L’Italia considera un “partner” un intero continente composto da oltre 50 paesi. La singolare affermazione della vice-ministra pentastellata Emanuela Del Re non è una svista lessicale, esprime un concetto preciso e dice molto sul modo con cui il governo e le istituzioni continuano a guardare l’Africa. Il neocolonialismo, con la sottesa idea di spartizione delle risorse “naturali”, non è ovviamente un problema solo italico, ma quella scarsa conoscenza della complessità e delle dimensioni del “partner” non può non richiamare alla mente il pressapochismo, la superficialità (vale a dire la criminale rimozione e censura dei massacri) con cui i libri di storia delle nostre scuole hanno sempre trattato la storia coloniale degli “italiani, brava gente”. La stessa superficialità che spinge la vice-ministra a parlare della sicurezza e del terrorismo come del problema principale dell’Africa odierna. Come dimostrano ogni giorno il traffico legale di armi, le politiche economiche di saccheggio e il “contrasto” alle migrazioni, non certo alla sicurezza alimentare degli africani si riferiva la vice-ministra. Il “destino comune” con i figli dell’Africa, poi, lo si vada a raccontare a chi vive nei ghetti, sfruttato e ricattato da imprenditori schiavisti protetti dal privilegio nazionale, e ancora escluso perfino da una sanatoria semestrale che continua a sancire non il destino comune ma il diritto differenziato per chi resta colpevole del solo peccato delle origini. La sgradevole impressione di aver assistito alla solita recita, in occasione della celebrazione italiana dell’Unione Africana, non investe purtroppo solo il governo e l’ipocrisia del “forte impegno” ricordato dal ministro Di Maio. Perché forse almeno il Presidente di tutti gli italiani avrebbe potuto evitare di citare la vocazione di “ponte” tra i continenti del Mediterraneo. Almeno il cimitero di migliaia di migranti sfuggiti ai lager che difendono le nostre frontiere, caro Presidente, avrebbe potuto lasciarlo a un più rispettoso silenzio. Quanti figli di un “destino comune” dovranno ancora morire annegati (o uccisi dal business di armi tricolori) perché, come scrive Mauro Armanino dal Niger, cadano finalmente le maschere dalle parole e dagli occhi?
L’ipocrisia è un’epidemia che passa di solito inosservata tra le pieghe della realtà. Un buon esempio di ciò è la recente celebrazione del compleanno numero 57 dalla creazione dell’Unione Africana da parte delle autorità istituzionali italiane. Etimologicamente la parola ipocrita, derivata dal greco antico, allude all’attore di teatro e a ragione si può affermare che l’ipocrisia è quanto definisce i commedianti, recitino o meno a soggetto.
Il presidente Sergio Mattarella, il ministro degli Esteri Luigi di Maio e la vice ministra agli Esteri Emanuela Del Re, hanno offerto, ognuno a suo modo e con modalità proprie, un gratuito spettacolo sulla scena nazionale. Cosciente o incosciente, la coreografia scelta in questa circostanza, bene evidenzia l’immaginario che alcune delle massime autorità della Repubblica perpetuano sul Continente Africano. In effetti, se vogliamo essere onesti, dovremmo proprio partire da lì, dal rispetto nei confronti di questo Continente e dalla presunzione di considerare l’Africa come un ‘partner’, per usare la parola delle signora Del Re. Un paese come l’Italia che ha l’ardire di instaurare un’operazione di questo tipo con un continente di 54 paesi riconosciuti e un paio d’altri in condizione di clandestinità amministrativa, recita.
L’umiltà e un atteggiamento più realista, dovrebbero condurre al riconoscimento che non è possibile presumersi come ‘partner’ di un continente così ricco, diverso e plurale come l’Africa e ricondurlo ad una sola ed unica entità. Ridimensionare le proprie ambizioni, accettare i propri limiti e mettersi, semmai, all’ascolto di questo continente, che meglio sarebbe definire ‘Afriche’, appare più onesto. Non confessato o rimosso, invece, riappare sotto mentite spoglie il fallimentare complesso della breve stagione coloniale italiana in Africa. Cinquant’anni nei quali l’immagine dell’Africa è stata ridotta ad una maschera di falsità, tra rigurgiti massonici, fascisti e capitalisti del ‘posto al sole’ per essere annoverati nella corsa per la spartizione del Continente. L’uso dei gas in guerra, deportazioni ed efferati massacri sono stati per decenni espunti dalla storiografia insegnata nelle scuole della penisola a tutto beneficio della favola degli ‘italiani brava gente’. Il frutto di questo immaginario, riassunto dal ritornello “Faccetta nera bell’Abissina…” non è mai stato messo seriamente processato, come del resto sarebbe avvenuto per la storia, sofferta e ambigua dell’emigrazione italiana. “Certo i problemi non mancano – riconosce la vice ministra – e tra tutti il più grave è la sicurezza. Il terrorismo in Africa continua ad essere una piaga devastante“.
La Commedia dell’Arte, in questi frangenti, riscopre il suo particolare stile. Non c’è un copione e gli attori, anziché imparare a memoria le battute, basano la loro interpretazione su una trama e improvvisano in scena. Quanto i ministri in questione hanno affermato per la circostanza non sono altro che improvvisazioni che possono essere credibili e credute solo da chi continua a lasciarsi ‘confinare’ lo spirito e la memoria. Affermare, come sopra menzionato, che il problema principale dei 54 paesi che compongono il Continente è il terrorismo, appare come una commedia che offende la realtà. Semmai, per buona parte dei Paesi, la prima sicurezza è quella alimentare, seguita dall’accesso all’acqua potabile, al lavoro decente, al rispetto della dignità e alla giustizia sociale….”Il legame tra Italia e Africa è saldo: ci riconosciamo gli uni negli altri perché il destino è comune“, conclude Del Re. Provate a chiedere sull’effettiva solidità di questo legame alle politiche di esternalizzazione delle frontiere europee fino ad Agadez, passando dalla Mauritania, al Marocco, alla Tunisia e alla Libia che, assieme al Niger, si sono adattati a trasformarsi in aziende a cui sub-appaltare il controllo dei migranti ‘irregolari’ dell’amato Continente. Il destino è comune ma fino ad un certo punto, finchè conviene ad una delle parti in causa. Questa si chiama ipocrisia e cioè messa in scena.
Di Maio ricorda il forte impegno dell’Italia nella cooperazione allo sviluppo in Africa, ‘strumento utile a rafforzare la stabilità e la crescita locale che ci consente di agire anche sulle cause della migrazione’. Appunto e come per confermare l’agenda più o meno occulta delle politiche di aiuto italiane ed europee: agire sulle cause della migrazione. Questo implicherebbe un cambiamento radicale di sguardo, di politiche e di azioni conseguenti a ciò che la Del Re, definiva ‘destino comune’. Apparentemente non è ‘comune’ nell’ennesima sanatoria per i migranti ‘invisibili’ che rendono però ‘visibile’ l’economia del Paese, accordata per la durata di sei mesi. Ritornerà poi il reato di clandestinità che obbligherà migliaia di persone a recitare la parte che è stata loro attribuita, braccia utili e persone scomode…“Il Mediterraneo potrà essere fedele alla sua vocazione, storica e geografica, di ponte fra i due continenti…”, ricorda il presidente Mattarella. L’ipocrisia è a questo punto senza confini. I campi di detenzione in Libia, le armi italiane vendute tra l’altro all’Egitto, all’Algeria, al Marocco e Israele, appunto nell’area mediterranea, sono tutto meno che ponti e somigliano semmai a fili spinati nei quali restano impigliati i sogni e le vite di coloro che sperano in un mondo differente. L’anniversario dell’Africa di cui le nostre autorità parlano, si è poi tradotto in una ‘maratona video’ organizzata dalla Farnesina. I… “percorsi di cooperazione internazionale promuovendo la pace, la dignità umana e lo sviluppo sostenibile…”, proposti dal messaggio del presidente della repubblica, si realizzeranno il giorno in cui si smetterà di fare spettacolo con la politica. Inizieranno quando cadranno le maschere dalle parole e dagli occhi.
Niamey, maggio 020
Paolo Messeca dice
Non c’é dubbio che ci vuole maggiore disponibilitá a conoscere l’Africa la cui immagine, in un mondo perversamente dipendente dai media, va “promossa” con tutti i mezzi.
Roberto Renzoni dice
Bravo Mauro, a volte sei noioso nelle tue lungagnate, non questa volta e tu in Africa ci sei. Che ti vuoi aspettare da uno come di Maio, finito in politica senza aver mai lavorato e ci resterà in eterno. Bene anche sul presidente, ma attento, potresti esser accusato di mancanza di rispetto.