Sono circa trenta le associazioni che a Roma, almeno un centinaio a livello nazionale, in diversi modi, con molto entusiasmo e non poche difficoltà hanno cominciato a dare senso all’espressione scuola aperta e partecipata. Alcuni di coloro che le animano ogni giorno sabato si sono date appuntamento sotto un papiro
Cosa ci fanno un papiro e una pianta di arachidi accanto a un melo e a un pesco? I bambini e le bambine del Bibliorto e i più grandi che frequentano ogni giorno la Casa dei mille, spazi recuperati nella scuola Garibaldi di Roma dall’Associazione genitori Anita, lo sanno bene: le aiuole migranti legano popoli e culture, cancellano muri e confini, rendono un orto comunitario un luogo più bello. La mattinata dedicata dalle scuole aperte e partecipate di Roma per scambiare idee, esperienze e cibo buono (ma anche semi di piselli, grazie all’Associazione genitori 303) è cominciata con una passeggiata nel Bibliorto, uno spazio che ogni giorno si riempe di vita e che non ha dimenticato la storia della scuola in cui si trova: i seminterrati ora inutilizzati, spiegano quelli di Anita, sono stati rifugio antiaereo durante la guerra, ma anche una mensa dei poveri e raccolgono l’archivio della scuola, dove ad esempio alcuni documenti ricordano di quel bambino assente perché di religione ebrea o di quel maestro assente perché “non ha aderito al partito fascista“.
Sono circa trenta le associazioni che a Roma, almeno un centinaio a livello nazionale, in diversi modi, con molto entusiasmo e non poche difficoltà hanno dato senso all’espressione scuola aperta e partecipata. Si tratta per lo più di gruppi di genitori (in realtà hanno iniziato a muoversi anche i ragazzi e le ragazze di alcuni istituti superiori) che cominciano dal “fare“, per poi cercare vie formali per affiancare la vita delle scuole: promuovere iniziative sulla genitorialità, organizzare iniziative culturali e sportive aperte a tutti, coltivare orti insieme, mettere su mercatini del riuso e riciclo, recuperare e vivere spazi abbandonati per trasformarli in nuove piazze…
Per prendersi cura di quelle piazze naturalmente gli ostacoli non mancano. C’è da reinventare i modi con cui imparare a camminare insieme tra grandi e tra grandi e piccoli; c’è da rafforzare i percorsi formali che consentono la nascita e la crescita delle scuole aperte e partecipate al di là dei capricci (eufemismo) o delle indifferenze di alcuni dirigenti scolastici e, purtroppo, ancora di troppi insegnanti; c’è da inventare relazioni con il territorio (altre associazioni, altri spazi sociali e culturali ma anche le amministrazioni locali); c’è da scoprire e mettere in discussione i modi, spesso poco visibili, in cui la scuola coltiva gerarchia, violenza, aziendalizzazione. Del resto la scuola aperta e partecipata è prima di tutto una comunità che tenta di riprendere in mano la sua vita. Ecco perché la rete delle scuole aperte e partecipate si prepara a mettere in comune alcuni strumenti: un manifesto, un vademecum, una mappatura, altri appuntamenti di condivisione e autoformazione.
I momenti di confronto servono dunque per rendere più facile la vita alle associazioni (in primis quelle nate da poco) ma anche per immaginare percorsi nuovi: una cosa è certa, in tempi in cui il dominio del mercato sulla vita delle persone è sempre più forte occuparsi insieme di beni comuni moltiplica la voglia di cambiare il mondo.
domenico dalba dice
La scuola aperta e partecipata nasce anche dall’abrogazione dei nomi “professore” ed “alunno”che fondano un rapporto gerarchico tra le persone. Analogho discorso per il “lei” che divide. Come ex docente vicino alla ottantina ho sempre detestato il ricorso a elementi gerarchici, che stabiliscono un rapporto di superiorità e di subalternita, perché la cultura, cioè la vita, che passa da una persona all’altra, si fonda su un rapporto di reale democrazia, di concreto e sincero riconoscimento dell’identità dell’altro.
Domenico Dalba