMO a revocare la zona di ricerca e salvataggio libica (SAR), a causa del suo status irregolare e delle prassi che subordinano il diritto marittimo, il diritto internazionale e i diritti dei migranti agli obiettivi della politica sull’immigrazione. Nella lettera si denuncia il riconoscimento di zone SAR esclusive, riservate ad un singolo stato, al fine di ritardare i soccorsi, per consentire respingimenti e suggerire che la nazionalità degli equipaggi delle navi di salvataggio, o la loro bandiera, possa essere utilizzata come motivo valido per ostacolare il completamento dei soccorsi. Inoltre, secondo la denuncia, questo riconoscimento di una competenza “esclusiva” dei libici viene utilizzato per punire i cittadini europei per aver salvato persone che altrimenti sarebbero state abbandonate al loro destino. Da tempo, l’Imo, che ha sede a Londra, non risponde a queste denunce e gli Stati che si avvalgono della “finzione” di una zona Sar libica si guardano bene dal sollecitare un diverso atteggiamento di questo organismo Di fatto appare sempre più evidente come il finanziamento delle milizie libiche e il blocco delle navi umanitarie con i fermi ammiistrativi abbiano incrementato le traversate in autonomia e le organizzazioni criminali che le gestiscono. Inoltre, gli accordi bilaterali finalizzati al blocco delle partenze dalla Libia, se non ad un vero e proprio “blocco navale” delegato alle motovedette libiche, assistite e coordinate da Frontex e dalle autorità italiane, hanno prodotto come conseguenza rivendicazioni territoriali di diversi Stati o gruppi militari, al di fuori delle acque nazionali riconosciute alla Libia, ed hanno sconvolto il quadro delle relazioni politiche, militari ed economiche in tutto il Mediterraneo, con un crescente rischio per i lavoratori della pesca che operano a bordo dei pescherecci siciliani a nord delle coste africane. Quanto rilevato da diverse agenzie delle Nazioni Unite, ed adesso dall’Alto Commissario per i diritti umani Bachelet, impone scelte politiche conseguenti da parte dell’Unione Europea e degli Stati membri.
4. Il 22 febbraio scorso Il Consiglio dell’Unione Europea ha adottato precise conclusioni nelle quali si ribadisce l’impegno dell’UE a rispettare, proteggere e garantire i diritti umani, la democrazia e lo Stato di diritto nonché a dare prova di unità nel sostenere il sistema dei diritti umani delle Nazioni Unite quale pietra angolare della sua azione esterna. Secondo gli impegni assunti dal Consiglio, “L’UE assicurerà, soprattutto nel contesto della pandemia di COVID-19, che tutti i diritti umani rimangano al centro della sua risposta alla pandemia e della ripresa mondiale. Continuerà a monitorare la situazione dei diritti umani a livello globale e denuncerà le violazioni e gli abusi dei diritti umani ovunque siano commessi, avvalendosi di tutti gli strumenti disponibili, compreso il regime globale di sanzioni dell’UE in materia di diritti umani. L’UE sosterrà pienamente il lavoro e il mandato dell’Alta Commissaria delle Nazioni Unite per i diritti umani e del suo Ufficio e inviterà tutti gli Stati a rispettarne l’indipendenza, a cooperare affinché possa realizzare pienamente il suo mandato e a garantire finanziamenti adeguati”. Tutto questo non può essere trascurato quando si tratta di affrontare il dossier dei soccorsi in mare nel Mediterraneo centrale.
Non trova alcuna giustificazione, nè fondamento nelle Convenzioni internazionali, una limitazione all’ingresso nelle acque territoriali per le sole navi di soccorso che battono bandiera straniera. Navi che non violano le leggi sull’immigrazione ma adempiono ad obblighi di salvataggio che gli stati omettono da tempo.A prescindere dallo stato di bandiera, quando una nave carica di persone soccorse in acque internazionali si trovi al limite o all’interno della cd. “zona contigua” alle acque territoriali, e chiede di fare ingresso in porto per sbarcare naufraghi, ricade sotto la giurisdizione dello stato, sia per l’adozione delle misure di carattere penale ed amministrativo, sia in modo corrispondente per quanto riguarda gli obblighi di sbarco e di assistenza, con particolare riferimento ai minori ed ai soggetti più vulnerabili.
Nessuno stato, avvertito di un evento di soccorso di persone in situazione di pericolo in alto mare, può rifiutare il coordinamento delle prime fasi delle attività SAR, o attendere l’esito di trattative con altri stati, ad esempio con lo stato di bandiera della nave soccorritrice, allo scopo di “scaricare” su quest’ultimo l’onere dello sbarco a terra dei naufraghi, come in diverse occasioni è stato affermato dal ministro dell’interno Lamorgese. Appare poi del tutto fuorviante ritenere che lo stato di “primo contatto” possa essere lo “stato di bandiera” della nave soccorritrice sulla quale sono saliti i naufraghi, e non invece la prima autorità statale informata dell’evento di soccorso e chiamata a predisporre gli interventi necessari nel tempo più rapido possibile,attivando tutte le forme di coordinamento e di intervento previste dalla Convenzione di Amburgo. Di fronte al tentativo condotto da alcune procure che, per criminalizzare i soccorsi oerati dalle ONG, capovolgono il sistema gerarchico delle fonti del diritto scandito dall’art. 117 della Costituzione e ribadito dalla Corte di Cassazione con la sentenza del 16 febbraio 2020, il richiamo al diritto internazionale del mare operato dall’Alto Commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite impone il ripristino dello Stato di diritto e un ripensamento delle politiche migratorie gestite attraverso la leva del processo penale.
5. Non si può accettare che la situazione di progressiva erosione dei diritti umani riconosciuti dalle Convenzioni internazionali, determinata magari dai condizionamenti imposti dagli stessi soggetti politici che poi sfruttano le immagini di morte, abbandono e desolazione che derivano dalle loro politiche, possa continuare ancora ad aggravarsi nella lunga fase di “convivenza” con la pandemia da COVID-19. Occorre ripristinare la certezza del diritto ed il principio di legalità nelle sedi giudiziarie, nel rispetto degli indirizzi di diritto internazionale richiamati dall’Alto Commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite, ma occorre anche una proposta complessiva e coraggiosa di svolta politica e amministrativa sui temi dell’immigrazione e del soccorso in mare. Una svolta, anche dal punto di vista legislativo e quindi delle prassi applicate, che segnino una vera discontinuità con quanto finora avvenuto, e che si continua a verificare, malgrado il cambio di governo. Occorre stabilire con legge che le persone da soccorrere in acque internazionali non possano essere abbandonate in alto mare per giorni, o affidate ai “salvataggi” operati dai guardiacoste libici, che li riportano, se arrivano in tempo, nei campi di detenzione nei quali continuano ad essere praticate violenze ed estorsioni quotidiane.
A) Occorre sospendere qualsiasi accordo di cooperazione con le autorità libiche che non garantiscono porti sicuri di sbarco. Va ritirato il Decreto interministeriale del 7 aprile 2020 che dichiara i porti italiani “non sicuri”, e quindi vieta l’ingresso, ma solo per le imbarcazioni battenti bandiera straniera che abbiano soccorso naufraghi in acque internazionali. L’Unione europea deve bloccare tutti i finanziamenti che l’Italia utilizza per alimentare il sostegno alla sedicente Guardia costiera libica, che ha dimostrato ampiamente di non garantire la sicurezza delle persone migranti e la salvaguardia della vita umana nè in mare, nè a terra.
B) Non si può negare a nessuno di raggiungere una frontiera europea per presentare una domanda di protezione internazionale. Le pratiche di respingimento collettivo sono in violazione della Convenzione di Ginevra sui rifugiati (art. 33) e della Convenzione europea a salvaguardia dei diritti dell’Uomo ( art. 2,3,5,13) oltre che della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (artt. 18 e 19). In attesa che l’Unione Europea modifichi sostanzialmente il Regolamento Dublino, occorre prevedere un percorso preferenziale per il riconoscimento di uno status di protezione in frontiera e per la redistribuzione dei richiedenti asilo e degli altri migranti soccorsi in mare in altri paesi europei, in modo comunque di garantire uno status di accoglienza dignitoso in linea con gli standard imposti dalle Direttive dell’Unione Europea. Occorre sospendere tutte le attività di respingimento “su delega” operate da Frontex che, dai suoi assetti aerei presenti nel Mediteraneo centrale, in collaborazione con le autorità italiane,e maltesi, indirizza le autorità libiche sui barconi da intercettare in acque internazionali. Esattamente l’opposto di quanto richiede adesso l’Alto Commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite.
QUESTO IL COMUNICATO DELL’ALTO COMMISSARIO PER I DIRITTI UMANI DELLE NAZIONI UNITE
Agire per proteggere i migranti nel Mar Mediterraneo centrale, Bachelet sollecita Libia e UE
GINEVRA (26 maggio 2021) – L’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani Michelle Bachelet ha invitato il governo libico di unità nazionale e l’Unione europea e i suoi Stati membri a riformare urgentemente le loro attuali politiche e pratiche di ricerca e salvataggio nel Mar Mediterraneo centrale che spesso privano i migranti delle loro vite, della loro dignità e dei diritti umani fondamentali.
“La vera tragedia è che gran parte della sofferenza e della morte lungo la rotta del Mediterraneo centrale è prevenibile”, ha detto Bachelet mercoledì, mentre l’Ufficio delle Nazioni Unite per i diritti umani ha pubblicato un rapporto sulla ricerca e il salvataggio e sulla protezione dei migranti nel Mediterraneo centrale.
“Ogni anno le persone affogano perché gli aiuti arrivano troppo tardi o non arrivano mai. Coloro che vengono soccorsi sono talvolta costretti ad aspettare giorni o settimane per essere sbarcati in sicurezza o, come è sempre più accaduto, vengono rimpatriati in Libia che, come è stato sottolineato in innumerevoli occasioni, non è un porto sicuro a causa del ciclo di violenza”, ha detto l’Alto Commissario.
Secondo il rapporto, le prove suggeriscono che la mancanza di protezione dei diritti umani per i migranti in mare “non è una tragica anomalia, ma piuttosto una conseguenza di decisioni politiche e pratiche concrete da parte delle autorità libiche, degli Stati membri dell’Unione europea (UE) e delle istituzioni , e altri attori che si sono uniti per creare un ambiente in cui la dignità ei diritti umani dei migranti sono a rischio “.
La relazione, che copre il periodo da gennaio 2019 a dicembre 2020, rileva con preoccupazione che l’UE ei suoi Stati membri hanno ridotto in modo significativo le loro operazioni di ricerca e soccorso marittimo, mentre alle ONG umanitarie è stato impedito di effettuare il salvataggio salvavita operazioni. Inoltre, le navi mercantili private evitano sempre più di andare in aiuto dei migranti in difficoltà a causa dei ritardi e delle pause per il loro eventuale sbarco in un porto sicuro.
L’Agenzia dell’UE della guardia di frontiera e costiera (FRONTEX), la forza navale dell’UE per il Mediterraneo (operazione IRINI) e gli Stati membri dell’UE hanno incoraggiato la guardia costiera libica (LCG) ad assumersi maggiori responsabilità per le operazioni di ricerca e soccorso in acque internazionali. Tuttavia, ciò è avvenuto senza un’adeguata diligenza dovuta e salvaguardie sui diritti umani, portando a un aumento delle intercettazioni e dei rimpatri in Libia, dove i migranti continuano a subire gravi violazioni e abusi dei diritti umani. Nel 2020, almeno 10.352 migranti sono stati intercettati dalla Guardia costiera libica in mare e rimpatriati in Libia, rispetto ad almeno 8.403 nel 2019.
La relazione sollecita la Commissione europea e gli Stati membri dell’UE a garantire che tutti gli accordi o misure di cooperazione sulla governance della migrazione con la Libia siano coerenti con gli obblighi degli Stati membri ai sensi del diritto internazionale, compreso il diritto internazionale dei diritti umani. Tutto il coordinamento dell’UE con le autorità libiche in materia di ricerca e soccorso dovrebbe essere subordinato alla garanzia che i migranti soccorsi o intercettati in mare non saranno sbarcati in Libia e saranno designati come porto sicuro.
Nonostante un calo significativo del numero complessivo di migranti arrivati in Europa attraverso la rotta del Mediterraneo centrale negli ultimi anni, centinaia di persone continuano a morire – almeno 632 finora nel 2021.
Per coloro che sono stati soccorsi, i ritardi nello sbarco in un luogo sicuro hanno causato ulteriori sofferenze, con i migranti a volte lasciati per giorni o settimane a bordo di navi poco adatte a un alloggio a lungo termine. Il rapporto rileva che tali ritardi sono diventati più acuti durante il 2020 a seguito della pandemia COVID-19, con alcuni migranti costretti a mettere in quarantena a bordo delle navi in mare. Una volta sbarcati, i migranti hanno anche dovuto affrontare una serie di sfide, comprese condizioni di accoglienza inadeguate e il rischio di detenzione obbligatoria, prolungata o altrimenti arbitraria.
“Siamo tutti d’accordo sul fatto che nessuno dovrebbe sentirsi obbligato a rischiare la propria vita, o quella delle proprie famiglie, su barche inadatte alla navigazione in cerca di sicurezza e dignità”, ha detto Bachelet. “Ma la risposta non può essere semplicemente impedire le partenze dalla Libia o rendere i viaggi più disperati e pericolosi”.
L’Alto Commissario, che ha espresso la sua preoccupazione per quello che ha definito “questo letale disprezzo per i disperati”, ha ribadito la necessità di un’azione più determinata per dispiegare sufficienti operazioni di ricerca e soccorso nel Mediterraneo centrale. Ha anche chiesto sostegno al lavoro delle ONG umanitarie e all’adozione di un accordo comune e basato sui diritti umani per lo sbarco tempestivo di tutte le persone soccorse in mare.
“Fino a quando non ci saranno sufficienti canali di migrazione sicuri, accessibili e regolari, le persone continueranno a tentare di attraversare il Mediterraneo centrale, indipendentemente dai pericoli o dalle conseguenze”, ha aggiunto. “Esorto gli Stati membri dell’UE a mostrare solidarietà per garantire che i paesi in prima linea, come Malta e l’Italia, non siano lasciati ad assumersi una responsabilità sproporzionata”.
Leggi il rapporto completo qui: https://www.ohchr.org/Doc
Fonte: Adif
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