Stralci di un articolo pubblicato da l’Unità il 26 aprile 2012.
Nella storia europea non c’è popolo che abbia subito tante persecuzioni come il popolo Rom. Perfino quando ricordiamo lo sterminio nazista, celebriamo solo la Shoah, ma non il Porrajmos, ovvero la «devastazione» dei Rom. Eppure si calcola che furono tra 500 mila e 1 milione e mezzo i Rom sterminati nei lager. Di loro, però, eccedenza costitutiva, scarto inassimilabile perfino nella memoria, non dev’esservi traccia. Ecco allora che un libro come «Rom, genti libere» di Santino Spinelli (Dalai editore, 17,50 euro) è indispensabile a tessere nuovamente un filo (…). Il libro di Spinelli, musicista e intellettuale (insegna all’Università di Chieti), ci restituisce anzitutto, con una rilevante mole documentaria, la storia del popolo Rom. Che dall’India del Nord all’ inizio dell’XI secolo, dopo le razzie del sultano persiano Mahmud di Ghazni, venne deportato a occidente: e proprio in Persia quelle differenti comunità si diedero il nome «Rom», ovvero «uomo».
Molto interessante il modo in cui Spinelli intreccia la storia dell’esodo dall’India con il divenire della lingua romanì, un itinerario di terre e culture attraversate, che mostra come in tutta evidenza la lingua sia una sedimentazione di esperienze. A cominciare, ad esempio, dalla parola «mare», di cui appunto i Rom fecero per la prima volta esperienza in Persia. Di lì arrivarono nell’Impero bizantino, dove vennero nominati Atsingani (da cui «zingari»), come una setta manichea itinerante con la quale vennero confusi. Il primo modo per non rispettare l’altro è occultarne il nome e l’identità, e proiettargli addosso i nostri fantasmi (così anche «gypsy» e «gitano» vengono da «aegyptianus»). (…)
Un altro capitolo ignoto è l’odierna composizione della popolazione Rom in Italia: su 170mila persone stimate, 60% sono cittadini italiani, prevalentemente stanziali, abitando in case e esercitando svariati mestieri. 30mila sono venuti dalla ex Jugoslavia e 40mila dalla Romania: anch’essi erano, prima delle crisi sociali di quei Paesi, prevalentemente stanziali. Il presunto nomadismo Rom è un’altra violenza esercitata ai loro danni. Chiedete a un Rom se è lui che vuole stare in un campo. Vi risponderà di no. (…)
Tutta la seconda parte è dedicata agli elementi della cultura romanès: per ciò, leggetelo.
Lascia un commento