Il nuovo rapporto di ReCommon, intitolato “Sabbie mobili – L’impronta fossile di Eni in Tunisia”, racconta come la multinazionale petrolifera italiana incide sulla democrazia in Tunisia, per controllare il petrolio nel Nordafrica
La pubblicazione è incentrata su una missione sul campo indirizzata a ripercorrere la storia più recente di Eni in Tunisia, dove la multinazionale italiana opera dal 1961, con l’obiettivo di scoprire quale sia l’eredità lasciata dal cane a sei zampe in questi decenni e che cosa si celi realmente dietro le voci di addio che più volte sono circolate attorno al suo nome. Il tutto ponendosi la domanda se quella in corso possa davvero considerarsi una transizione e a quale logica rispondano i nuovi investimenti della società nel Paese.
La missione ha toccato varie località della Tunisia, dove si sono svolti incontri con attivisti, giornaliste, contadini, sindacalisti, esperti, deputate e anche lavoratori dell’industria petrolifera. Le storie raccolte parlano di povertà, marginalizzazione e aspettative tradite. Ma anche di resistenza, agitazioni sindacali e rivolte che hanno sfidato le multinazionali del fossile e la militarizzazione che accomuna molte delle regioni in cui esse operano.
Da diversi anni ormai, complici il naturale esaurimento dei depositi e il calo degli investimenti dovuto anche alle turbolenze politiche, il settore petrolifero tunisino attraversa una fase di crisi. Quasi tutte le multinazionali che operano nel Paese, Eni inclusa, hanno più volte manifestato l’intenzione di cedere le proprie concessioni, ma finora nessuna ha dato seguito agli annunci.
Sebbene la produzione petrolifera del Paese sia molto ridotta rispetto a quella dei suoi vicini, come Algeria o Egitto, la Tunisia riveste comunque un ruolo fondamentale nello scacchiere energetico del Mediterraneo. Il suo territorio è infatti attraversato dal Transmed, il gasdotto costruito e gestito da Eni, che trasporta il gas algerino fino in Italia. Un’infrastruttura diventata ancor più strategica ora che il nostro Paese deve supplire alla riduzione dei flussi dalla Russia e per farlo ha stretto nuovi accordi con l’Algeria, diventato il nostro primo fornitore di gas.
Recentemente, il colosso energetico italiano ha deciso di espandere le sue attività in Tunisia, anche oltre il settore dei combustibili fossili. Pochi mesi fa, è entrato in funzione il primo progetto per la produzione di energia da fonti rinnovabili realizzato da Eni nel Paese. La società sta inoltre investendo nella coltivazione industriale di carburanti vegetali che serviranno ad alimentare le bio-raffinerie del cane a sei zampe a Gela e Marghera.
“In questo periodo in Tunisia è in atto una nuova svolta autoritaria che rischia di archiviare gli esiti politici e sociali della rivoluzione. Il suo popolo ha però dato prova di essere disposto a lottare per i propri diritti e le proprie libertà. E di questo dovrà tenere conto anche Eni” ha affermato Alessandro Runci, autore del rapporto.
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