Un giornalista britannico, collaboratore del Guardian, di cui il presidente Bolsonaro dice che “doveva stare più attento” perché “infastidiva molte persone in Amazzonia”. E un difensore dei diritti delle popolazioni indigene, brasiliano, Bruno Pereira, che il governo aveva fatto allontanare dalla fondazione pubblica per cui lavorava perché non allineato con le politiche del ministero dell’agricoltura che prevedono deforestazione, saccheggio e sterminio senza limiti delle specie (anche umane) viventi. Sono stati assassinati entrambi nella valle di Yabarí, alla frontiera con Perú e Colombia, la zona in cui il reporter stava raccogliendo informazioni per un libro sulle decine di comunità minacciate dal narcotraffico, dalla pesca illegale, dall’industria del legname, dalla pandemia e dal genocidio che le accompagna da sempre con la complicità delle istituzioni brasiliane. La guerra di Bolsonaro e degli interessi che rappresenta contro la foresta più importante del pianeta continua senza esclusione di colpi e rimuove gli ostacoli con ogni mezzo necessario: dagli incendi alle pallottole, dalla manipolazione dell’informazione a quella degli atti giudiziari. La sensazione di impotenza di fronte all’impunità e a tanto orrore è enorme, basta dare un’occhiata al video qui sotto: l’inchiesta della BBC mostra decine di annunci pubblicitari per la vendita di pezzi di foresta amazzonica o di aree appena disboscate da persone che se ne sono impossessate con la violenza e al di fuori di ogni legge
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È tempo che questo incubo brasiliano finisca. Sono sentimenti simili a quelli che ci hanno sopraffatto a marzo del 2018. Come allora sconforto misto a rabbia, che quasi neppure lascia spazio alla tristezza, perché quella sarebbe troppo umana e il Brasile dal 2018 ha perso la sua umanità. Se non fosse per le persone che in esso resistono e, a volte, muoiono. O meglio, vengono ammazzate.
Così Bruno Pereira è stato eliminato, dopo essere stato ‘allontanato’ dall’organo pubblico in cui lavorava, la FUNAI, Fundação Nacional do Índio, un organo pubblico la cui funzione era quella di promuovere e sostenere politiche pubbliche in difesa della popolazione indigena brasiliana e la preservazione della sua cultura ed ecosistema. Se ne parla al passato perché l’istituzione è diventata strategica per la definizione della politica esploratoria del governo Bolsonaro.
Da candidato alla campagna elettorale, Bolsonaro aveva promesso di «prendere per il collo la Funai» e pare non limitarsi a quello. A luglio del 2019 l’elezione di Marcelo Xavier come presidente dell’organo, con significativa approvazione del Fronte parlamentare per l’agricoltura (APP) e dell’allora ministro dell’ambiente Ricardo Sales, è il colpo finale. Mentre è stato Sérgio Moro a firmare la persecuzione e l’espulsione di Bruno Pereira dal FUNAI nel 2019, semplicemente perché stava facendo il suo lavoro di prevenire la pulizia etnica promossa dal governo brasiliano.
I famigliari delle vittime nei giorni passati ne rendevano omaggio sottolineando il legame dei due attivisti con la foresta a cui i loro spiriti facevano ritorno. I corpi sono stati ritrovati e verranno restituiti alle famiglie, nel frattempo le autorità considerano il caso parzialmente risolto, mancando l’identificazione di altre possibili parti.
Da parte del governo, invece, insinuazioni sulla negligenza dei due attivisti. Bolsonaro dichiara che «Philips infastidiva molte persone in Amazzonia così come in Brasile e doveva stare più attento», mentre Xavier che «le persone scomparse non erano state autorizzate a viaggiare in territori in mano al narcotraffico».
È un sentimento generale di impotenza quello che si sente. I famigliari ormai senza speranze, incapaci di esprimere rivolta; rappresentanti di comunità indigene ringraziando per l’appoggio ricevuto nella ricerca dei due attivisti; un uomo fino a pochi giorni fa sconosciuto, e di cui ci dimenticheremo il nome tra pochi giorni, che si assume la colpa. Come se l’era assunta Adélio Bispo, responsabile di aver accoltellato Bolsonaro durante la campagna del 2018, da allora in prigione sotto osservazione psichiatrica.
Raffinando la tecnica le autorità hanno già fornito il nome di Oliveira per mettere a tacere la campagna che dal giorno della loro scomparsa ha chiesto giustizia per Dom e Bruno. È chiaro a tutti che non sono questi anonimi cittadini ‘do bem brasileiros’ – come il presidente ama definire i suoi sostenitori – i responsabili per questi morti.
Come afferma un attivista brasiliano, che lasceremo anonimo: «Il governo federale di Jair Bolsonaro è infatti responsabile dei vari casi di violenza, stupro, sparizione, rapimento, incendio e omicidio contro le comunità indigene, per aver incoraggiato l’estrazione mineraria e lo sfruttamento economico delle loro terre, per limitare la struttura di protezione socio-ambientale di agenzie come Funai e Ibama che dovrebbero proteggere questi territori. E per aver reindirizzato le prestazioni di questi organi in modo incostituzionale. Allo stesso modo, questo governo è politicamente responsabile della vita e della morte dell’indigenista Bruno Pereira e del giornalista Dom Phillips in territorio brasiliano».
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