La nuova destra razzista non teme di presentarsi come tale. Peggio dei razzisti sono quelli che annuiscono in silenzio: è la tristemente nota “zona grigia” di cui ha parlato Primo Levi, dove tutto si confonde in una palude
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di Marco Aime*
Qualcosa cambia sotto il cielo d’Italia. Se Pier Paolo Pasolini fosse ancora tra noi, ci avvertirebbe di quella profonda e carsica mutazione antropologica che sta nuovamente colpendo l’Italia, che poco a poco contagia sempre più persone, anche quelle che si ritenevano immuni.
Fino a qualche anno fa esprimere idee razziste era considerato riprovevole, si rischiava di incorrere nel biasimo sociale, di suscitare indignazione. Lo stesso nel dichiararsi fascisti. Sappiamo benissimo che in Italia «l’eterno fascismo», per citare ancora Pier Paolo Pasolini, non è mai del tutto scomparso, ma l’esplicitarne l’appartenenza provocava una reazione di tipo morale. Non preferisco la polvere nascosta sotto il tappeto allo sporco visibile, ma quelle reazioni e il conseguente silenzio, erano il segno che la nostra società aveva ancora degli anticorpi capaci di suscitare una reazione tesa a difendere valori condivisi, quali la democrazia e l’uguaglianza.
https://comune-info.net/2018/10/modernita-identita-arcaicita-i-nessi-da-cercare/
Il tempo passa, va scomparendo la generazione che ha fatto la Resistenza, la memoria si fa labile e da tempo nessun partito politico si impegna più di tanto per mantenere accesa quella fiaccola di civiltà.
Così, come i granchi quando la marea si fa bassa, ecco riemergere con toni imperiosi e arroganti la nuova destra razzista, che non teme di presentarsi come tale perché ha capito che non incorre in nessuna critica particolare, se non da parte del sempre più isolato papa Francesco e di pochi altri.
https://comune-info.net/2018/11/il-mostro-di-riace-e-noi-baobab/
Ha gioco facile a muoversi in un ambiente non ostile. E forse peggio dei razzisti sono quelli che non dicono apertamente ciò che pensano (ma lo pensano) e che annuiscono in silenzio. Che condividono certe idee discriminatorie, ma si camuffano dietro il ritornello “Io non sono razzista ma” (che dà il titolo a una rubrica curata dall’autore su Nigrizia, ndr). È la tristemente celebre “zona grigia” di cui ha parlato Primo Levi, dove tutto si confonde in una palude in cui è difficile distinguere il buono dal cattivo.
Per vent’anni moltissimi italiani hanno riempito le piazze dove parlava il Duce e si professavano fascisti. I filmati del 25 aprile 1945 ci restituiscono immagini di una folla immensa che sventola fazzoletti rossi. Nessuno sembrava essere stato fascista o razzista. Forse sotto il cielo d’Italia non c’è nulla di nuovo.
Pubblicato su Nigrizia.it e qui con il consenso dell’editore.
*Docente di antropologia culturale presso l’università di Genova, è autore di numerosi libri di saggistica (tra cui Eccessi di culture e Il dono al tempo di Internet per Einaudi, Etnografia del quotidiano e La macchia della razza per eleuthera) e di alcuni libri di narrativa e per bambini.
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Il razzismo dipende da posizioni di principio rigidissime. Combatterlo con la retorica non serve. Anzi, “combatterlo” non serve.
Bisognerebbe, invece, adottare un approccio “assertivo”, che consenta di comprendere le emozioni e i bisogni sottostanti a quelle posizioni rigidissime. Si tratta di saper negoziare col nemico. Anzi, si tratta di accogliere il nemico perché, altrimenti, si usa il suo stesso linguaggio e lo si conferma.