Uccisi o feriti sotto i bombardamenti, colpiti dai lutti, privati di educazione, costretti alla fuga, inclusi nelle unità combattenti. La guerra in Ucraina porta con sé grandi sofferenze per bambini e adolescenti. Del resto il potere militare in Russia come in Ucraina o Bielorussia è da tempo penetrato sempre più nella vita di ogni giorno. In questo articolo, sulla base di inchieste recenti, fonti giornalistiche, documentari, Bruna Bianchi ricostruisce e descrive alcuni di questi terrorizzanti processi in corso
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di studi, documenti e testimonianze a cura di Bruna Bianchi]
Sono feriti e perdono la vita sotto i bombardamenti, sono dilaniati dalle mine, colpiti dai lutti, privati dell’educazione, del cibo e di un riparo; sono costretti alla fuga, deportati, esposti al rischio di traffico e di essere inclusi nelle unità combattenti. La guerra in Ucraina ogni giorno porta con sé grandi sofferenze per i bambini. Ma ha soprattutto intensificato e accelerato i processi di militarizzazione dell’infanzia – in atto da almeno un decennio nei paesi coinvolti nel conflitto e in quelli dell’Europa centrale –, ha stravolto il sistema educativo e i programmi scolastici sono diventati un’arma di guerra. Presentandosi con un volto seducente, promettendo avventura, socialità e promozione sociale, il potere militare è penetrato sempre più invasivamente nella vita quotidiana e scolastica violando i diritti umani e l’integrità psicologica dell’infanzia. Nei campi sportivi-militari bambini e bambine sono sottoposti-e all’addestramento militare e nelle scuole, a partire dalle materne, si prospetta loro un destino di combattenti e, in particolare alle bambine, quello di orgogliose custodi delle virtù marziali della nazione.
In questo articolo, sulla base degli studi e delle inchieste recenti, delle fonti giornalistiche e dei documentari, ho cercato, benché in maniera frammentaria, di ricostruire e descrivere questi processi, di cogliere il vissuto infantile e di comprendere i modi in cui bambini e adolescenti resistono ai messaggi militaristi e violenti o le ragioni per cui li assumono e li diffondono.
Nel Donbass
Dal 2014, con l’intensificazione delle ostilità nell’Ucraina orientale, nelle repubbliche di Lugansk e Donetsk il coinvolgimento dell’infanzia nel conflitto si è esteso e si sono moltiplicati i campi sportivi-militari, organizzati anche dalla Chiesa ortodossa, dove bambini e adolescenti si sono addestrati all’uso delle armi. Solo nel Donetsk dal 2014 al 2019 il numero di queste associazioni è triplicato salendo a 62 (Jaroslava Barbieri 2023, p. 14).
Già nelle prime fasi della guerra nel Donbass i minori di 18 anni erano presenti in entrambe le formazioni militari. “Qui non è l’età della persona che ha importanza, ma la sua preparazione a combattere per il proprio paese”, ha detto nel 2014 un comandante ad una televisione ucraina.
In molti casi l’arruolamento dei bambini è avvenuto volontariamente, vuoi per condizionamento ideologico trasmesso da genitori e insegnanti, o perché orfani, o ancora per bisogno di cibo, di riparo o del “soldo” militare. La condizione infantile nelle zone di guerra, infatti, è diventata sempre più drammatica; nel 2017 l’UNICEF valutava che 234.000 bambini su 500.000 avessero bisogno di aiuto umanitario. In tre anni, si legge nello stesso rapporto, 740 scuole su 3.500 sono state distrutte o gravemente danneggiate. Quando per andare a scuola si devono attraversare terreni minati e sui banchi si vive nella paura dei bombardamenti, l’abbandono scolastico è frequente e la via dell’inclusione nelle formazioni combattenti è aperta. È il caso di un quattordicenne riportato nel rapporto a cura di Justice for Peace in Donbas, una coalizione di organizzazioni per i diritti umani. Lasciata la scuola, il ragazzo si era arruolato; per lui “non aveva importanza ormai dove sarebbe morto, se a scuola o al fronte” (p. 4).
Non conosciamo il numero dei minorenni coinvolti direttamente nelle operazioni militari, ma sappiamo che in molti hanno perso la vita. Il Libro della memoria dei caduti per l’Ucraina nel 2019 menzionava 31 giovani di età inferiore ai 19 anni uccisi nel corso dei combattimenti nelle regioni orientali, il più giovane aveva 16 anni. Nelle formazioni separatiste si sa di una bambina arruolata all’età di 9 anni (Markowska-Manitsa 2021, p. 197).
Anche la scuola è diventata un luogo di militarizzazione, ha creato spazi di violenza nella vita quotidiana, innescato processi di espansione e assorbimento di logiche e pratiche militariste al fine di legittimare le nuove repubbliche, creare una forte identità nazionale e rendere impossibile la reintegrazione dei territori occupati nell’Ucraina. I programmi di militarizzazione si sono avvalsi del sostegno pratico e finanziario russo e delle organizzazioni dei veterani; sul modello russo sono state introdotte le “lezioni di coraggio” ed è stata attuata una revisione dei libri di testo in cui i legami del Donbass con l’Ucraina sono stati definiti “un’aberrazione storica”.
Preparazione alla guerra, revisione dei curricula scolastici e delle narrazioni storiche che celebrano la gloriosa vittoria contro il nazismo e nuovi anniversari, come quello dello pseudo referendum del 2014, sono processi a cui bambini e adolescenti sono stati spinti a sentirsi soggetti attivi, atttori geopolitici. Li ha descritti Iuliia Hoban nella sua ricerca basata sui documenti relativi alle attività di 141 scuole e di 50 musei scolastici. Lo studio si riferisce agli anni dal 2016 al 2020, ma le linee dei programmi educativi non sono mutate per quei bambini che sono fuggiti o sono stati forzatamente trasferiti in Russia.
Nelle feste, come quella del “Difensore della patria”, i ragazzi hanno rivestito il ruolo di futuri guerrieri, si sono esibiti nella loro abilità di usare le armi, mentre le ragazze hanno messo in scena la cura degli “eroi del nostro tempo”, ovvero di coloro che hanno difeso il Donbass dalle truppe ucraine, una minaccia sempre incombente. In preparazione di queste commemorazioni ogni classe ha condotto una ricerca sull’unità militare che voleva rappresentare e ne apprendeva le canzoni. Con i concerti, le processioni con candele, le deposizioni di fiori e le narrazioni eroiche ascoltate dalla voce dei militari, scrive Hoban, la violenza diviene spettacolo e svago.
Nei musei scolastici, spesso dedicati a unità militari o ai caduti del luogo nella Seconda guerra mondiale, la guerra veniva personalizzata e i conflitti – passati, presenti e futuri – si fondevano e si confondevano in un’unica narrazione di guerra permanente.
Gli allievi organizzati nei “club dei musei” hanno costruito oggetti per le esposizioni, come il “Quilt della vittoria”, organizzato visite e partecipato all’allestimento. Le storie dei piccoli eroi sono state narrate dai ragazzi ai bambini riportando in vita il culto dei pionieri della Seconda guerra mondiale.
Dal 2020 ad oggi il quadro è notevolmente cambiato: la guerra si è abbattuta con sempre maggiore violenza sulla regione, altre scuole sono state distrutte, 2.800.000 persone sono fuggite o sono state forzatamente trasferite in Russia, e i bambini sono stati inclusi nei programmi educativi russi.
Impossibile far luce sullo stato d’animo infantile in una situazione tanto drammatica, ma, come ha scritto Jaroslava Barbieri, è lecito pensare che il regime di terrore instaurato nella regione dall’occupazione, le distruzioni, lo spaesamento e la sofferenza dei bambini che hanno dovuto lasciare le proprie case abbiano indebolito piuttosto che rafforzato i messaggi della propaganda.
In Crimea
Anche in Crimea i modelli educativi russi sono stati introdotti immediatamente dopo l’annessione. Secondo l’indagine di un gruppo per i diritti umani della penisola, riportata da Borys e Andrii Demianenko dell’Università di Pereiaslav, la trasformazione della vita sociale della Crimea ha preso avvio dalla militarizzazione dell’educazione, dello sport e della cultura (ivi, p. 230). La revisione e la glorificazione di un passato mitizzato si è espresso nelle parate, nei concerti, nelle rappresentazioni teatrali alla presenza dei militari russi e dei cosacchi di Crimea e nelle scuole è stata introdotta l’obbligatorietà dell’addestramento militare. Nel 2015 è sorto il Centro Patriottico di Crimea con lo scopo di affermare la legittimità dell’annessione, promuovere l’educazione patriottica e radicare un’immagine dell’Ucraina come paese nemico. Molte altre organizzazioni non governative promuovono l’educazione patriottica, alcune di queste affiliate a quelle russe. Nei campi sportivi-militari organizzati dalla Chiesa ortodossa, sulla base dell’assunto che “l’esercito è sempre spirituale”, escursioni ed eventi danno al culto della guerra giusta un’aura sacra con un’enfasi particolare sull’etnia, la nazionalità e il dovere del sacrificio. “Il credente, ha affermato recentemente il patriarca Kirill, sacrifica la sua vita più facilmente del non credente perché sa che la vita umana non finisce con la sua vita”; è lui il vero patriota, rappresentato dal cosacco (Gaziza Shakhanova-Peter Karatochvíl, p. 19).
La Chiesa ortodossa, infatti, che considera la Russia il vero tempio della cristianità, si è fatta promotrice di una educazione patriottica militarizzata contribuendo attivamente a fare della Crimea un baluardo militare.
In Russia
Fin dalle prime fasi del conflitto, mentre si andavano moltiplicando le diserzioni dei giovani in età militare e gli appelli alla “mascolinità del guerriero” cadevano in gran parte nel vuoto (Marina Yusupova 2023), l’attenzione del regime si è rivolta ai giovanissimi e ai bambini in maniera ancora più accentuata rispetto al passato. Già pochi mesi dopo la rielezione di Putin, infatti, il 20 ottobre 2012, un nuovo decreto presidenziale aveva affermato la volontà di “rafforzare le fondamenta spirituali e morali della società” e di fare dei bambini dei veri patrioti, pronti ad affrontare i nemici che avessero minacciato la cultura, la storia e i confini russi.
Con l’uniformazione dei libri di testo nel 2013 e nel 2016 la Grande guerra patriottica e la politica estera dell’URSS hanno ricevuto un nuovo impulso, i crimini sovietici sono stati negati, ogni critica all’esercito sovietico taciuta e sul mito della vittoria si è “creata una leggenda della salvezza dell’umanità e del mondo” (Iuliia Iashchenko, pp. 14-15).
Negli anni Novanta Svetlana Aleksievič aveva definito la società russa “una società prigioniera dei miti, terrorizzata da ideali ed esempi eroici” (Aleksievič 2003, p. 285) e quegli esempi oggi più che mai “terrorizzano” migliaia di bambini.
Junarmija
Il 29 ottobre 2015, nell’anniversario della nascita nel 1918 del Komsomol, l’unione della gioventù comunista leninista, è sorta l’organizzazione Junarmija per iniziativa del ministro della Difesa che così ne definiva gli obiettivi:
Fare in modo che i giovani proteggano la Russia con armi alla mano; la prontezza e la volontà di servire devono nascere nell’infanzia e nell’adolescenza. Per formare un atteggiamento positivo verso l’esercito come istituzione pubblica e le questioni militari come una occupazione, lo stato deve partecipare sistematicamente e con rilevanti risorse all’impegno militare e patriottico (Citato da Jonna Alava, p. 260). Altro scopo importante è quello di allontanare le giovani generazioni dalle influenze occidentali (in primis droga e omosessualità) e di “sradicare sentimenti pacifisti” (ivi, p. 270). Le future reclute, prevedeva il governo, non sarebbero fuggite, ma si sarebbero arruolate spontaneamente.
L’avventura, sempre nelle dichiarazioni del ministro della Difesa, è un aspetto essenziale dell’organizzazione. “Junarmija apre la via a tutte le gioie del servizio militare. Si avrà la possibilità di guidare aeroplani, lanciarsi con il paracadute, nuotare sott’acqua, navigare sulle nostre navi da guerra e sottomarini […] imbracciare una mitragliatrice e sentirsi degli eroi” (ivi, p. 268).
Nel determinare la decisione di aderire a Junarmija l’aspetto avventuroso ha certamente un ruolo importante nei giovani che desiderano liberarsi dalla monotonia e dalle costrizioni della loro vita, di sentirsi importanti e mettersi alla prova, ma la pressione scolastica e famigliare è forse la motivazione più rilevante. “Mio padre, ha dichiarato un ragazzo in una recente intervista, è un soldato, e insieme a mia madre mi ha spinto a iscrivermi a Junarmija”, un’organizzazione patriottica che abbiamo qui in Russia; noi ripudiamo la guerra e la violenza e preferiamo la pace, qui in Russia noi preferiamo la pace”.
Benché l’adesione all’organizzazione sia volontaria, di fatto essa è obbligatoria per gli orfani, i figli dei dipendenti pubblici, dei militari e di coloro che lavorano nel settore della difesa. Gli iscritti, 719.00 al settembre 2020 (Alava, p. 259), nel novembre 2022, secondo il sito dell’organizzazione, sarebbero saliti a 1.300.000 e le sedi a 89. Attualmente il governo conta di superare i tre milioni di aderenti entro il 2030.
Fanno parte Junarmija anche alcuni club patriottico-militari del Donetsk, quelli delle “Amazzoni” e dei “Cavalieri”, composti prevalentemente da ragazze (Jaroslava Barbieri 2023, p. 6).
Con la guerra in Ucraina la percentuale dei genitori favorevoli all’iscrizione dei loro figli all’organizzazione è cresciuta, ma dalla maggior parte dei giovani in età scolare essa è vista negativamente, mentre è fortemente sostenuta dalla Chiesa, dalle autorità politiche e dagli insegnanti. Lo confermano i dati relativi al 2022 elaborati da Iuliia Iashchenko (p. 16) e riportati nella tabella seguente.
Opinione positiva | Opinione negativa | Nessuna opinione | |
Genitori | 50% | 37% | 13% |
Allievi | 30% | 66% | 14% |
Insegnanti | 80% | 7% | 13% |
Politici | 95% | 3% | 2% |
Clero | 97% | 3% | 2% |
Accademici/che | 11% | 76% | 13% |
In un paese in cui un terzo della popolazione attiva è alle dipendenze dello stato, gli insegnanti, i dipendenti delle imprese pubbliche e delle forze armate sostengono gli orientamenti educativi del regime, un sostegno basato in gran parte sul timore della delazione, del licenziamento e di altri provvedimenti repressivi. Agli insegnati si chiede non solo l’adesione ai valori militaristi, ma di dimostrarla attivamente e con zelo esortando i genitori a iscrivere i loro figli il più presto possibile a Junarmija.
Generosamente finanziata dallo stato, sponsorizzata da una banca, un giornale, una rete televisiva e dal comandante mercenario Evgenij Prigožin (Alava, p. 260), Junarmija recluta direttamente nelle scuole bambini e ragazzi dai 7 ai 18 anni e promette avventura, acquisizione di competenze, promozione sociale. Ad ogni aderente, ad esempio, vengono attribuiti venti punti agli esami nazionali, una assegnazione che può consentire l’ingresso all’Università e superare le perplessità da parte delle famiglie (Iuliia Iashchenko, p. 15).
“Dopo essersi diplomati, si legge nel sito dell’organizzazione, molti membri di Junarmija entrano nelle principali università militari del Paese dove ricevono istruzione superiore gratuita e sostegno sociale dal ministero della Difesa”.
Junarmija è formalmente guidata non già da un militare, ma da un ginnasta venticinquenne campione olimpionico, Nikita Nagornyj, molto popolare e molto presente sui social attraverso i quali diffonde un modello di gioventù dall’aspetto attraente, forte, di successo e di etnia russa.Come Nikita, ha scritto Jan Garner, la campionessa di sci Veronika Stepanova, 21 anni, che ha alle spalle una esperienza nell’organizzazione giovanile, pubblica post sulla sua vita brillante di atleta affermata, nonché sulla politica e sulla guerra in Ucraina.
Le sezioni dell’organizzazione ambiscono a diventare una seconda casa e nelle zone rurali o isolate i giovani vi trovano una occasione di socialità e ricreazione. Nelle “case Junarmija” essi fanno i compiti, scrivono lettere ai soldati, raccolgono cibo e coperte per i russi costretti ad abbandonare le loro abitazioni nelle zone occupate; nei campi imparano a vivere nei boschi, a montare una tenda, a sparare, a smontare le armi e a lanciare coltelli. Essi inoltre organizzano attività patriottiche sulla guerra in Ucraina (nel complesso 90.000 dall’inizio del conflitto al giugno 2023) che hanno raggiunto il picco nel febbraio 2023 (Daria Talanova-Nikita Kondratyev).
I giovani, maschi e femmine, devono sempre indossare l’uniforme, prendere parte alle esercitazioni militari, perfezionarsi nel tiro contro sagome umane. I valori culturali che l’organizzazione si propone di difendere sono quelli del popolo russo etnicamente inteso, non già quello delle diverse etnie che hanno la cittadinanza russa.
Gli aderenti di Junarmija, inoltre, sono incoraggiati a postare video con cui diffondono non solo il senso dell’avventura e la fierezza di far parte del gruppo, ma in cui mettono in scena lotte corpo a corpo che includono calci, percosse con il calcio del fucile e mosse per immobilizzare e pugnalare un nemico. E c’è stato anche chi, come Maria, ha postato un messaggio di congratulazione agli agenti che hanno infierito sui dimostranti nel febbraio 2022 (Garner 2023, p. 222).
Nell’organizzazione le ragazze sono numerose; ciò può sorprendere se si considera che, a differenza di quanto è accaduto in Ucraina, che ha aperto alle donne tutti i ruoli militari, in Russia sono una esigua minoranza e solo recentemente sono state reclutate donne nei penitenziari ed è stata lanciata una campagna rivolta a mediche, infermiere e cuoche affinché firmino un contratto con l’esercito. A determinare questa differenza, ha sostenuto Jennifer G. Mathers, è la diversa immagine che i due paesi in conflitto vogliono dare di sé, in primo luogo ai loro alleati: quella del difensore dei valori tradizionali della famiglia nel caso della Russia, quella di una società aperta ai valori europei, inclusa l’eguaglianza di genere, nel caso dell’Ucraina.
Benché in Russia le giovani possano sviluppare virtù maschili, queste rimangono accessorie e temporanee e non intaccano l’immagine della donna fragile e femminile; lo rivelano le acconciature, il trucco accurato e alcuni segni distintivi sulla divisa. Il dovere primario delle donne resta la maternità, un ruolo che le donne hanno il dovere di anteporre all’istruzione e alla carriera. Lo ha affermato il 18 luglio il ministro della Salute alla seduta plenaria della Duma: “Dilazionare la maternità è una pratica depravata”. “Una donna deve capire che deve avere figli; più giovane è, meglio è”.
Ugualmente, per quanto riguarda i bambini, più piccoli sono e più facilmente assorbiranno i messaggi del militarismo.
I bambini sono terreno fertile e sta a noi piantarvi il buon seme. Dobbiamo approfittare del periodo in cui sono ancora piccoli; ciò che mettiamo nelle loro teste determina ciò che saranno in futuro. Devono sapere maneggiare un’arma, capisce? Devono essere preparati fisicamente e moralmente ad affrontare le ombre buie che arrivano per il nostro paese, soprattutto i ragazzi. Oggi i nostri coraggiosi soldati stanno facendo il loro dovere in Ucraina. Un giorno, spetterà a questi piccoli a pagare il loro debito verso il loro paese.
Lo ha dichiarato Olga Zarkhan, direttrice del centro sportivo-militare di Soči, alle giornaliste Veronika Dorman e Ksenia Bolchakova (2023, pp. 122-123). Nella visione di istruttori e istruttrici come Olga i bambini sono intesi come puri recettori, completamente manipolabili e sacrificabili. Solo una concezione estremamente oppressiva di infanzia può indurre la convinzione di poter spingere i bambini a lanciarsi nell’avventura della morte in una guerra senza fine. Com’è noto, i dati accertati sulle perdite confermano l’alto tasso di mortalità in guerra dei più giovani. Certo, continua Olga, fa male dover sacrificare i nostri bambini.
Li abbiamo portati in grembo, li abbiamo cresciuti… Ma un ragazzo è nato per difendere il suo paese. Una figlia per essere la custode della casa” (ivi, p. 123).
Anche i bambini ucraini deportati o fuggiti in Russia – nel complesso 700.000 secondo un rapporto di Maria Vlova Belova, Commissaria russa per i diritti dell’infanzia, pubblicato a luglio 2023 – subiscono le stesse forme di propaganda militarista nei cosiddetti campi di rieducazione, una rete di campi e altre strutture (almeno 43) in cui, secondo una ricerca della Yale School of Public Health del febbraio 2023, sono stati destinati almeno 6.000 minorenni (pp. 14-16). Un campo vicino a Grozny accoglie i ragazzi “a rischio”, inclusi coloro che hanno ricevuto condanne, un altro campo in Crimea – la “Scuola dei futuri comandanti” – è organizzato da Junarmija; lì si studiano le armi, si impara a guidare i camion e ad “amare la Russia”. Nel complesso all’ottobre 2022 secondo l’organizzazione per i diritti umani Zmina, in Crimea c’erano 1.500 bambini evacuati da Cherson.
La vita nei campi, l’uso delle armi, le competizioni, la disciplina insinuano l’abitudine a risolvere i problemi con la forza e normalizzano la violenza. “Se bambini e bambine devono lanciare granate a scuola, questo diventa per loro la normalità”, ha dichiarato Ekaterina Ternovaya. I bambini, spiega la psichiatra, iniziano a pensare che di fronte a una minaccia si deve imparare a difendersi con le armi. Il risultato è che su di loro ricade una grande responsabilità, una responsabilità che non hanno mai scelto di assumersi. E questo influisce grandemente sulla loro percezione della realtà” (Daria Talanova-Nikita Kondratyev) predisponendoli ad accogliere miti e astrazioni.
L’eroe, il banco, il talismano
Una volta, quando andavo ancora a scuola, avrò avuto 12 anni, è venuta una tiratrice scelta che aveva ammazzato settantotto “crucchi”. Quando sono tornato a casa, tartagliavo, e durante la notte mi è venuta la febbre. […] Ho passato una settimana chiuso in casa.
Con queste parole ha ricordato la sua esperienza scolastica un artigliere che aveva combattuto nella guerra afgana (Aleksievič 2003, p. 55). Fin dai tempi sovietici la propaganda quotidiana nelle aule scolastiche ha scosso l’equilibrio psichico dei bambini, una pratica che si è intensificata dall’inizio del conflitto ucraino. Nel settembre 2022 sono state istituite in tutte le scuole le “conversazioni sulle cose importanti” che, a partire dalla quinta elementare, trattano il tema della guerra in Ucraina. Le “conversazioni” sono precedute dalle cerimonie della bandiera che si svolgono ogni lunedì alla presenza di militari o veterani; la frequenza è obbligatoria pena il licenziamento per gli insegnanti, i rimproveri, le minacce che talvolta si concretizzano nell’intervento della polizia, per i giovani allievi. Anche i minorenni, infatti, sono stati arrestati e condannati in gran numero per aver opposto resistenza o manifestato apertamente il loro dissenso per queste manifestazioni (OVD, 2023, pp. 5-7). L’avversione per la guerra tra i bambini è diffusa, ma è per lo più silenziosa, soprattutto a scuola dove regna la paura (Yakovleva 2023).
Alle aule scolastiche hanno accesso anche i reclutatori dell’esercito che illustrano i vantaggi dell’arruolamento e ricordano le pene per chi vi si sottrae. Le scuole, infatti, sono state investite da una vasta campagna propagandistica, a partire dalle materne. Daria Talanova e Nikita Kondratyev hanno valutato in 17.000 i manifesti per l’arruolamento affissi all’interno degli edifici scolastici dall’inizio del conflitto all’aprile 2023.
Nel febbraio 2023 l’Agenzia federale per gli Affari giovanili ha annunciato il programma “Il tuo eroe”, un programma di reintegrazione dei militari smobilitati dall’“Operazione speciale” che, dopo un breve corso di pedagogia e psicologia, talvolta dopo un unico incontro con un esperto o una esperta, diventano “mentori scolastici” e tengono “lezioni di coraggio”. Le interviste ai reduci, tutti originari delle repubbliche del Donbass, condotte recentemente dal media indipendente russo Vertska, gettano uno squarcio di luce sulle modalità e la ricezione di queste “lezioni” e sul disagio sia dei “mentori” che dei giovani allievi. Alcuni reduci sono giovanissimi. Andrej, ad esempio, si era offerto volontario a 19 anni; per le vie reclutavano, ha ricordato, e come tanti decise di arruolarsi “nella convinzione che non ci fosse alternativa” e che alla sua età non sarebbe stato mandato in prima linea. Destinato ad un reparto di cecchini a Marjupol, con il suo reparto si rifiutò di sparare. Quando tornò, altri reduci gli dissero che chi era stato al fronte sarebbe stato presto dimenticato se non si fosse “sistemato in qualche posto”, ad esempio come insegnante nelle scuole, ma ormai Andrej voleva solo dimenticare. “Ho servito, ho sofferto e [il servizio militare] l’ho eliminato dalla mente”. Anche Anatolij, studente di economia all’Università del Donetsk, andò in guerra a 19 anni in un reparto di cecchini. Faceva parte di Junarmija, sapeva già sparare, quello del cecchino era un compito facile per lui. Poi fece parte del programma “Il tuo eroe”, ma dovette ammettere che i ragazzi non capivano la sua esperienza o forse non l’accoglievano come un esempio da seguire. L’intero contesto di questi incontri, infatti, è orchestrato in modo da suggerire ai bambini che presto dovranno sostituire il reduce che gli sta di fronte. Non può stupire, quindi, che durante le “lezioni di coraggio” serpeggi il disagio. È il caso di Dimitrij che, mentre veniva proiettato un filmato girato al fronte che riprendeva un gruppo di soldati mentre ridevano e che suscitava il riso dei compagni, lui cercava di distogliere lo sguardo senza farsene accorgere. “Non è bello vedere che i ragazzi di fronte a un video sulla guerra ridono”.
Molti reduci inclusi nel programma di reintegrazione sono ancora traumatizzati e mentalmente instabili, e benché non si soffermino sulla guerra combattuta, la loro emotività trapela dal tono della voce e dalle espressioni del volto. “I bambini osservano e comprendono, ha affermato la psicologa Ekaterina Sudakova, “che futuro prospetta la scuola a un bambino che è andato lì per imparare?”. Imparerà che c’è solo un punto di vista a cui non ci si può opporre, e che non è necessario riflettere. Riabilitare psicologicamente i reduci con incontri nelle scuole è deleterio”. I bambini con cui la psicologa è entrata in contatto si sono rivelati diffidenti verso queste iniziative patriottiche e “Se questa retorica insistente durerà a lungo, conclude Sudakova, è molto improbabile che sia presa sul serio”.
Fonte di veri e propri traumi è il programma “Banco dell’eroe” che prevede che nelle classi un banco venga dedicato a un soldato ucciso in guerra; ricoperti di informazioni biografiche e fotografie del caduto, questi banchi (3.500 al giugno 2023), sono simili a pietre tombali che inquietano e spaventano i bambini. Quando vengono inaugurati alla presenza dei parenti del soldato ucciso, lamenti e pianti disperati portano la tensione al massimo e, come si legge in un reportage di Olha Chepil sulle scuole in Buriazia, è accaduto che alcuni bambini siano svenuti.
Per madri e padri in lutto le cerimonie pubbliche in ricordo dei loro figli sono talvolta un balsamo, ma quelle che si svolgono nelle scuole sono particolarmente inquietanti. Se i sentimenti di dolore, pietà e lealtà verso i morti sono sfruttati per spingere i giovani, e addirittura i bambini, a morire e uccidere affinché altri giovani non siano morti invano, la spirale di violenza diviene inarrestabile.
Infine, nel marzo 2023, è stata promossa “la campagna del talismano” e nel corso della primavera migliaia di bambini hanno prodotto 50.000 talismani per i soldati: origami, gingilli, portachiavi, candele, cuori di carta con impressa la Z (Daria Talanova, 2023). Con questi lavoretti, così come con le letterine inviate al fronte in cui si esprime il sentimento di sollecitudine per soldati che hanno accettato o a cui è stato imposto un destino che si può sfidare solo con un portafortuna, i bambini diventano ingranaggi di un meccanismo che stritola innumerevoli vite umane.
In Bielorussia
Anche in Bielorussia il governo sta svolgendo un’intensa attività di preparazione militare dei bambini a partire dai 6-7 anni in campi militari istituiti a partire dal 2011 dopo le elezioni che hanno portato alla presidenza Alexander Lukashenko.
I campi sono sotto la giurisdizione del ministero della Difesa, degli Affari interni e di quello delle Situazioni di emergenza e si rivolgono soprattutto a bambini appartenenti a gruppi vulnerabili, orfani o in situazioni socialmente precarie. Lo rivela un rapporto di Our House, associazione pacifista e per i diritti umani fondata da Olga Karach nel dicembre 2002 e proposta il 4 agosto 2023 dall’Internazional Peace Bureau per il premio Nobel per la pace 2024. Il rapporto, che si basa su informazioni tratte dalle fonti ufficiali, ha rivelato che nell’estate 2022 sono stati organizzati 480 campi a cui hanno partecipato oltre 18.000 minori, ovvero un minore su 55. Le testimonianze dei bambini riportate nel rapporto rivelano il senso di orgoglio per aver imparato a montare una tenda, ad accendere un fuoco, a perlustrare il terreno alla ricerca di oggetti nascosti, a medicare una ferita, e non da ultimo a sparare:
“Mi ha particolarmente colpito, ha dichiarato un bimbo di 7 anni, il fatto di aver sparato con una pistola tommy”.
“Sappiamo già come montare una tenda, sparare con un fucile ad aria compressa. Sappiamo come preparare correttamente un letto militare, abbiamo imparato che tipo di ordine deve avere un soldato” (ivi, p. 8).
Nei nove giorni di permanenza previsti nei campi di “ricreazione patriottica” e di “difesa sportiva” si svolgono nove tipi di attività: marcia in formazione; addestramento alle armi – fucili e bombe a mano –; tiro al poligono; addestramento tattico; protezione dalle armi di distruzione di massa; protezione civile; formazione medica; studio del regolamento delle forse armate dell’URSS; formazione topografica; costruzione di ripari, trincee e camminamenti. Le spese di soggiorno per i bambini orfani, di famiglie marginali e privi di istruzione ricadono sullo stato:
In altre parole, il regime bielorusso coinvolge in addestramenti militari, pagandoli, bambini che si trovano in una situazione sociale particolarmente vulnerabile, privi di cure parentali, bambini appartenenti a famiglie di gruppi marginali, a basso reddito, nonché bambini disabili con uno sviluppo psicofisico particolare, per prepararli a partecipare a operazioni militari e promuove la cultura militarista e la guerra (ivi, p. 6).
In Ucraina
Ben poco si parla di quanto accade nella società ucraina. Difficile avere accesso alle informazioni in un paese in cui si svolgono le operazioni belliche e in cui la società è sottoposta a legge marziale che riduce al silenzio le voci dei dissidenti, degli obiettori, dei pacifisti. A livello internazionale il discorso pubblico e la propaganda si sono fissati sull’immagine dell’eroico paese che lotta unito per la sua integrità territoriale e tacciono sulla militarizzazione della società e sulle sue conseguenze. Europa e Stati Uniti con l’invio costante di armi contribuiscono ad innalzare la violenza bellica che si riverbera ad ogni livello della società.
I programmi di educazione nazionalpatriottica di bambini, bambine e degli adolescenti sono iniziati con l’indipendenza del paese e si sono progressivamente intensificati. Con la guerra del 2014 nelle regioni orientali si è affermata in Ucraina un’unica versione del patriottismo fondata sull’idea della militarizzazione e della difesa territoriale e sono sorti campi sportivi-militari in tutto il paese. Lo rivelano le informazioni frammentarie – tratte da interviste, social media, testimonianze di soldati e civili in condizione di detenzione illegale – raccolte e visualizzate in una mappa a cura di Justice for Peace in Donbass (p. 10) e relative al 2016.
Il reclutamento attraverso i campi di minori di 16-17 anni si è verificato non solo nei territori orientali controllati dall’Ucraina, ma anche in altre zone del paese. “Al momento, concludevano gli estensori del rapporto del 2016 – un sistematico reclutamento di bambini nelle forze armate di entrambe le parti è condotto nei campi di addestramento militare” (p. 5).
Nel 2014 è sorto anche un campo della brigata d’assalto Azov dove i bambini imparavano a odiare i russi e a invocarne la morte nelle canzoni: “morte ai moscoviti, accumuliamo morti!”. Tre anni più tardi i campi nazionalisti sono stati integrati nella Guardia nazionale ucraina.
Nel 2019, nei campi presso Kiev e al confine con la Polonia, i bambini sono stati catturati dall’obiettivo del fotografo Diego Ibarra Sánchez mentre si esercitavano nel bosco, indossavano maschere antigas, si avviavano alle esercitazioni. Un’immagine particolarmente inquietante è quella che ritrae un istruttore ucraino in divisa mimetica che tiene “paternamente” per mano il bambino più piccolo del gruppo mentre lo conduce in un bosco dove gli insegnerà a sparare. Il volto del bambino ha una espressione tra lo spaventato e l’interdetto e gli occhi sono gonfi. Un altro ragazzino di otto anni ha sentito il bisogno di elaborare la sua esperienza con la scrittura; nel quaderno che ha illustrato con un angelo munito di scudo e spada, scrive: “Credo che sia importante difendere la patria perché può essere catturata facilmente dal nemico e noi tenuti in ostaggio e uccisi. Voglio diventare un ricercatore marino, non voglio essere un soldato, mi fa paura. Sogno la fine delle guerre nel mondo”.
“La strategia per l’educazione nazionalpatriottica”
All’interno della struttura educativa dello stato ucraino e delle sue istituzioni correzionali la violazione dei diritti umani dell’infanzia ha una lunga storia. Lo ha ricordato la studiosa Vita Yakovlyeva, in un saggio sulla militarizzazione della cittadinanza in Ucraina in cui ha analizzato la “Strategia per l’educazione nazionalpatriottica”, un programma ratificato con decreto presidenziale nel 2015 e successivamente emendato. Lo scopo, come si legge nel Preambolo, è quello di formare individualità “altamente morali”,
che abbiano a cuore le tradizioni ucraine, i valori spirituali, posseggano una conoscenza appropriata, le abilità, le competenze, la capacità di realizzare il proprio potenziale nelle condizioni della società contemporanea, che professino i valori europei e siano pronte a realizzare appieno il dovere di difesa della patria, l’indipendenza e la sovranità territoriale dell’Ucraina (Yakovlyeva 2021, p. 147).
I giovani, cittadini e cittadine, sono definiti come coloro che stanno cercando di individuare le loro prospettive di vita e “hanno bisogno di una visione del mondo”.
Nel 2017 il governo ha approvato come attuazione della “Strategia” il sostegno finanziario a numerose organizzazioni non governative per l’ideazione e la creazione di festival storico-patriottici e campi sportivi-militari con il coinvolgimento di vari ministeri, la promozione delle forze armate nelle scuole e l’inclusione di temi patriottici nei curricula.
Questo processo di militarizzazione ha investito le relazioni sociali e ha esacerbato la violenza nella vita quotidiana; lo documenta un rapporto dello stesso anno a cura del ministero per le Questioni dei territori temporaneamente occupati: rapido aumento degli atti di violenza individuale, di intolleranza etnica e religiosa, diffusione illegale di armi ed esplosivi nella maggioranza delle regioni ucraine.
Nel 2019 la “Strategia” è stata emendata e resa applicabile a tutta la popolazione, benché prevalentemente rivolta ai giovani in età scolare. Il decreto definiva l’educazione nazionalpatriottica la priorità dell’educazione nazionale e considerava irreversibile l’orientamento europeo ed euro-atlantico dell’Ucraina. La nuova edizione della Strategia ricalcava le caratteristiche dell’educazione patriottica sovietica con l’enfasi sulla prestanza fisica, l’efficienza, l’etnia e lo stretto rapporto tra la mascolinità e il servizio militare. A differenza della versione del 2015, quella del 2019 non menzionava il rispetto dei diritti umani, la tolleranza verso gli altri, l’uguaglianza di fronte alla legge come caratteristiche desiderabili del “nuovo cittadino ucraino”. Al di là dell’immagine che il governo vuole dare della società ucraina, il concetto di cittadinanza proclamato dalla “Strategia” è in netto contrasto con quello espresso dal Consiglio d’Europa nel 2003. Il modello sovietico dell’educazione militare patriottica a cui l’Ucraina ha partecipato per settant’anni, conclude Vita Yakovlyeva, è una eredità persistente “nel governo ucraino, la sua politica, la sua visione del mondo” (p.152).
Con la guerra del febbraio 2022 il processo di militarizzazione si è esteso e radicalizzato; le sue linee sono state tracciate da Lyubov Kanishevska, docente presso la Accademia Nazionale delle scienze dell’educazione. In un recente saggio si è soffermato sul problema dell’educazione degli studenti delle scuole superiori nelle condizioni poste dalla legge marziale, ovvero sui modi di ottenere nelle giovani generazioni la prontezza ad ottemperare al loro dovere civico e costituzionale della difesa e migliorare l’educazione in età scolare con l’obiettivo di formare patrioti e patriote. Sulla base delle recenti leggi sull’educazione patriottica e in particolare di quella del 2022 Sui principi di base della politica statale nell’istituzione di una identità ucraina nazionale e civile che si pone l’obiettivo di elevare la coscienza difensiva, aumentare il rispetto per il servizio militare, rendere obbligatorio nelle scuole secondarie l’insegnamento “Difesa dell’Ucraina”, l’autore ripercorre l’impegno del paese nell’educazione, un impegno che nei principi non diverge da quello della Russia: coinvolgimento dei veterani di guerra nell’educazione patriottica, competizioni sportive-militari, come lancio di granate, arti marziali, sollevamento pesi. Infine, organizzazione delle “lezioni di coraggio”, visite ai musei, uso delle armi e aggiornamento delle pagine eroiche della storia ucraina.
Possiamo immaginare quanto il processo di militarizzazione delle scuole ucraine sia oggi in pieno svolgimento anche dalle parole di Oksen Lisovyi, che qualche mese prima della sua nomina a ministro dell’Educazione e della Scienza, avvenuta il 21 marzo 2023, aveva dichiarato:
“Questa guerra non è la guerra di un giorno. Dobbiamo combattere per lungo tempo […]. Ho aspettato questa guerra tutta la mia vita. Sapevo che sarebbe venuto il suo tempo ed avevo molta paura che al fronte sarebbe andata una minoranza […]. Così, nonostante l’enorme numero di vittime, il dolore di decine di migliaia di famiglie, le distruzioni e le perdite, io sono felice […] è questa la nostra principale vittoria storica”.
Due giorni dopo la sua nomina Lisovyi assicurava: “Il ministero dell’Educazione e della Scienza deve diventare parte della strategia di difesa: nelle scuole, nelle Università noi educhiamo cittadini consapevoli e futuri creatori delle soluzioni tecniche per la nostra vittoria e i leader della pubblica opinione”. Lo ha ricordato Yurii Sheliazhenko, il pacifista ucraino recentemente accusato dal Servizio di sicurezza ucraino di essere filorusso, ora agli arresti domiciliari.
Qualunque sia l’esito della guerra, questi processi nefasti saranno una pesante eredità per le società in conflitto e già favoriscono l’adozione e la diffusione di programmi di militarizzazione dell’infanzia in molti altri paesi, in primo luogo in quelli coinvolti nell’invio di armi. In Germania, ad esempio, dove da anni le reclute stanno diminuendo, l’esercito si sta rivolgendo ai giovanissimi e alle donne. Il presidente della CDU (Unione cristiano-democratica di Germania) ha recentemente affermato in un’intervista che “le forze armate devono riconquistare il loro posto centrale nella società tedesca” e avere libero accesso alle scuole e alle Università. In Italia, dove il ministero della Difesa ha istituito nel marzo 2023, un “Comitato per lo sviluppo e la valorizzazione della cultura della Difesa”, i processi di militarizzazione sono monitorati e denunciati dall’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole che a maggio ha lanciato un appello a studenti e studentesse, insegnanti, educatori, educatrici, intellettuali, cittadini e cittadine, dirigenti scolastici ad opporsi al processo di militarizzazione delle scuole.
Contrastare il militarismo, interrompere il cerchio di morte e distruzione che si autoriproduce richiederà un sempre maggiore impegno per criticare dalle fondamenta l’idea della legittimità dell’uccisione difensiva, sviluppare un approccio olistico all’educazione, interrogarsi sui modi oppressivi ancora diffusi di intendere l’infanzia, ascoltare i bambini, dare loro credito e potere, imparare a cogliere e accogliere i tratti dell’infanzia: curiosità, creatività, immaginazione, desiderio di sperimentare e di apprendere, apertura mentale e, soprattutto, bisogno di amare affinché questi tratti e sentimenti positivi non siano deviati dal discorso militarista, ma possano riversarsi in un mondo devastato che non ha bisogno dell’altruismo del sacrificio di sé, ma dell’altruismo del riconoscimento dell’altro.
Aleksievič, Svetlana, Ragazzi di zinco (1992), Roma 2003.
Bolchakova, Ksenia – Dorman, Veronika. Un peuple qui marche au pas: Les Russes sous Poutine, Lattès, Paris 2023.
Garner, Ian, Z Generation. Into the Heart of Russia’s Fascist Youth,Hurst Publishers, London 2023.
Markowska-Manitsa, Urszula, Childrean and Childhood on the Borderland of Desired Peace and Undesired War: A Case of Ukraine, in Marshall Beier-Jana Tabak (eds.), Childhoods in Peace and Conflict, Cham 2021, pp. 183-202.
Yakovleva, Julia, Orrore, schifo, guerra. L’aggressione all’Ucraina nelle parole dei bambini russi, Il Mulino, Bologna 2023.
Yakovlyeva, Vita, Militarizing Citixenship in Ukraine, in Marshall Beier-Jana Tabak (eds.), Childhoods in Peace and Conflict, Cham 2021, pp. 143-164.
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