Quella grande e non prevista accoglienza piena di rabbia e nonviolenza degli ebrei per la pace organizzata per Netanyahou a Capitol Hill, che non piace ai media
Non una parola stamane sui principali siti d’informazione; giusto qualche stringata agenzia di stampa ne riporta notizia. Eppure quanto accaduto ieri a Washington, nei palazzi di Capitol Hill, non dovrebbe passare inosservato né da un punto di vista politico né tanto meno da quello dell’informazione giornalistica.
I fatti: un gruppo di attivisti, diverse centinaia di persone dell’organizzazione Jewish Voice for Peace, si sono radunate per dare vita a una protesta nonviolenta, dando vita adun sit-in all’interno di uno degli edifici del Congresso accessibile al pubblico, in occasione della imminente visita di Benjamin Netanyahu a Washington. I manifestanti indossavano magliette rosse con le frasi Not in our name (“Non in nostro nome”) e Jews say stop arming Israel (“Gli ebrei chiedono di smettere di armare Israele”) e brandivano striscioni con la scritta Ceasefire now and Let Gaza Live. (“Cessate il fuoco ora” e “Lasciate vivere Gaza”). Una volta all’interno dell’edificio si sono seduti in cerchio attorno a uno striscione che recitava “Nessuno è libero finché tutti non sono liberi”. E hanno cantato “Lasciate vivere Gaza” e “Fermate il genocidio”.
Dopo pochi minuti è intervenuta la polizia, intimando di allontanarsi e sospendere la protesta e quindi, di fronte alla mancata reazione dei manifestanti, procedendo all’identificazione e arresto di un centinaio di loro; nelle, poche, immagini viste, si è potuto notare con chiarezza come i manifestanti non abbiano opposto alcuna forma di resistenza all’arresto.
C’è moto da raccontare in una piccola azione: un gruppo che scombina le carte della voluta semplificazione con la quale si deve raccontare e leggere questa storia – ebrei da una parte, palestinesi dall’altra, e tutti gli altri a tifare – un metodo di protesta che anch’esso stravolge la narrazione ordinaria dei cattivi contro i buoni, l’incapacità di dialogare e il timore del pensiero. Tutti motivi, dalle nostre parti, più che validi per non raccontare.
Giovanna Ogliari dice
Nessuno è libero finché tutti sono liberi