Si dice che per lo più in un mondo zombie si possa sopravvivere solo disumanizzandosi, per esempio perdendo la capacità di cogliere lo sguardo e lo spirito degli altri. Ma che accade se i protagonisti della realtà zombie, i morti viventi, abbiamo finito per essere noi nel momento in cui accettiamo l’orrore dell’ordine delle cose esistenti? Lo smantellamento dei legami sociali, scrive Giuseppe Giannini, è la conseguenza del nostro esserci resi merci. L’onnipresenza in uno spazio non più fisico, la dilatazione ed accelerazione di un tempo infinito pongono anche le basi per la continuazione in altre forme della vita, in uno spazio appunto non più abitabile fisicamente. È questo il fantasma del metaverso, di un insieme di spazi vituali attraversati da avatar?

Dal ‘900 in poi il potere dei media e dei mezzi tecnici, la fotografia, la tv, il cinema è stato determinante nel rimodellare la realtà. Con internet sì è avuto un ulteriore balzo in avanti nel riprogrammare le vite in funzione degli interessi dei mezzi stessi, che non utilizziamo più, ma da cui veniamo usati. La rete internet nata come strumento di libertà, di possibilità si va trasformando nel suo contrario. È il mezzo delle nuove forme del controllo sociale.
In un certo senso siamo tutti controllati. Fino a che punto ne siamo consapevoli? Quali i pericoli futuri? L’intelligenza artificiale, i dispositivi, i linguaggi ed i simboli hanno segnato il passaggio da un capitalismo industriale e finanziario ad un capitalismo dell’informazione. Qui l’accumulazione non è più data da uno stock di denaro, o meglio non solo, l’accumulazione avviene per mezzo dei dati.
Accumulare dati, gestirli e farli circolare rientra tra i compiti del cd. Capitalismo della sorveglianza.
La sorveglianza operata dal capitale si fonda sull’immagazzinare infinito dei dati.
Tutto ciò che riguarda i nostri comportamenti, gusti, desideri.
Si capitalizzano le emozioni.
La sorveglianza non avviene mediante il solo controllo esterno, si esplica tramite la diretta e cosciente partecipazione dei cittadini, condividendo e mettendo a disposizione ogni contenuto.
Al controllo storico in nome della sicurezza si affianca il controllo attraverso la mole immensa di dati che vengono tracciati e scambiati. Le piattaforme collocano tali dati, che possono essere vagliati da governi e agenzie per la sicurezza in nome dell’ordine. Oppure, attraverso una proliferazione costante – i dati che vengono fuori dalle telecamere, quelli che emergono dalle ricerche on line o dagli acquisti tramite le carte di credito – vengono venduti, dando luogo alla creazione di categorie di utenti stereotipate. L’accesso ai dati può dar luogo in questi casi a delle discriminazioni[1] qualora il profilato veda negarsi ad esempio le cure sanitarie, o influire sull’erogazione del credito o sull’assicurazione, in ragione dei dati disponibili agli enti preposti dai quali emerga una situazione economica e sociale poco affidabile.
Il rischio è anche insito nel caso di un uso fraudolento dei dati volto a screditare qualcuno.
Chi raccoglie i dati? Per quanto tempo vengono conservati?
Lo smartphone, il gps e i vari dispositivi comunicano tra di loro in maniera “intelligente” : è l’internet delle cose. I mezzi ci monitorano costantemente.
Le città intelligenti (smart cities) vengono facilitate nel controllo dal collegamento dei cittadini.
La letteratura di fantascienza di Philip K.Dick e il cyberpunk di Ballard e Gibson, o ancora il cinema cult di Cronenberg e Carpenter fino alle recenti serie tv come Black Mirror o Severance cercano una origine di senso che ci aiuti a decifrare questi tempi.
La tecnologia non è neutrale. Le sue diavolerie si evincono andando a valutarne l’impatto: sfruttamento dei lavoratori sottoposti agli algoritmi (i tempi predeterminati dalle app di Uber o delle consegne a domicilio); sfruttamento delle risorse minerarie, le quali comportano un elevato consumo energetico (i data center e i mining per la creazione delle criptovalute); i danni ambientali (la desalinizzazione delle acque per l’approvvigionamento del litio per le batterie elettriche).
Tornando al dispositivo come mezzo tecnolgico per eccellenza, lo smartphone, esso rappresenta uno dei sintomi della crisi della contemporaneità. È in grado di annullare le distanze però ci allontana fisicamente dagli altri. Viene oltrepassato il principio di realtà tramite l’ibridazione uomo-macchina, che conduce ad una atomizzazione della stessa. Lo spazio comunitario tradizionale fatto di incontri e riti non esiste più. Ad esso viene a sostituirsi l’escapismo, la fuga verso un’altra realtà. Il tempo presente disconosce i riti.[2] Il nuovo spazio comunitario è costituito dai social. In questo luogo alienato è difficile fare incontri. L’imprevisto, la sorpresa propri dei luoghi fisici non ci attendono più. Costruiamo barriere intorno a noi. Lo scambio relazionale che rendeva l’uomo un animale sociale, inserito in una comunità, e in questa identificato e in un certo senso protetto va scomparendo. La realtà si zombifica. Non cerchiamo più niente.
Uno stato di passività ci impigrisce. Davanti ad uno schermo (la tv, il pc, il telefono) la demateralizzazione ci conduce dalle non cose alle non persone.Viviamo in uno schermo e attraverso di esso, nel senso che a-traverso, siamo passati dentro e fuori.
Il nostro comportamento ne viene influenzato. Diventa difficile distinguere una vita privata e il suo aspetto pubblico. Ci si de-responsabilizza. Comunicare il proprio vissuto, soprattutto sui social, ci da quella celebrità, che non dura più un attimo come diceva Warhol, anzi ci rende una merce scambiabile come un’altra. Lo scopo narcisistico dell’essere guardati, illudendosi quasi di avere una nuova identità, e del guardare si combinano a vicenda, attraverso un gioco morboso, che non è di società, quanto il pericoloso sintomo di un individualismo sfrenato. Diventiamo noi stessi i protagonisti di un reality on line riguardante la nostra vita (on life).
Riconosciamo solo chi accetta le nostre opinioni. Cerchiamo informazioni volte a ribadirle. La nostra nuova identità è digitale ed indica una presenza (account) non fisica. Questa identità virtuale conduce ad una spersonalizzazione, con un nostro doppio vivo ed onnipresente più reale dell’altro che rifugge la materialità della vita e le relazioni interpersonali.
Siamo dunque passati dal Panapticon analizzato da Foucault al Synopticon di cui parlava Bauman, e quindi ad un desiderio di disciplinamento per mezzo della sorveglianza.
Lo smantellamento dei legami sociali è la conseguenza del nostro esserci resi merci. L’onnipresenza in uno spazio non più fisico, la dilatazione ed accelerazione di un tempo infinito pongono anche le basi per la continuazione in altre forme della vita, in uno spazio appunto non più abitabile fisicamente (metaverso).
“Buongiorno, e allora?
le uniche difficolta ad entrare nel giovane nuovo mondo possono essere di carattere personale
ingenuità sensibilità fantasia sono finalmente tollerate
potenziamento del bagaglio emotivo
up-gradazione della vostra libertà individuale
estensione delle facoltà sensitive
tutto può dipendere ora dalla vostra volontà”
…
( Nel Metaverso – 24 Grana – 1999)
[1] David Lyon – La cultura della sorveglianza – 2018
[2] Byung-chul Han – Le non cose – 2022
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