Una leonessa che allatta un cuccciolo di leopardo. La danza della sottovalutata normalità va in scena quotidianamente, anche in questo preciso momento. Ti basta chiudere gli occhi e disattivare il timorato antivita che il sistema inoperativo ti ha imposto di installare. Vedi ciò che vedo io? Malgrado le divisioni semantiche e le ossessioni cromatiche, le anime differenti si attraggono e si incontrano ovunque. La diversità della natura non è affatto straordinaria
Capita che una foto diventi virale, ovvero, per esteso, guarda, guarda bene, condividi, piacizza, desktopizza e tagghizza.
Una leonessa che allatta un cucciolo di leopardo, recita la didascalia.
“Non capisco il clamore”, fa la madre al figlio inaspettato.
“Non capisco cosa dici”, osserva quest’ultimo interrompendo la saporita abbuffata solo per una frazione di secondo.
Perché questo e niente di più è il tempo che meritano le vane complicazioni.
Umane.
Nondimeno, al netto dell’eccezionale diffusione della suddetta istantanea, e di innumerevoli quanto vane guerre a suon di venefiche parole e sguardi ostili, gesti sgradevoli e bestiali assembramenti virtuali – prima ancora di divenir reali pugne – la danza della sottovalutata normalità va in scena quotidianamente, anche in questo preciso momento.
Ti basta chiudere gli occhi e disattivare il timorato antivita che il sistema inoperativo ti ha imposto di installare.
Vedi ciò che vedo io?
Malgrado le divisioni semantiche e le ossessioni cromatiche, le anime differenti si attraggono e si incontrano ovunque.
Spesso è tutto sangue e urla all’interno della finestra principale, arrogantemente aperta sul nostro orizzonte digitale, ma non è solo questo, il mondo.
In quest’ultimo, ora, proprio adesso, ci sono persone che si stringono la mano, malgrado quel che l’epidermide suggerisca.
Altre si stanno abbracciando, incredibilmente, sì, sebbene i rispettivi culti facciano fatica anche solo a guardarsi l’uno nel divino dell’altro.
Alcune si stanno perfino conoscendo, rinunciando a scattanti smart e mirabolanti app. Difatti, avvalendosi della vera magia del terzo millennio – portento vintage che non va mai di moda, per buona sorte – hanno avuto il coraggio di seguire la ricetta indicata dall’antiquato incantesimo: io parlo, tu ascolti, poi tu parli e io sono tutto orecchi, quindi daccapo, finché insieme saranno diventate inevitabilmente qualcosa di meglio.
Ci sono quelli che hanno scelto di leggere il più possibile per capire loro, ancora prima di incontrarli.
E ci sono quelli che stanno facendo l’identica cosa con se stessi, ancora prima di oltrepassare la soglia di casa.
Perché i confini, tutti i confini della terra, sono transitati sempre da una persona alla volta.
E in ciascuno di questi istanti è come se il mondo resettasse.
Perché questo siamo, miliardi di possibili inizi, giammai il contrario, per noi e addirittura per interi popoli che non riescono a entrare neppure in una frase ponderata per anni, figuriamoci in un gratuito commento da giornata storta.
Poi arriva la foto perfetta, in mezzo a un mare di strafalcioni viventi, e ci sentiamo improvvisamente bene.
“Non li capisco”, fa l’improvvisata mamma, alquanto basita.
“Non ti capisco”, ribatte di nuovo il piccolo.
Be’, è comprensibile, vista l’età parla a mala pena il leopardese, figuriamoci il leonino.
Ma non è affatto un problema, questa è solo una delle miliardi di differenze.
Che li uniscono.
Perché, se osservi attentamente, ancora un attimo prima di riaprire gli occhi.
Vedrai che la diversità della natura non è affatto straordinaria.
E’ semplicemente naturale.
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Il sole brucia e la terra pure, i numerosi ultimi arrancano, i pochi primi tutt’altro, e quelli di mezzo, invece di sostenere i molti alle spalle, arrivano addirittura a incolpare di tutto questi ultimi, facendo il gioco della minoranza fortunata.
Il tempo scorre, la polvere che resta nella clessidra diminuisce con l’aumento delle zone grigie tra la già sparuta chioma e la fiducia nel prossimo, tara tipica dei non più giovanissimi nelle giornate che fanno di tutto per buttarti giù.
Allora provi a disegnare orizzonti alternativi, attingendo perfino all’incoscienza e all’improbabilità delle più ingenue tra le intenzioni, li vedi vacillare al primo vagito dell’infantile profittatore delle strade facili dalla cravatta troppo stretta sulla fantasia e ti chiedi se è il caso di continuare a viaggiar da solo.
Poi alzi la testa e non guardi avanti, giammai indietro, bensì accanto e li vedi, quelli di Comune-info, che per tutto il tempo erano là, sulla stessa strada, passo dopo passo, a pensare, gridare e fare. Con te.
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