Dal capitalismo della sorveglianza alla sorveglianza – il controllo e la vendita – di tutti i dati che riguardano l’agricoltura e quel che mangiamo, il passo è non solo breve ma inevitabile. L’utilizzo di automi, droni, satelliti, sensori e big data avanza a grandi falcate perfino nei paesi del Sud e in aree dell’agricoltura familiare e contadina, con false promesse di maggiore efficienza e informazione per migliorare la produzione. È quello che potremmo forse chiamare anche l’estrattivismo delle informazioni. Gli agricoltori registrano i dati relativi ai loro campi: quelli sul suolo, l’umidità, le sementi, la produzione, le malattie delle colture, le piante infestanti e gli insetti che potrebbero essere considerati parassiti, ecc. Memorizzano ed elaborano le informazioni nei cloud informatici di grandi imprese tecnologiche che restituiscono “suggerimenti” agli agricoltori, indicando che cosa, quanto e dove utilizzare determinati prodotti nel loro campo. La diffusione della digitalizzazione e della robotizzazione nelle campagne, naturalmente, aumenta la dipendenza e riduce l’autonomia delle scelte dei coltivatori. Oltre che con la commercializzazione dei dati, è poi andata di pari passo con accordi e fusioni tra le più grandi imprese agroalimentari (sementi, agrotossici, fertilizzanti, commercializzazione) con quelle delle macchine agricole e con i colossi tecnologici. Ognuna delle fasi della catena agroalimentare industriale è dominata da poche imprese: tra le 5 e le 10 in ogni settore controllano più della metà del mercato globale. Il cambiamento più forte nel settore agroalimentare negli ultimi anni è l’irruzione dei giganti tecnologici statunitensi (noti come GAFAM prima che cambiassero i loro nomi commerciali: Google, Amazon, Facebook, Apple, Microsoft) insieme ai cinesi Alibaba e Tencent
Dal campo al piatto, la digitalizzazione dei sistemi agroalimentari sta progredendo in tutto il pianeta, con impatti poco conosciuti. Si potrebbe pensare che essendo un pacchetto ad alta tecnologia sia utilizzato solo nei sistemi agricoli industriali, ma sta avanzando anche nei paesi del Sud e in aree dell’agricoltura familiare e contadina, con false promesse di maggiore efficienza e informazione per migliorare la produzione.
Di fronte a questa nuova ondata di tecnicizzazione della campagna, sorgono molte domande. Cos’è e cosa significa? Che impatto ha sui contadini e sull’agricoltura familiare e di piccola scala? Condivido qui un documento con esempi di possibili impatti e di riflessioni su queste domande.
In Messico, tra gennaio e maggio 2022, le più grandi imprese globali di sementi e agrotossici come Bayer-Monsanto, Basf e Corteva (fusione di DuPont e Dow) hanno lanciato nuove piattaforme agricole digitali, che vendono servizi agli agricoltori. Si aggiungono a quelle che già erano presenti negli ultimi anni e alla loro diffusione in altri paesi dell’America Latina.
Fondamentalmente, per entrare nelle piattaforme digitali gli agricoltori devono stipulare un contratto di abbonamento, dopo di che, attraverso sistemi che possono essere droni, satelliti o fotografie delle proprie colture scattate col telefono cellulare dagli agricoltori stessi, le aziende registrano una serie di dati relativi ai loro campi, come ad esempio dati sul suolo, l’umidità, le sementi, la produzione, le malattie delle colture, le piante infestanti e gli insetti che potrebbero essere considerati parassiti, la vegetazione e le foreste, ecc. Memorizzano ed elaborano le informazioni nei cloud informatici di grandi imprese tecnologiche e restituiscono “suggerimenti” agli agricoltori, indicando che cosa, quanto e dove utilizzare determinati prodotti nel loro campo.
Generalmente, i contratti stabiliscono come condizione per il raggiungimento dei risultati l’impegno ad utilizzare le sementi e gli agrotossici delle imprese stesse.
Bayer – che dopo aver acquistato Monsanto è diventata proprietaria della piattaforma digitale Climate Fieldview, una delle più diffuse – ha annunciato nel 2022 il suo accordo con Microsoft Azure (cloud informatico) per attivare, oltre all’azione nei campi, il monitoraggio digitale delle catene di distribuzione. Microsoft offriva già il programma Farmbeat. Basf ha lanciato in Messico la piattaforma Xarvio, che promette di rilevare erbe infestanti, parassiti e malattie locali nelle principali colture a partire dalle foto dei telefoni cellulari. Corteva aggiunge a molte delle sue piattaforme – come Granular e MiLote, dotate di funzioni simili a quelle citate sopra – la possibilità di misurare “l’impronta di carbonio” nei campi. Si affianca così a Bayer nella corsa a potenziali crediti di carbonio nei suoli agricoli, una questione con molti risvolti, tutti negativi.
La diffusione della digitalizzazione e della robotizzazione nelle campagne è andata di pari passo con accordi e fusioni tra le più grandi imprese agroalimentari (sementi, agrotossici, fertilizzanti, commercializzazione) con quelle delle macchine agricole e con i colossi tecnologici. Ognuna delle fasi della catena agroalimentare industriale è dominata da poche imprese: tra le 5 e le 10 in ogni settore controllano più della metà del mercato globale. Il cambiamento più forte nel settore agroalimentare negli ultimi anni è l’irruzione dei giganti tecnologici statunitensi (noti come GAFAM prima che cambiassero i loro nomi commerciali: Google, Amazon, Facebook, Apple, Microsoft) insieme ai cinesi Alibaba e Tencent.
In proporzioni crescenti, le imprese che decidono sulla produzione, la distribuzione e i mercati agroalimentari non hanno nessuna esperienza né conoscenza del settore. Il fatto che l’interesse principale delle imprese transnazionali agroindustriali non sia la produzione di alimenti, ma il profitto, assume nuove sfaccettature con l’ingresso di potenti imprese, altrettanto o ancor di più senza scrupoli, il cui obiettivo immediato è raccogliere la maggior quantità possibile di dati, per vendere informazioni e sistemi di manipolazione dei comportamenti di produzione e di consumo alimentare di grandi gruppi sociali.
Quello che Shoshana Zuboff ha chiamato il “capitalismo della sorveglianza” ha quindi la sua versione nell’”agricoltura della sorveglianza”. I dati su quello che mangiamo, su come viene prodotto e commercializzato, e dove, forniscono un’informazione fondamentale sull’ambiente rurale e sulla società in generale.
Pertanto, le piattaforme digitali non sono destinate soltanto ai grandi proprietari e all’agricoltura industriale. Per ottenere la più grande raccolta di dati sulle coltivazioni e sui processi alimentari, c’è un’ampia rete di commercializzazione e di agevolazioni per agganciare l’agricoltura su piccola scala e contadina, che include la maggior parte degli abitanti delle campagne.
L’introduzione di piattaforme digitali consolida la dipendenza degli agricoltori di tutti i livelli dalle grandi imprese, attraverso contratti che li obbligano a utilizzare i loro prodotti e la loro conduzione agricola, un meccanismo che già esisteva, ma che è incrementato in modo significativo dall’introduzione delle tecniche digitali.
Ora, il nuovo affare per gli oligopoli consiste nell’appropriarsi di un’infinità di dati su ogni campo (compresi i dati che riguardano terra, foreste, acqua, territori), di conoscenze sulla produzione, le sementi, la gestione del suolo e delle colture, le forme di commercializzazione, le abitudini alimentari dei consumatori. Lungi dal fornire “servizi” alle comunità contadine, queste sono oggetto di una massiccia estrazione di informazioni che, una volta trasformate in “dati” e interpretate dai loro algoritmi, diventano per le imprese una merce per ottenere profitto ed esercitare un maggiore controllo.
Fonte originale: “Nubes sobre la agricultura campesina”, in nodal – noticia de América Latina y el Caribe – n. 3282 – 27/07/2022. Traduzione a cura di Camminardomandando.
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