L’obiettivo dell’associazione Last20, nata in occasione del G20 ospitato in Italia, è leggere i cambiamenti sociali, ambientali, economici dai “margini” per capovolgere il punto di vista dei potenti. Nel suo nuovo rapporto, è di grande interesse il focus sui punti di partenza delle migrazioni
Conoscere oggi i fenomeni che regolano territori e nazioni “lontani” e fuori dal focus della comunicazione mainstream è complicato, bisogna ricorrere a informazioni di settore, ricerche e inchieste specifiche e spesso, troppo spesso si perde la visione d’insieme. Siamo calati nella realtà occidentale che, nonostante la comunicazione globale corra sempre più veloce e ci raggiunga ovunque in ogni luogo, continua a fornire una visione parziale e limitata di quanto accade nel nostro pianeta. È questa la prima impressione che colpisce quando si legge il secondo report annuale dell’associazione Last20 che prende il nome dalla contrapposizione con G20.
Un report importante che capovolge la visione del mondo partendo da quelle realtà, comunità, nazioni, aree geografiche, lontane dai nostri radar ma che subiscono pesantemente le azioni dei Paesi più potenti e le cui conseguenze arrivano sino a noi. Gli Last20 sono gli ultimi della Terra, quei Paesi che ricoprono gli ultimi posti degli indicatori statistici per qualità della vita, benessere, ricchezza.
L’associazione L20, costituitasi formalmente nell’ottobre 2022, ha iniziato la sua attività nel 2021 quando l’Italia ha ospitato il vertice dei G20, il vertice dei più “grandi” della Terra, promuovendo un controvertice degli L20 a Reggio Calabria e successive altre tappe in diverse località italiane. L’obiettivo dell’associazione è leggere il mutamento – economico, sociale, ambientale e politico – dai “margini”, dare voce agli Ultimi e far conoscere questi Paesi, la loro storia, cultura, e i loro bisogni emergenti. Paesi poveri e Paesi impoveriti, distinzione forse sottile ma emblematica se si pensa ad esempio alla Libia che prima dell’eliminazione di Gheddafi e dell’avvio di una guerra tra clan sostenuti ancora una volta da potenze straniere (Russia, Turchia, Francia, Italia, GB) occupava il 64° posto dell’ ISU – Indice Sviluppo Umano – e oggi è dilaniata da un conflitto armato con il chiaro obiettivo di mettere le mani sulle sue enormi riserve di petrolio. Oppure il Libano, che negli Anni ’70 del secolo scorso era considerato la Svizzera del Mediterraneo e oggi è un Paese che vive essenzialmente delle rimesse dei migranti e ha al suo interno una divaricazione sociale spaventosa con una minoranza ricca e straricca che vive di rendita immobiliare e speculazioni finanziarie e traffici illegali e una maggioranza ridotta alla fame sia di libanesi che di immigrati, in particolare i circa 2 milioni di profughi tra palestinesi e siriani che non hanno diritto alla cittadinanza (dato che il Libano non ha mai firmato la convenzione di Ginevra). Quindi analizzare le cause della povertà e dell’impoverimento è il primo passo essenziale per conoscere le motivazioni che spingono le grandi potenze a fare determinate scelte invece di altre e non in ultimo, andare alla radice di un fenomeno planetario come le migrazioni.
Come si sta evolvendo la situazione degli L20 in questa fase post-globalizzazione e che ruolo hanno le grandi potenze mondiali? Inutile forse sottolineare che le principali cause di impoverimento sono le guerre e i conflitti spesso generati da interessi economici delle grandi potenze eppure qualcosa sta cambiando. Un ruolo importante lo sta svolgendo il BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa) un raggruppamento di economie mondiali emergenti che dal primo gennaio 2024 si è ampliato anche a Repubblica Araba di Egitto, Repubblica Federale Democratica di Etiopia, Repubblica Islamica dell’Iran, Regno dell’Arabia Saudita, Emirati Arabi. L’Argentina che inizialmente aveva mostrato interesse ad aderire, con la presidenza del neo eletto Javier Milei ha rinunciato. Pur con toni pacati, il gruppo nasce per contrastare l’egemonia delle nazioni occidentali su organismi importanti come il Fondo monetario internazionale e la Banca mondiale, che con i loro prestiti sono i maggiori creatori di debito estero per le nazioni in cui intervengono e aspira a guadagnarsi una maggior rappresentanza tra le economie emergenti. Nel 2014, i paesi BRICS hanno istituito la Nuova banca per lo sviluppo (NDB) per prestare denaro a quei Paesi che vogliono investire in infrastrutture e per sostenere la crescita dei paesi che ne usufruiscono. I BRICS stanno inoltre lavorando per costruire un loro originale sistema monetario e contribuire anche in tal modo a una maggior stabilità ed equilibrio dei mercati finanziari mondiali. Alla fine del 2022, la banca aveva prestato quasi 32 miliardi di dollari ai paesi emergenti per la costruzione di nuove strade, ferrovie e sistemi per l’ approvvigionamento idrico. La presenza di potenze quali Cina e Russia all’interno dei Brics è a tutti evidente e i segni della loro influenza, soprattutto in Africa, sono già tangibili. Ora, con l’ingresso dell’Iran, si rafforzerà l’asse anti-occidentale capitanato dalla Russia in uno scenario geo politico in evoluzione con equilibri molto delicati come del resto possiamo già vedere dall’escalation di conflitti in atto.
Resta comunque il fatto che gli ultimi 20 Paesi al mondo continuano ad essere abbandonati a sé stessi nell’indifferenza della comunità internazionale anche di fronte a disastri e carestie di cui è parte in causa. La politica internazionale non ha alcun interesse a pacificare e a creare condizioni di mercati giusti e solidali per queste aree. Eppure è solo decentrando l’angolo visuale nelle periferie e semiperiferie dell’economia mondiale che è possibile comprendere fenomeni attuali quali le migrazioni.
Il report L20 riporta il focus sui punti di partenza delle migrazioni perché “la scarsa conoscenza degli scenari migratori interni ai Paesi del Sud contribuisce a criminalizzare questi territori, che pagano molto spesso le conseguenze di una rigidità posturale piuttosto diffusa nell’Occidente post-industriale: quella dovuta all’abitudine consolidata, tanto a livello mediatico che a livello politico e talvolta anche in ambito scientifico, di leggere le migrazioni posizionando lo sguardo nei Paesi di arrivo. Al contrario, spostare l’asse della narrazione lungo le direttrici dei flussi migratori che attraversano i cosiddetti “Paesi di partenza” al loro interno, permetterebbe di bilanciare la conoscenza del fenomeno e, di conseguenza, mettere a punto strategie e politiche di più ampio respiro, in grado cioè, di superare l’ossessione della frontiera per intervenire realmente sulla qualità delle economie, i bisogni socio-educativi, la sicurezza alimentare e le sfide ecologiche in quello che è un grande Sud globale”. Insomma “decostruire la narrazione dell’esodo dal Sud al Nord del mondo, osservando, per esempio, che nell’Africa occidentale, descritta dai più come una fonte di migrazione irregolare verso l’Europa, circa il 64% dei migranti si sposta verso un’altra destinazione dello stesso quadrante, come il Gabon o la Guinea Equatoriale. Non conoscere queste nuove rotte – alcune delle quali sono peraltro consolidate da tempo – significa compiere scelte inadeguate, come ad esempio le politiche di esternalizzazione dei confini dell’Unione Europea”. Conclusioni che trovano sostegno anche nell’analisi delle statistiche affrontate nella seconda parte del report su migrazioni, rifugiati e sfollati, per conflitti e per motivi ambientali, nonché rimesse e i loro costi.
Inoltre vengono esaminati PIL, PIL pro capite, sua crescita, dimensioni della popolazione e sue caratteristiche salienti (numerosità, crescita della popolazione, aspettativa di vita, tasso di fertilità e mortalità perinatale e infantile, età mediana e tempo di raddoppio). Significativi i dati sulle persone sottonutrite e bambini sottopeso, popolazione che vive negli slum e nelle baraccopoli e sulla mortalità dovuta a condizioni igienico sanitarie insufficienti, numero di persone che vivono sotto la soglia di povertà nazionale e internazionale, sull’analfabetismo e sulla diversa ripartizione di genere. Insomma un’analisi completa della situazione dei Paesi più poveri e dimenticati del pianeta con infine, nella terza parte, testimonianze dirette da questi luoghi: Mozambico, Afghanistan, Libano, Ciad, Corno d’Africa che corredano un lavoro ampio ed esaustivo, un report completo da leggere, consultare a cui attingere per avere un’informazione corretta non su luoghi dimenticati ma su quella parte di mondo che sempre più ci riguarda da vicino.
Il report cartaceo Last Twenty 2023 si può acquistare scrivendo a
Francesca Preziosi dice
Articolo davvero interessante per cominciare a seguire una diversa narrazione
Luca Antonini dice
I tanti punti di visti che aprono le menti, grazie
Giuliano Testa dice
Nutrimento necessario per capire il mondo reale scoperto e falsato dalla comunicazione di regime massificante e deviante. Penso sia necessario acquistare il report