Non era mai accaduto che la civiltà della tecnica fosse paralizzata su scala planetaria. Mentre molte certezze mutano, nuove domande prendono forma. “L’asfissia temporale è il male oscuro di questi anni – scrive Donatella Di Cesare nel suo nuovo libro Virus sovrano? – Inadeguatezza, ansia, panico pervadono l’esistenza condannata al timore dell’attimo successivo che, mentre incombe, è già dileguato…. Frenare, sabotare? Come interrompere la folla corsa, evitando, però, il salto autodistruttivo? Come arrestare l’ingranaggio malefico che vampirizza il nostro tempo e rovina le nostre vite?”. L’apertura all’incertezza e la liberazione dalla velocità potrebbero diventare centrali per ogni processo di trasformazione sociale

Doveva giungere un virus maligno per imporre una pausa. Impossibile non pensare da subito a questo paradosso bizzarro e tragico: riprendiamo fiato, respiriamo un po’, ma solo per il pericolo imminente, perché il covid19, il virus dell’asfissia, minaccia di toglierci il respiro.
Non si sa più che cosa significhi «riposo», quella «pausa» intensa, per noi troppo contigua al sopore del sonno, o addirittura al sonno eterno della morte. Si dice infatti «riposi in pace». Forse anche per quella contiguità il riposo provoca angoscia. Il virus ci ricorda anche questo.
D’un tratto il respiro assume un valore inedito. Si parla ovunque di respirazione e di ossigeno. Mentre l’aria delle città si fa meno inquinata, nelle terapie intensive degli ospedali medici e infermieri lottano ogni giorno per evitare l’asfissia mortale e irreparabile. Dopo tutto quel che accaduto, il respiro non dovrebbe più essere un’ovvietà.
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Il virus rallentista ha avuto la meglio sull’accelerazione. Temporaneamente – si spera. L’interruzione che ha provocato non ha i colori della festa, ma i tratti lugubri e tetri di un epilogo. Eppure, in questa sosta forzata, viene alla luce l’aberrazione della frenesia di ieri – la smania, l’iperattività, il fiato corto.
L’asfissia temporale è il male oscuro di questi anni. Inadeguatezza, ansia, panico pervadono l’esistenza condannata al timore dell’attimo successivo che, mentre incombe, è già dileguato. Non solo non riusciamo a fermarci. Di più: non riusciamo a soffermarci nel tempo, dove non troviamo più dimora. Tutti gli istanti sono ormai inabitabili.
Il tempo sembra già consumato prima ancora che venga concesso. Siamo su scale mobili che scendono sempre più rapidamente. Corriamo in salita per eludere l’abisso. A poco servono le fughe estemporanee e fittizie, le rivolte private o i piccoli boicottaggi, spesso pagati a caro prezzo. Le oasi di decelerazione, le strategie di rallentamento sono solo un palliativo momentaneo.
Nessuno si sottrae alla vorticosa economia del tempo nell’era del capitalismo avanzato. Apparentemente siamo liberi e sovrani. Ma a ben guardare l’imperativo della crescita, l’obbligo della produzione, l’ossessione del rendimento fanno sì che subdolamente libertà e costrizione finiscano per coincidere. Viviamo in una libertà costrittiva o in una libera costrizione. Non potremmo altrimenti reggere la sfida quotidiana che ci lascia esausti, senza fiato. Se la sera avvertiamo un vago senso di colpa, non è certo per le leggi etiche aggirate, né per i comandamenti religiosi elusi, bensì per non aver tenuto il passo, per non aver assecondato il battito convulso del mondo lanciato ad alta velocità.
La rapidità precipita nella stasi, l’accelerazione finisce nell’inerzia. Nella forsennata situazione di stallo il pericolo aumenta. Tanto più che, se le élites hanno interiorizzato le norme dell’accelerazione, i lavoratori sono costretti a ritmi alienanti, mentre sui disoccupati grava l’esclusione. Ma il controllo sulla macchina dell’accelerazione sembra ormai sfuggito.
Frenare, sabotare? Come interrompere la folla corsa, evitando, però, il salto autodistruttivo? Come arrestare l’ingranaggio malefico che vampirizza il nostro tempo e rovina le nostre vite?
Il male che viene, a ben guardare, era già venuto. Bisognava essere ciechi per non vedere la catastrofe alle porte, per non riconoscere la maligna velocità del capitalismo che non sa, non può andare oltre, e avvolge nella sua spirale devastante, nel suo vortice compulsivo e asfittico.

Questo testo è tratto da Virus sovrano? (Bollati Boringhieri).
Donatella Di Cesare è docente di Filosofia teoretica alla Sapienza di Roma. Tra i suoi ultimi libri: Terrore e modernità (Einaudi, 2017), Stranieri residenti. Una filosofia della migrazione (Bollati Boringhieri 2017), Sulla vocazione politica della filosofia (Bollati Boringhieri 2018).
Un catalogo di ovvietà
Grazie Comune-info!
Molto interessante. Grazie.
Il respiro, il tempo e la salute sequestrati dal capitalismo. Anche nei sistemi precapitalisti era cosi, ma meno illusori e anche se il calvinismo in origine ha tentato di porvi rimedio, poi è stato un fallimento. Resta un po’ di insegnamento da gente come Adriano Olivetti, per fare un solo esempio. Forse non è un caso che l’abbiano “tradito”.
Cospirare in questa epoca assume un significato immenso