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Nell’ultimo mese e mezzo a Quarticciolo (quartiere popolare di Roma est) la vita è andata veloce. Una manifestazione di quartiere per chiedere il risanamento della borgata, la sveglia all’alba per opporsi alla violenza della prefettura e di ATER durante tre sgomberi, un blocco del traffico spontaneo di centinaia di persone. Poi ancora l’annuncio che riaprirà la piscina, i tavoli con ATER e con il municipio, qualche vertenza che sembra sbloccarsi. Dieci mila persone che invadono i lotti per il 25 Aprile, una festa di un pomeriggio dentro a un quartiere soffocato dalle piazze di spaccio e dalle operazioni del prefetto, una giornata in cui le attività commerciali “fanno l’incasso dell’anno” in una borgata in cui hanno chiuso altri quattro negozi e di serrande aperte ne rimangono poche, un momento di orgoglio per chi è raccontato sempre e solo nelle pagine di cronaca nera. Piccoli pezzi, cose grandi e cose piccole, cose in parte contraddittorie, cose che ci spingono a porci delle domande.
Se quello che succede da queste parti riguardasse anche altri? Se fosse in fondo non così diverso da quanto succede a Bastogi, al Tufello, a Casal de Pazzi o a Laurentino? Se l’abbandono dei nostri quartieri fosse l’altra faccia della medaglia di una città che fa del centro un parco giochi per turisti e dei grandi eventi l’unico motore dello sviluppo? Se fosse lo stesso problema a tenere gli studenti nelle tende e noi con gli ombrelli dentro casa?
Sarebbe utile allora lottare insieme. Metterci in ascolto di chi cerca di impedire che Spintime diventi un albergo, di chi vuole che il MAAM, Porto Fluviale o Casale de Merode diventino case, degli edili che chiedono che la rigenerazione urbana sia qualcosa in più di uno slogan, di chi nei quartieri c’è nelle mille forme in cui oggi ci si riesce a stare.
Questo appello vuole essere un sasso nello stagno: c’è spazio in questa città per porre dal basso dei vincoli alla devastazione che il libero mercato sta facendo delle nostre vite e dei nostri territori?
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