Giovedì 13 agosto la Corte Suprema del Cile ha preso una decisione gravissima respingendo il ricorso di un’autorità spirituale dei mapuche che chiedeva l’applicazione dell’articolo (169 dell’OIL) che permette di scontare la pena detentiva nella comunità del condannato di un popolo indigeno con propria lingua, cultura, usi e costumi e sottoposto a discriminazioni. Celestino Córdova sta raggiungendo, per la seconda volta in due anni, i 100 giorni di sciopero della fame (nel 2018 Comune ne aveva parlato qui). Le persone che gli sono più vicine dicono che il suo corpo non può resistere ancora. La sua vita è davvero appesa a un filo. È il caso più importante di un’offensiva violentissima che il governo di destra, che ha appena aperto a esponenti che si richiamano esplicitamente alla “cultura” politica di Pinochet, sta conducendo ogni giorno contro gli indigeni impegnati nel recupero del vasto territorio usurpato loro da tempo immemorabile. La lotta dei mapuche non rivendica una differenza “di razza”, ma il diritto al rispetto della loro cosmovisione, un modo di intendere la relazione con la natura e la vita di tutti gli esseri e le cose. Il dilagare del coronavirus nel paese forse ancora più neoliberista del Sudamerica ha interrotto la rivolta sociale più dirompente dalla fine della dittatura (plebiscito del 1990) nell’autunno scorso e il fragile governo di Sebastián Piñera ne ha approfittato per intensificare l’estrattivismo e la militarizzazione del territorio, misura particolarmente insopportabile per i mapuche, già provati più di altri poveri dalle disuguaglianze nelle conseguenze della pandemia. La proverbiale e secolare capacità di resistenza dei mapuche resta molto forte, ma quel che oggi sembra più a rischio, per loro come per molti altri movimenti in Cile, è la responsabile scelta di una lotta pacifica di fronte alla violenza di una repressione spietata quanto razzista da parte dello Stato e dei gruppi paramilitari di cui sta proteggendo la crescita
Negli ultimi giorni, l’offensiva militarista dello Stato cileno contro il popolo nazione mapuche s’è intensificata con attacchi razzisti e fascisti alle comuneras e ai comuneros che continuano la resistenza pacifica in appoggio agli scioperi della fame, scatenata dalla grave situazione del machi (leader religiosi tradizionali, ndt) Celestino Córdova che si avvicina al raggiungimento dei 100 giorni di digiuno.
I fatti recenti mostrano una svolta profonda che si può riassumere parlando di escalation della guerra contro il popolo mapuche. Nella notte del primo e del due di agosto, gruppi di civili armati hanno attaccato i mapuche che occupavano i municipi di Curacautín, Ercilla, Victoria e Traiguén. Si tratta di “militanti dell’Associazione di Pace e Riconciliazione nell’Araucanía (APRA), un’organizzazione suprematista bianca di ultradestra, composta da latifondisti e padroni di imprese transnazionali, che “hanno usurpato le terre nella Wallmapu (il nome indigeno dell’Araucanìa, ndt)”, come denunciano in un comunicato ben 21 organizzazioni.
Le organizzazioni denunciano, inoltre, che il corpo dei carabineros ha lasciato agire impunemente i civili violenti che hanno colpito i mapuche, hanno bruciato i loro veicoli e hanno intonato grida di odio e razzismo, giungendo perfino a collaborare con gli aggressori razzisti.
Ricordiamo che l’attuale crisi si è scatenata con lo sciopero della fame di Celestino Córdova, che chiede l’applicazione dell’articolo 169 dell’OIL, quello che permette di scontare la pena detentiva decisa dalla giustizia cilena nella comunità del condannato. Allo sciopero della fame del machi Celestino si sono aggiunte più di 20 persone imprigionate nelle carceri di Temuco, Angol e Lebu.
Man mano che la salute degli scioperanti si andava deteriorando in più di tre mesi di digiuno, diversi lof (comunità) hanno cominciato a mobilitarsi, in particolare nel triangolo compreso tra Tirúa-Temuco-Ercilla.
Verso la fine di novembre il governo di Sebastián Piñera ha deciso una svolta a destra, causata dal profondo logoramento seguito alla rivolta cilena iniziata nell’ottobre del 2019, che continua con molteplici forme, dall’insuccesso nel contenimento della pandemia di coronavirus e da una sconfitta parlamentare nel provvedimento che permette di ritirare dai fondi pensione il 10% dei risparmi. Questo è stato possibile per la divisione nella base di appoggio parlamentare del governo.
Questa svolta si è concretizzata nella nomina di un sostenitore di Pinochet a capo del Ministero degli Interni, Víctor Pérez. La sua prima iniziativa pubblica è stato un viaggio a Wallmapu, dove ha tenuto un discorso di ordine e sicurezza senza lasciare il minimo margine al negoziato. Non è affatto un caso che dopo il viaggio del ministro si siano attivati i gruppi razzisti di ultradestra. Il governo di Piñera è molto debole, incalzato dalla protesta di strada e dalla destra, e alla fine ha messo da parte ogni ipotesi di dialogo per ricomporre la propria base di sostegno aprendo il governo ai sostenitori di Pinochet.
Pochi giorni fa, il Centro di Ricerca Giornalistica (CIPER) ha diffuso un rapporto di intelligence dei carabinieri, stilato nel 2015, in cui si individuano proprietari di tenute agricole che stavano formando dei gruppi di autodifesa a carattere paramilitare in zone di alta conflittualità con i mapuche, ma non è stato preso alcun provvedimento per arrestarli e fermarne lo sviluppo.
Malgrado la brutalità della repressione e una escalation del terrorismo di Stato, le principali organizzazioni mapuche hanno riaffermato il proprio cammino storico: “Questi attacchi, invece che intimorirci, ci confermano nella nostra lotta per la riappropriazione dei nostri diritti territoriali e politici, per l’autonomia e l’auto-determinazione per il Paese Mapuche”.
Domenica 9 agosto c’è stata una grande manifestazione di diverse comunità nella piazza di Curacautín, dov’è stato letto un documento che riafferma la solidarietà con i prigionieri in sciopero della fame e denuncia le imprese forestali e multinazionali chiedendo che “i tre milioni di ettari delle imprese forestali siano ripartiti attraverso il recupero del territorio mapuche”.
Alla fine, il documento fa appello all’organizzazione dei mapuche della città e delle campagne affinché recuperino la propria lingua (il mapuzugun i mapudungun), la cosmovisione e le usanze tradizionali, “perché quanto è mapuche non è una razza ma un modo di intendere la vita di tutti gli esseri e le cose”.
I prossimi mesi saranno molto duri per il popolo mapuche mobilitato, per lo meno fino alle elezioni dei membri del Congresso di aprile, passando per il plebiscito del 25 ottobre. La destra si sta unendo intorno alla difesa della Costituzione del 1980, quella dell’epoca di Pinochet. Il popolo nazione mapuche, tuttavia, ben al di là dell’attuale offensiva militarista, continuerà nelle sue lotte e rivendicazioni. Lo sta facendo da quattro secoli.
Traduzione per Comune-info: marco calabria
Qui la versione in lingua originale su Desinformémonos:
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