di Penny*
Mi piace camminare. La domenica mattina, quando la città è ancora addormentata oppure la sera quando è già buio. Ci sono i vecchietti con le mani dietro la schiena, il giornale in tasca e il passo lento; le madri di fretta, che rientrano dopo aver recuperato qualche figlio in giro, con gli occhi distratti, la mente sui fornelli, sulle cose da fare, sul tenere tutto insieme. Poi ci sono quelli che portano a spasso il cane. Ma, soprattutto, le luci accese dentro alle case: una donna che cucina, un uomo seduto al computer, un pezzo d’armadio con gli oblò, in quella che ipotizzo sia la camera di un ragazzo; e io posso immaginare.
E immaginare mi dà respiro, mi aiuta a guardare lungo, dove non vedo. Non so cosa potremmo fare noi adulti senza l’immaginazione, probabilmente saremmo perduti. Sarebbe come togliere ai bambini la fantasia. Nessun progetto, idea, invenzione. Nessun sé, oltre il possibile.
Dopo le feste mi sono riproposta di andare a lavorare a piedi e di camminare almeno due volte alla settimana. Vorrei essere così brava da correre, ma poi mi viene il fiatone, mi manca il respiro e mi esce il moccico dal naso. Come fosse un’allergia. E Genova non è in piano anche quando sembra che lo sia. È piena di buche, inciampi e pavimentazione che manca.
Ho letto da qualche parte che camminare veloce sia molto più utile di correre, non so se sia vero, ma a me serve come alibi, per dirmi che nonostante tutto cerco di prendermi cura di me stessa.
Comunque, l’altra sera, ho chiesto alla girl grande se avesse voglia di venire con me. Ho insistito un po’, perché come tutti gli adolescenti è parecchio pigra, e, sopratutto, non vuole fare le cose con sua madre. Prima ha nicchiato, ma poi l’ho convinta, non so come, ma l’ho convinta.
“Guarda come sei vestita, io ho la tuta e tu i jeans, ci faccio una figura!” sbotta prima di uscire.
“Io ho i jeans, solo perché quella tuta è mia!” ribatto.
Dopo essersi convinta che non stavamo andando a una sfilata di moda, e che saremmo state fuori solo venti minuti, siamo uscite.
“Guarda che io ascolto la musica, non parlo”.
“Ok” le dico.
Abbiamo camminato. I minuti sono diventati quaranta, lei ha parlato quasi tutto il tempo. Non ricordo precisamente di cosa. Pensieri ad alta voce più che altro. Ora, mentre scrivo a voi che siete diventati la mia pagina di diario, la vedo, lei e il bene che le voglio, vedo le vite degli altri nelle case, forse anche le vostre, mentre passiamo accanto. Sento la sua voce e l’aria che ci attraversa. Il fiatone e le cuffiette che ciondolano dalla sua tasca. Lei che mi parla degli amici, di quello che vuole fare, di un compleanno. Si riscopre generosa e me lo dice.
Siamo rientrate nella stessa casa, che è la nostra. Io avevo dimenticato il telefono e le sigarette. Ed è stato bello. Dimenticare, intendo, che, a volte, non è un caso.
Dimenticare la fretta, le cose da fare, il devo esserci ad ogni costo, come fossimo insostituibili.
Non abbiamo fatto niente di speciale. E lei, nel tempo, non si ricorderà di aver camminato con me una sera di gennaio, sui tetti di Genova, dopo una giornata particolarmente calda, nonostante la pioggia. Io sì. Ricorderò i passi. La città. La pausa. L’aria. L’odore di pioggia. La sua adolescenza. Il mare, laggiù. Noi due. Vicine. E mi basta. Mi basta davvero. Come è bello quando ci facciamo bastare le cose. La vita. I figli. Davvero bello.
* Insegnante e madre di due ragazze adolescenti. Sul sul suo blog sosdonne.com dice di scrivere “per necessità” e che la sua ragazza quindicenne fa i disegni (davvero belli, come quello di questo articolo). Ha autorizzato con piacere Comune a pubblicare i suoi articoli e ha aderito alla campagna Un mondo nuovo comincia da qui scrivendo:
Se c’é una libertà che abbiamo ancora, è quella di poter utilizzare le parole. Le parole sono potenti. Hanno la presunzione di cambiare le cose. Distruggere muri e creare ponti. Comune dona una possibilità alle parole, come quella di avvicinarsi alla verità, anche se scomoda. E lo fa nell’unico modo possibile, mettendo insieme e interrogandosi. Noi possiamo esserci. E farlo insieme in un progetto che unisce. Dicendo no a una società che divide. Penny
Come diceva Thoreau, camminare è un’ arte, è un’esperienza di libertà.