Stralci di una recensione scritta da Francesco Comina per Adista del libro «Dio non ucccide» (ed. Il Margine) di Arturo Zilli, prima biografia italiana, in uscita a fine giugno, dedicata al premio Nobel per la pace Adolfo Pérez Esquivel. Il libro sarà presentato a Roma sabato 30 giugno alla Fondazione Lelio Basso (via della Dogana Vecchia 5, ore 17,30): intervengono Adolfo Peréz Esquivel, Gianni Minà, Grazia Tuzi (referente italiana del Serpaj) e Arturo Zilli.
Dios no mata, Dio non uccide, era la scritta che Adolfo Pérez Esquivel – pacifista argentino, vincitore del premio Nobel per la Pace nel 1980, per la sua azione di opposizione alla dittatura argentina – aveva letto su un muro della cella dove venne rinchiuso nel 1977 dal regime militare che comandò l’Argentina dal 1976 al 1983. E Dio non uccide è il titolo della prima biografia italiana dedicata ad Adolfo Pérez Esquivel in uscita a fine mese per la casa editrice Il Margine di Trento (pp. 192, 16 euro). Il libro, scritto dal giornalista bolzanino Arturo Zilli, ricostruisce la storia e la vicenda politica di uno degli uomini simbolo della difesa dei diritti umani e della resistenza nonviolenta ai tiranni del nostro tempo. (…) Nei giorni scorsi Esquivel ha inviato una lettera durissima al presidente del Cile Sebastián Piñera denunciando l’atteggiamento di tolleranza manifestato dal presidente verso l’omaggio alla memoria di Pinochet e alla dittatura, che si è celebrato nella capitale Santiago (…).
Esquivel dice quello che pensa e fa quello che dice, come direbbe il suo amico Eduardo Galeano. Ha resistito alle calunnie, al terrore, alla tortura, alla prigionia. I suoi occhi hanno visto il male, le sue mani hanno toccato la sofferenza più inaudita. Ma Dios no mata, Dio non uccide. Solo la prepotenza, la sete di potere, l’estasi di dominio e la paranoia dell’ordine tirano Dio nelle pieghe dell’ideologia religiosa negativa, facendone un idolo della paura, della morte e della vendetta. Accadde proprio così in Argentina negli anni Settanta quando un regime (sostenuto dalla più importante democrazia occidentale, gli Usa) si proclamava pubblicamente tutore del cristianesimo e nel contempo affilava le leve taglienti di una delle macchine più spietate del Novecento. I tentacoli di questa civiltà cristiana allevata al culto del dio sterminatore perseguitò studenti, giovani, operai, contadini e anche l’altro versante della Chiesa, quella che aveva cercato di praticare l’opzione preferenziale per i poveri secondo lo spirito della Teologia della Liberazione. (…)
Ma Dios no mata, Dio non uccide aveva letto sui muri di una cella Esquivel nel 1977 quando venne scaraventato nel famigerato «tubo», una prigione bassa, stretta e lunga due metri senza bagno, senza letto, senza nulla. In mezzo a tante scritte lasciate dai prigionieri torturati e probabilmente fatti sparire nei gorghi dell’oceano della memoria, ce n’era una che salvava Dio dalla furia sterminatrice dell’idolatria. Ecco come Esquivel ricorda quel momento in un passaggio del libro: «Restai come paralizzato, non potevo smettere di guardare né di sentire un tremore nel profondo dell’animo mentre le lacrime correvano sulle mie guance. Dios no mata, Dio non uccide, era scritto con il sangue. Una donna o un uomo, in quel momento limite della vita e della morte, nel dolore della tortura compì un atto di profonda fede e scrisse con il suo stesso sangue Dios no mata».
Esquivel, nonostante fosse già famoso, venne picchiato a sangue nelle celle dei maiali, torturato con le scariche elettriche, spaventato con i voli della morte dove altri giovani argentini furono scaraventati dall’aereo direttamente nell’oceano e dove si consumò una delle pagine più inquietanti della storia: la sparizione di 30mila persone (i desaparecidos) e lo sterminio di migliaia di oppositori. Resistette finché poté, con le unghie e con i denti. Confidando nel Dio delle beatitudini, il Dio che non uccide. Ed è grazie a quella fede in quel Dio del «tubo» che sopravvisse e ne uscì vincitore con il premio Nobel del 1980, che suonò portentoso come una condanna e una umiliazione per la dittatura argentina. Una storia commovente, quella di Esquivel, che merita di essere consegnata ai più giovani perché sappiano quello che è accaduto pochi anni fa in un mondo ferito dalle ideologie di dominio asservite al puro interesse di mercato.
(…) L’introduzione è affidata al noto scrittore argentino Mempo Giardinelli, vittima della repressione. La postfazione invece è scritta da Grazia Tuzi, la referente italiana di Esquivel per il Serpaj (il Servizio Pace e giustizia presieduto da Esquivel) che lavora per il recupero dei bambini di strada di Buenos Aires e per altri progetti sui diritti umani e diritti ambientali. (…)
Lascia un commento