Dal 5 ottobre il tempo per il rinnovo dei permessi è scaduto per sempre. Stiamo parlando di centinaia di migliaia di giovani arrivati da bambini negli Stati Uniti che negli ultimi anni hanno avuto la possibilità di avere la patente, ottenere un impiego o migliorarlo, continuare gli studi e vivere in pace. Adesso non potranno più farlo. Finisce il sogno dei “dreamers“, i cosiddetti “sognatori”, che dal 2012 usufruivano del Daca, un programma di protezione contro la deportazione che il governo di Trump ha voluto cancellare dando un chiaro segnale ai suprematisti bianchi anti-migranti. L’espulsione di tante persone che non sentono proprio alcun paese se non quello in cui hanno vissuto obbliga alcuni di loro perfino a portare con sé anche i familiari con cittadinanza statunitense. La clamorosa scelta di Trump rientra nella “pulizia etnica” ideata dai suprematisti bianchi, insieme ad altre misure già annunciate, come il divieto di ingresso a rifugiati e migranti musulmani, la proposta di ridurre la migrazione legale, la costruzione del muro e la deportazione in massa. Riscuotere molti consensi per un provvedimento così estremo, capace di toccare un nervo scoperto nella società statunitense e di devastare l’esistenza di tante persone comuni, spesso anche ben integrate nel tessuto sociale, non sarà una passeggiata
di Laura Carlsen
Dopo settimane di indiscrezioni e tweet, il governo di Donald Trump ha annunciato la sua decisione di mettere fine al programma di Barack Obama, conosciuto come DACA (Deferred Action for Childhood Arrivals). Il Procuratore Generale Jeff Sessions, noto razzista e promotore di misure anti-migranti, ha dato la notizia (nei primi giorni di settembre, ndt) con il solito entusiasmo che esprime quando sta distruggendo la vita a migliaia di persone latine o musulmane o nere o indigene.
Con questo provvedimento si mette fine al sogno di circa 800.000 giovani che negli ultimi anni hanno avuto la possibilità di avere la patente, di ottenere un impiego o di migliorarlo, di continuare gli studi e di vivere in pace. Rimuovendo la protezione contro la deportazione, che era stata concessa per ordine esecutivo nel 2012, il governo di Trump ha dato un chiaro segnale: anche senza la presenza fisica di Steve Bannon alla Casa Bianca, i “nazionalisti bianchi” prevalgono al governo del 45° presidente. Bannon è stato lo stratega di riferimento del nuovo governo, fuoriuscito qualche settimana fa durante uno dei costanti rimestamenti delle forze interne al trumpismo.
Anche nel caso del DACA Trump si è trovato con le spalle al muro. Da un lato, si era impegnato durante la campagna elettorale a metter fine al DACA, per consolidare l’appoggio delle forze anti-migranti e il fronte favorevole alle restrizioni del Partito Repubblicano. Dall’altro lato, i suoi consiglieri – sua figlia e il genero Jared Kushner – insieme ad un gruppo consistente di imprenditori si sono opposti a questa misura. Kushner e altri temevano che privare del permesso di soggiorno migliaia di giovani latini avrebbe potuto provocare una possibile protesta. Gli imprenditori difendevano il DACA per paura di perdere personale. L’esecutivo di Apple si era espresso con un tweet: “250 tra i miei colleghi alla Apple sono Dreamers; io sto con loro”. Insieme a Mark Zuckerberg di Facebook e centinaia di direttori, ha firmato una lettera in cui si chiede che il programma non venga interrotto. In generale, secondo gli ultimi sondaggi, il 76% della popolazione statunitense ritiene che i Dreamers dovrebbero poter rimanere legalmente nel paese.
In alcuni momenti Trump sembrava non voler mettere fine al programma. Tuttavia, il fronte anti-migranti gli ha forzato la mano, minacciando di fare ricorso legale contro il DACA in una lettera firmata dai procuratori di dieci stati. Di fronte a due correnti opposte, Trump ha tentato di passare la palla al Congresso. Sessions ha annunciato il ritiro della protezione e allo stesso tempo ha posticipato di sei mesi l’applicazione della misura per dare tempo al Congresso di trovare una soluzione.
C’è una certa confusione rispetto alle implicazioni pratiche del provvedimento. La detenzione dei Dreamers non sarà applicata nell’immediato (anche se alcuni sono già stati arrestati dal governo di Trump anche con il DACA), ma entrerà in vigore a partire da marzo 2018, a meno che il Congresso non lo impedisca. Ad oggi però viene preclusa ogni possibilità di presentare nuove domande di iscrizione e i permessi per lavoro termineranno una volta scaduti senza possibilità di rinnovo. Le persone entreranno in una sorta di limbo, tra incertezza e angoscia. Il fatto che il governo federale abbia a disposizione tutti i loro dati relativi al luogo di lavoro, l’indirizzo ecc. è diventato un fattore di rischio nelle mani di questo presidente. Ciò significa che, per aver osservato la legge, sono diventati preda facile nella caccia al migrante cui ha dato avvio l’attuale governo.
Lasciare al Congresso la decisione su un tema così delicato non può nascondere le responsabilità di Trump che ha deciso di metter fine al programma ed è lui che sta esponendo alla deportazione i cosiddetti “Dreamers” (sognatori). Tutto questo, sapendo che il Congresso controllato dal suo partito non troverà un accordo per estendere il programma, e non troverà nemmeno un’altra maniera di legalizzare lo status migratorio di questi giovani statunitensi.
Qualche mese fa, siamo stati nell’ufficio di un’avvocata esperta di questioni migratorie a Tucson, in Arizona. Qui ho parlato con Mabel – una giovane di 22 anni che è arrivata in Arizona dal Messico, all’età di 9 anni – su che cosa è significato il DACA per lei. “Dopo averci dato il permesso”, dice “ho trovato un lavoro stabile, sono riuscita a comprarmi una macchina nuova e adesso vorrei tornare a scuola, è un po’ caro, ma vedremo come fare…”. Il suo obiettivo è diventare una veterinaria. Quando le ho chiesto che cosa succederebbe se non approvassero la sua domanda di rinnovo del DACA, sua madre è intervenuta nella conversazione: “La prima cosa che succederà sarà che rimarrà senza lavoro”. “E senza lavoro non posso pagarmi la macchina, non posso pagare niente,” continua Mabel.
Perdere il lavoro non sarà un duro colpo solo per lei. L’economia statunitense dipende in larga misura da questi giovani. Secondo le stime, l’economia perderebbe attorno ai 460 miliardi di dollari in dieci anni senza i Dreamers. Sbiancare la società statunitense ha un prezzo molto alto. Il costo umano è incalcolabile.
Con questo trionfo dei suprematisti bianchi con la loro agenda anti-migranti, in migliaia non potranno più vivere in sicurezza e avere opportunità nel loro paese – il paese che è stato la loro casa e la loro comunità e che in molti casi è anche l’unico di cui abbiano memoria. La loro espulsione, che obbligherebbe alcuni a portare con sé anche i familiari con cittadinanza statunitense, fa parte del grande piano per “recuperare” il paese da parte dei “nativi” che di certo non sono gli indigeni, ma i discendenti degli immigrati europei. Rientra nella “pulizia etnica” ideata dai suprematisti bianchi, insieme ad altre misure già annunciate, come il divieto a rifugiati e migranti musulmani di entrare nel paese, la proposta di ridurre la migrazione legale, la costruzione del muro e la deportazione in massa.
Questo annuncio è stato un duro colpo anche per il Messico. Il governo di Peña Nieto dice di essere preparato a riceverli, ma la realtà è un’altra. Una volta arrivate, le persone deportate subiscono sequestri finalizzati alla richiesta di un riscatto, perché sono indifese e non esistono programmi di protezione. Nonostante sappiano due lingue e siano qualificati, l’economia messicana non offre loro lavori dignitosi. La Segreteria degli Affari Esteri afferma che amplierà i servizi consolari, difenderà i diritti e riceverà le persone a braccia aperte.
Tuttavia, fino ad ora i deportati e i rimpatriati dicono di essere abbandonati – e anche qualcosa di peggio – negli uffici governativi del paese. Il governo di Nieto non ha impugnato di fronte a nessuna istanza internazionale per i diritti umani questa decisione, che viola i diritti dei suoi connazionali negli Stati Uniti, in parte perché non vuole disturbare il governo di Trump, nel bel mezzo di una difficile rinegoziazione del trattato di libero commercio. Per salvare gli imprenditori transnazionali, sacrifica i lavoratori internazionali.
Ora in migliaia dovrebbero tornarsene all’ombra di una società meschina che permette questo atroce esilio. O forse no. C’è un raggio di luce in questo scenario oscuro. Il giorno in cui è stata annunciata la decisione sul DACA, ci sono state diverse manifestazioni in tutti gli Stati Uniti. Hanno manifestato i Dreamers, ma anche studenti che condividono l’aula con loro, gli operai che ci lavorano fianco a fianco, madri e padri e figli, con o senza documenti. È stato toccato un nervo scoperto della società statunitense.
La popolazione dei Dreamers è uscita dall’ombra grazie al DACA e ora il resto della società conosce i loro volti – volti che sono entrati a far parte della vita quotidiana delle comunità rurali e urbane, delle università e delle scuole, delle fabbriche e dei ristoranti. Sono amici e amiche, compagni di classe, colleghi e amanti. La comunità latina non resisterà da sola, ma con l’appoggio di migliaia di persone che hanno condiviso la vita con i migranti che ora rischiano di ritornare a vivere nell’oscurità.
.
Lascia un commento