La visione del femminismo mette al centro la cura del vivente nel suo insieme. Un prendersi cura collettivo delle vulnerabilità, non solo umane, in cui la difesa della salute è al centro di un ecosistema organico di cui tutte e tutti facciamo parte. Un concetto politico che non vuole essere solo teoria ma anche e soprattutto prassi di una lotta e di una linea di azione collettiva. Cristina Morini, che ha scritto, in tempi e contesti editoriali diversi, saggi e articoli preziosi sul reddito, i processi del lavoro, il valore, l’autonomia, le biopolitiche del corpo e molti altri temi essenziali (coordina e si prende cura della redazione di Effimera da quando esiste), in questa breve intervista realizzata dall’associazione Yaku in occasione dell’OLtrEconomia Festival 2021, spiega perché la discussione delle donne da decenni indica il “paradigma” della “cura” come mezzo per sovvertire l’ordine delle cose e trasformare il mondo e le relazioni tra le vite che lo abitano
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Quale relazione vedi tra la diffusione della pandemia e l’attuale sistema economico?
Viviamo senza dubbio in un mondo reso terreno fertile allo scoppio di una pandemia. Senza essere epidemiologi o ricercatori scientifici, le concause della tragedia che stiamo soffrendo sono sotto gli occhi di tutti: sfruttamento intensivo dei territori e della natura, estrattivismo, antropocene o capitolocene – in tutte le sue più diverse interpretazioni; inoltre i tagli allo stato sociale e alla sanità degli ultimi trent’anni hanno praticamente aperto la strada all’incubo che stiamo vivendo.
Le misure restrittive adottate dai governi per contenere la diffusione pandemica hanno penalizzato le fasce della popolazione più fragili. Quali e come?
In realtà si parla anche di “sindemia” proprio per indicare la molteplicità dei fattori sinergici che hanno scaricato i costi delle misure restrittive adottate dai governi sulle fasce più deboli: gli anziani, i migranti, le donne, le fasce più impoverite della popolazione; insomma “le vite ritenute non essenziali” dall’attuale sistema economico e sociale. Un processo di espusione selettiva che ha colpito le fasce della popolazione meno in grado di proteggersi.
Di fatto il lockdown è stato in alcuni casi un lusso per chi ha potuto permetterselo, magari in una casa di campagna con giardino; lo stesso vale per lo smart working, o la didattica a distanza prevista per le scuole chiuse, pensando a chi ha potuto riconvertire così il proprio lavoro e alle diverse possibilità e agli spazi domestici delle singole famiglie.
Viviamo in un mondo di relazione in cui ognuno è interconnesso con gli altri e con il mondo che ci circonda. Quale definizione dai del termine “cura”?
Il dibattito femminista ha da tempo proposto il paradigma della “cura” per traformare il mondo. La genealogia del termine proviene da un lungo processo iniziato non solo dal mondo femminista, ma da tutta una serie di soggetti resi e considerati secondi, i migranti, le fasce più deboli della popolazione. Il termine “cura” da un lato certamente ci riporta a quell’aspetto di attenzione verso l’altro, che va oltre ovviamente al riferimento del lavoro casalingo e di cura familiare messo in discussione dai movimentii femministi dagli anni ’70, come il rifiuto del salario domestico ecc.
Il paradigma della “cura” è necessario per leggere il mondo in maniera diversa. La visione del femminismo mette al centro la cura del vivente nel suo insieme. Di un prendersi cura collettivo delle vulnerabilità, non solo umane, in cui la difesa della salute è al centro di un ecosistema organico di cui tutte e tutti facciamo parte. Un concetto politico che non vuole essere solo teoria ma anche prassi di una lotta e di una linea di azione collettiva.
Come leggi le attuali divisioni sociali sui temi della vaccinazione al Covid19 e del Green Pass?
Credo sia mancato ancora un momento di elaborazione collettiva e che vada recuperato un “senso comune”: una visione condivisa di quanto successo considerando che la pandemia e le misure prese per contenerla hanno creato profonde sofferenze e solitudini individuali. È necessario ritrovare un’unione di corpi che sanno di essere vulnerabili e di organizzarsi in forme curanti di autorganizzazione. Elaborare un’agenda politica comune, pretendere servizi sociali all’altezza della precarietà esistenziale a cui siamo continuamente soggetti. É necessario uscire dallo scontro amico/nemico causato dallo stridere delle diverse opinioni causate dall’adozione del greenpass e dalle politiche delle campagne vaccinali. Ritrovare collettivamente le modalità per proporre soluzioni politiche propositive e non litigiose.
Quale analisi proviene dal mondo femminista dell’attuale contesto sociale?
Le donne sono e sono state un soggetto potentissimo nelle lotte dei movimenti, dall’America Latina all’Europa, un movimento trasnazionale, transfemminista, con una profonda capacità di lettura e di analisi del realtà attuale – anche per l’intenso legame biologico che senza dubbio esiste tra la donna e la vita. I femminismi non sono certamente l’unico processo emancipatorio in grado di leggere lo sfruttamento causato dal sistema capitalistico e patriarcale. I soggetti sono molteplici quanto le lotte, le resistenze e i conflitti sociali attuali. Ma in particolare i femminismi si sono sottratti alla visione di uno sfruttamento della riproduzione sociale di cui si è alimentato il sistema capitalista.
In un’agenda politica comune, a mio avviso, il diritto a un reddito di autodeterminazione incondizionato e garantito a tutte e tutti, significherebbe permettere a tutte e a tutti una scelta: se stare nel lavoro, stare nella cura, come starci e comunque partecipare o meno alle tante lotte di emancipazione da cui ricostruire un altro mondo possibile.
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