Il tramonto degli anni d’oro per le forze politiche progressiste del Sudamerica avanza ormai con sempre maggiore rapidità. È un’analisi perdente e molto miope, tuttavia, quella che sostiene che se la fine del successo del ciclo progressista viene capitalizzata dalle destre le responsabilità vada attribuita ai movimenti o alle lotte popolari. Il modello imposto dai governi di centrosinistra ha promosso l’inclusione sociale quasi solo attraverso l’incitamento a un consumo di massa consentito soprattutto dall’esportazione delle materie prime. Il crollo dei loro prezzi e la strenua resistenza popolare e indigena all’industria mineraria e al modello estrattivo hanno segnato un drastico cambiamento dello scenario. Pasolini lo segnalava già quarant’anni fa: il consumismo spoliticizza, potenzia l’individualismo e genera conformismo. È il brodo di coltura delle destre. Le strategie progressiste raccolgono oggi quel che hanno seminato
di Raúl Zibechi
Ognuno sceglie il luogo dal quale guardare il mondo, ma questa scelta ha delle conseguenze e determina ciò che si può vedere e ciò che irrimediabilmente sfugge. Il punto di osservazione non è mai un luogo neutrale, così come non lo può essere colui che osserva. Di più, l’osservatore è modellato dal luogo che sceglie per realizzare il suo compito, al punto che cessa di essere mero spettatore per diventare partecipe – per quanto si dica obiettivo – della scena che crede solamente di osservare.
Di fronte a noi, si dispiegano gli sguardi più diversi: da quelli localizzati negli stati (partiti, forze armate, accademie), a quelli che provengono dai paesi potenti e dal capitale finanziario, fino agli sguardi radicati nelle comunità indigene e nere e nei movimenti antisitemici. Una vasta gamma che, con una certa arbitrarietà, possiamo sintetizzare come sguardi de arriba (di sopra, ndt) e sguardi de abajo (di sotto, ndt).
Le opinioni espresse negli ultimi mesi sulla situazione che i governi progressisti sudamericani stanno attraversando, dicono molto di più sull’osservatore che sulla realtà politica che pretendono di analizzare. Dai movimenti e dalle organizzazioni popolari che resistono al modello estrattivista, le cose si vedono in modo ben diverso che dalle istituzioni statali. Niente di nuovo, sebbene questo sia solito allarmare coloro che credono di vedere la mano della destra nelle critiche al progressismo e nei movimenti di resistenza.
Per chi scrive, l’aspetto centrale da prendere in considerazione nel momento in cui si analizzano i governi progressisti è l’attività o l’inattività, l’organizzazione per la lotta, la dispersione o la cooptazione dei movimenti. Solamente in secondo luogo appaiono altre considerazioni come i cicli economici, le dispute tra i partiti, i risultati elettorali, l’assetto del capitale finanziario e dell’impero, tra le molte altre variabili.
Da più di due anni si parla “della fine del consenso lulista” a causa delle massicce mobilitazioni di milioni di giovani brasiliani nel giugno 2013. Diversi analisti brasiliani hanno spiegato le mobilitazioni di quell’anno in modo similare, sottolineando che si è trattato di uno spartiacque nel paese più importante della regione.
Un anno fa ho sostenuto che “il ciclo progressista in Sudamerica è finito“, in relazione al rapporto di forze scaturito dalle elezioni brasiliane, conseguenza diretta delle proteste del giugno 2013. Il Parlamento emerso dopo il primo turno era considerevolmente più a destra del precedente: i difensori dell’agrobusiness hanno ottenuto una maggioranza schiacciante; la “lobby della pallottola”, composta da poliziotti e militari che propongono di armarsi contro la delinquenza, e il gruppo antiabortista, hanno scalato posizioni come mai prima. Il PT è passato da 88 a 70 deputati.
Molti hanno sottostimato l’importanza del giugno 2013 e del nuovo rapporto di forze nel paese, confidando nel carisma di dirigenti come Lula, nella loro capacità quasi magica di contrastare uno scenario che gli si era rivoltato contro. I risultati sono evidenti.
La fine del ciclo progressista, possiamo vederla con maggiore chiarezza alla luce dei nuovi dati che emergono dai fatti recenti.
Primo. Ci troviamo di fronte ad una nuova fase dei movimenti che si stanno espandendo, consolidando, stanno modificando le proprie realtà. Non ci troviano ancora di fronte ad un nuovo ciclo di lotte (come quelle che si sono vissute in Bolivia dal 2000 al 2005 e in Argentina dal 1997 al 2002), tuttavia si registrano grandi azioni da parte de los de abajo che possono essere l’annuncio di un ciclo [di lotte]. La mobilitazione di più di 60 mila donne a Mar del Plata e l’enorme manifestazione “Ni una menos” [Neanche una in meno] (300 mila solo a Buenos Aires, contro la violenza maschilista), parlano sia di espansione che di riconfigurazione.
La resistenza contro l’attività mineraria sta paralizzando o rallentando i progetti delle multinazionali, soprattutto nella regione andina. Il Perù, che concentra un’elevata percentuale di conflitti ambientali, ha registrato diversi sollevamenti popolari e comunitari contro le miniere. In America Latina, per la prima volta dopo anni, l’investimento nel settore minerario sta retrocedendo. Secondo la Cepal*, nel 2014 è diminuito del 16 per cento e nel primo semestre del 2015 è diminuito di un ulteriore 21 per cento. I motivi addotti sono la caduta dei prezzi a livello internazionale e l’ostinata resistenza popolare.
Secondo. La caduta dei prezzi delle materie prime è un duro colpo per la governabilità progressista che si era basata sulle politiche sociali rese in gran misura possibili dai guadagni consentiti dagli alti prezzi delle esportazioni. In questo modo è stato possibile migliorare la situazione dei poveri, senza toccare la ricchezza. Adesso che il ciclo economico è cambiato, le politiche sociali possono essere sostenute solamente combattendo i privilegi: un qualcosa che passa attraverso la mobilitazione popolare. Tuttavia la mobilitazione è uno dei più grandi timori del progressismo.
Terzo. Se la fine del ciclo progressista è capitalizzata dalle destre, non è responsabilità dei movimenti né delle lotte popolari, bensì di un modello che ha promosso “l’inclusione” attraverso il consumo. Un eccellente lavoro dell’economista brasiliana Lena Lavinas sulla finanziarizzazione della politica sociale assicura che “la novità del modello social-sviluppista è quella di aver istituito la logica della finanziarizzazione in tutto il sistema di protezione sociale“.
Attraverso l’inclusione finanziaria, i governi di Lula e di Dilma hanno potuto potenziare il consumo di massa, “superare la barriera dell’eterogeneità sociale che in America Latina frenava l’espansione della società di mercato”. Per i settori popolari, presunti beneficiari delle politiche sociali, si tratta di un regresso: “invece di promuovere la protezione contro i rischi e le incertezze, aumenta la vulnerabilità”.
Quasi mezzo secolo fa, Pasolini diceva che il consumismo spoliticizza, potenzia l’individualismo e genera conformismo. È il brodo di coltura delle destre. Stanno raccogliendo quello che hanno seminato.
* Cepal: Commissione economica per l’America Latina e i Caraibi
Questo articolo è uscito in lingua castigliana la Jornada che lo ha intitolato: Se acelera el fin del ciclo progresista
Traduzione per Comune-info di Daniela Cavallo
Raúl Zibechi, scrittore e giornalista uruguayano dalla parte delle società in movimento è redattore del settimanale Brecha. I suoi articoli vengono pubblicati con puntualità in molti paesi del mondo, a cominciare dal Messico, dove Zibechi scrive regolarmente per la Jornada. In Italia ha collaborato per oltre dieci anni con Carta e ha pubblicato diversi libri: Il paradosso zapatista. La guerriglia antimilitarista nel Chiapas, Eleuthera; Genealogia della rivolta. Argentina. La società in movimento, Luca Sossella Editore; Disperdere il potere. Le comunità aymara oltre lo Stato boliviano, Carta. Territori in resistenza. Periferia urbana in America latina, Nova Delphi. L’edizione italiana del suo ultimo libro, “Alba di mondi altri” è stata stampata in Italia in luglio dalle edizioni Museodei. Molti altri articoli inviati da Zibechi a Comune-info sono qui.
L’adesione di Raul Zibechi alla campagna di Comune
I NUOVI MOVIMENTI DAL BASSO IN AMERICA LATINA
è l’ultimo libro di Raúl Zibechi in uscita nei prossimi giorni in Italia ediz. museodei Hermatena pagg 200 – E 15
Per informazioni sull’acquisto del libro, i lettori romani possono scrivere a , i non romani ad
Saranno gli esclusi a costruire la nuova storia? A modo suo, Raúl Zibechi propone per molti versi questa domanda. È il mondo dei dannati della terra, quelli che vivono nella zona del non-essere e subiscono ogni giorno violenze inaudite. Sono loro, persone che possono perdere solo umiliazioni e catene, a essere davvero interessate a creare un mondo altro. Possono riuscirvi? Questo libro è parte della tenace ed emozionante ricerca per rispondere a questa cruciale domanda. Marco Calabria nella nota introduttiva scrive: «Dalla metà degli anni Ottanta del secolo scorso (Raúl) consuma le scarpe percorrendo in lungo e in largo l’America. Attraverso autopistas e impervi caminosinsegue le tracce della resistenza al dominio del capitale e delle merci sulle persone. Le ha trovate ovunque: nelle periferie di Asunción e lungo le steppe della Patagonia, sugli altopiani andini e tra le nebbie delle selve tropicali. A volte è tornato per mettere in discussione quel che gli era sembrato di capire». Lo sguardo di Zibechi penetra a fondo dentro un mondo invisibile, occultato com’è agli occhi di quelli che stanno in alto.
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