di Rosaria Gasparro*
Nella scuola che ho frequentato, da alunna prima e da maestra dopo, c’era l’album delle foto di classe. Quand’ero bambina, una volta l’anno, veniva il fotografo e faceva il suo scatto che avremmo conservato nei ricordi personali e di gruppo. C’eravamo tutti senza distinzione, non si vedevano i bravi e i ripetenti, a volte i primi erano alti come i secondi, non si vedevano i risultati, i meriti, gli insuccessi, non si riconoscevano i ricchi e i poveri. C’era un tutto in quel bianco e nero, l’ombra e la luce di un insieme a cui si apparteneva. Un clic inclusivo almeno nell’immagine che si consegnava al domani. Su quei negativi, in una scuola escludente e classista, eravamo uguali. Sono sopravvissute quelle foto, come rito di fine anno a colori, quando la scuola è diventata di tutti, inclusiva e democratica, sono sopravvissute nell’era del digitale, riportate all’interno del giornalino d’istituto, fino a scomparire.
Ora quella stessa scuola ha un altro album, l’Albo delle eccellenze. Saranno resi pubblici attraverso il sito scolastico i nominativi degli alunni della scuola secondaria di I grado, che avranno conseguito il massimo del punteggio nell’esame conclusivo del primo ciclo di istruzione o che in gare sportive, concorsi letterari, artistici, culturali in senso lato, si siano piazzati nei primi tre posti.
La scuola dei migliori quindi, di quelli che raggiungono il più alto livello qualitativo possibile, per riconosciuta superiorità, per talento e impegno. E gli altri? Quelli che ce la mettono tutta ma nella gerarchia numerica si fermano ai gradini bassi, i ragazzi con disabilità, gli stranieri, il variegato mondo dei bisogni speciali, cosa ne facciamo di questi altri? E quelli che vengono espulsi, bocciati, perché non rientrano nei ranghi, nei banchi? In quale albo di figurine pensiamo di metterli?
Non è un atto innocuo come può apparire, nessun atto è mai neutro. È un discrimine profondo, che nel riconoscimento di una minoranza che eccelle, il cui valore si vuole “proporre all’emulazione dei compagni e all’attenzione dell’intera comunità scolastica e territoriale”, mina le basi quotidiane del vivere insieme. Con il riconoscimento del valore di alcuni, avviene nel contempo il misconoscimento di tutti gli altri, delle loro storie, del loro valore, delle loro fatiche. All’albo dei migliori, visibile online, corrisponde l’albo più numeroso degli invisibili, quelli senza nome, senza pregi, senza qualità da condividere. Si compila da solo e si offre alla valutazione e ai commenti di quella che una volta era comunità. Comunità il cui principio regolatore era la cooperazione e la valorizzazione delle intelligenze, che Gadner ci aveva insegnato essere multiple, nove (linguistica, matematica, intrapersonale, interpersonale, cinestetica, musicale, visivo-spaziale, naturalistica ed esistenziale) senza escludere altre possibilità, che ci impegnava in altri percorsi, individualizzava la didattica, sapeva che era ingiusto fare parti uguali tra diseguali, provava a dare ad ognuno secondo il proprio bisogno per promuovere il suo meglio. Una comunità inclusiva in cui si costruivano insieme le conoscenze, s’imparava gli uni dagli altri, in cui ci si sentiva impegnati se non a rimuovere gli ostacoli dell’articolo 3 della Costituzione, a non subirli ancora, a promuovere la dignità e il pieno sviluppo della persona umana.
Non è difficile immaginare gli effetti sull’autostima degli uni e degli altri, adolescenti brufolosi e psicologicamente fragili alle prese con le proprie tempeste emotive, col corpo che cambia, che non sanno ancora chi sono e cosa faranno nella loro vita. Gli effetti sulle loro relazioni, sui loro sentimenti, l’invidia, la presunzione, l’orgoglio, il convincimento di valere più degli altri o di non valere affatto, sentire il traguardo troppo lontano dalle proprie capacità, la delusione, tagliati per il successo o per il fallimento. Il tutto in un’età in cui è forte il bisogno di socialità, di appartenenza ad un gruppo di pari con cui coltivare ideali, condividere idee, con cui essere solidali. L’età delle insicurezze.
Quale sarà la ricaduta sull’interesse, sul piacere di apprendere, sull’autenticità, sul fare al meglio ciò di cui si è capaci? Pensiamo che emulare sia un’attività fattibile per chi, al massimo delle proprie possibilità, il 10 e lode non riuscirà mai a prenderlo? Non è più corretto pedagogicamente che la scuola anziché spingere ad emulare, a inseguire e copiare gli altri, aiuti a trovare la propria strada, la propria originalità, senza considerare i coetanei rivali da superare?
L’Albo delle eccellenze nella scuola dell’obbligo è la metafora perfetta dei tempi senz’anima che viviamo, una competizione sempre più precoce per pre-valere, per affermare un modello di scuola e di mondo in cui solo pochi ce la fanno, tra individualismo ed esclusione. Il paradigma delle eccellenze meritocratiche ratifica in uscita le disuguaglianze in ingresso. Un modello che fa male anche a chi emerge, che lo sottopone a stress performativo, a dover essere sempre all’altezza delle aspettative, la sindrome dell’élite. Ma non sempre i primi della classe restano tali nel passaggio alle superiori. Nel passaggio alla vita.
C’è un’unica scuola intelligente e umana di cui sentiamo il bisogno, quella che valorizza le capacità di ognuno, che ne coltiva le inclinazioni, che ne libera talenti e virtù non matematicamente misurabili, che non fa perdere nessuno nel suo bosco. C’è pure un altro modo per vivere, come nelle parole di Michael Young:
“Giacché se noi valutassimo le persone non solo per la loro intelligenza e cultura, per la loro occupazione e il loro potere, ma anche per la loro bontà e il loro coraggio, per la loro fantasia e sensibilità, la loro amorevolezza e generosità […] chi si sentirebbe più di sostenere che lo scienziato è superiore al facchino che ha ammirevoli qualità di padre, che il funzionario statale straordinariamente capace a guadagnar premi è superiore al camionista straordinariamente capace a far crescere rose?”.
.
* maestra, ha aderito alla campagna Facciamo Comune insieme
Fiorella Palomba dice
Cara amica e collega, che dire? Io conservo gelosamente le mie fotografie di allieva e quelle di insegnante fino agli ultimi Laboratori di Scrittura realizzati con l’associazione AltraMente per sei anni.
In nessuna di queste fotografie ci sono ECCELLENZE anche perché non mi interessano. Mi interessa il lavoro di scambio, di creatività, l’errore da cui nasce un lavoro.
Gli IMBECILLI del caro Umberto Eco sono capaci di inventare cose che non esistono, l’ECCELLENZA per esempio.
Ecco questa è la classe dello scorso anno.
https://issuu.com/nicolettae/docs/i-volti-delle-emozioni