Stralci da «Un eremo non è un guscio di lumaca, Einaudi 2011.
Non ci accorgiamo della ricchezza e densità di vita in cui siamo perennemente immersi; e rimandiamo la nostra gratificazione a un domani; o a un domani celeste, o a un domani terrestre postrivoluzionario (…). Mi chiedo quanta di questa immaturità non alimenti gli stessi moti rivoluzionari più sacrosanti e giusti (…). È triste dover ammettere che questi moti di riforma, che pure ci stanno tanto a cuore, sono promossi, in parte, da frustrati che proiettano sull’azione esterna le loro insoddisfazioni profonde, la loro sconfitta umana (…).
I risultati sono le ingiustizie, le violenze, le oppressioni cui anche i movimenti liberatori si sono abbandonati. Eppure nei movimenti di liberazione bisogna calarci; e non basta un discorso moralistico a esimerci di impegnarci nel loro cambiamento, non conosco nascite completamente pure (…). Però non basta neanche un discorso rivoluzionario, ove manchi l’ascolto attento del reale. Dobbiamo farci consapevoli che non c’è organizzazione, non c’è politica, non c’è lotta sindacale, in grado di darci l’otium, l’amore, lo stupore. E, senza trascurare questi aspetti concreti in cui la lotta prende corpo, il problema va affrontato più a monte: nella tessitura di un’armonia tra l’uomo e il mondo.
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