Con questo splendido articolo Rosaria Gasparro, maestra, ha aderito alla campagna 2016 Facciamo Comune insieme
di Rosaria Gasparro
Bisogna che genitori ed educatori tornino a raccontare ai bambini
le storie che durante l’infanzia alimentarono la loro stessa vita fantastica,
contribuirono a plasmare le loro coscienze
e affinarono la loro sensibilità estetica e morale
(B. Bettelheim, Il mondo Incantato)
Conosco un rituale umile e potente, a portata di voce e di sguardo. Una pratica di tenerezza e di formazione, relegata in un cantuccio. Conosco l’incanto della fiaba, che entra a passo di fata e fuoco di drago nel mondo interiore del bambino per insegnargli che i mostri esistono e si possono sconfiggere. E conosco bambini a cui nessuno più ne racconta. Bambini che vengono deprivati di un mondo simbolico di antica saggezza e rispetto, perché le fiabe nutrono l’immaginario, “nutrono in modo immediato come il latte, leggere e gradevoli, o come il miele, dolci e nutrienti, senza pesantezza terrestre” scrissero i fratelli Grimm.
Abbiamo bisogno urgente di una nuova immaginazione, terrena e celeste, come spazio del desiderio e della conoscenza, come esperienza di trasformazione e di direzione del senso della vita. Per questo, dopo gli attacchi del terrore e la confusione tra chi sono i buoni e chi i cattivi, con le nuove paure che si accompagnano a quelle antiche, scelgo la fiaba come percorso di formazione, scelgo l’uso didattico dell’incanto. Legati dal canto delle parole entriamo in uno spazio sacro per una fede senza età e senza dogmi.
Una fiaba al giorno per imparare a rigenerarci, per rinnovare la fiducia nella vita. Una fiaba al giorno come dono d’amore per rendere più abitabile questo mondo. E anche i più terribili, quelli che non stanno mai fermi mai zitti si placano con la formula antica del “C’era una volta”. Nessuno fiata, s’incomincia a “fatare”. Si predispongono fiduciosi alla sospensione del tempo, a ciò che verrà, alla carezza della voce, che fa l’orco e la bambina, che cambia colore, tonalità, ritmo, che si fa atmosfera, corpo narrante che scala le montagne cavalcando una sedia.
Una tensione piena di grazia, di stupore attivo tra il loro silenzio e le mie parole. E mentre racconto si dilata la vita, quella dei bambini che ascoltano con gli occhi sognanti e la mia che coltiva la meraviglia e la speranza. L’incontro del loro piacere con il mio nello spazio di una storia che continua anche dopo e crea legami e affetti e mette insieme in un unico respiro il mondo dei grandi e quello dei piccoli.
I bambini si fidano di chi racconta. È un prendersi per mano per entrare nel territorio di Psiche, l’altro nome dell’anima, dove il bene e il male si riconoscono, dove ci si educa ad affrontare i rischi e i pericoli, a superare prove difficili e ardue, a scoprire il coraggio, a scegliere la virtù, a dare compimento al proprio essere umano, e conquistare il regno della propria vita in un finale che, se non conosce il per sempre, rimane aperto all’amore per l’altro.
«Ascoltare una fiaba […] può essere paragonato a uno spargimento di semi» scriveva B. Bettelheim. Le fiabe camminano, hanno le gambe lunghe, passano di bocca in bocca, passano confini. Parlano di noi. Insegnano a vivere.
Racconto fiabe per ribellarmi – nel modo che mi è proprio – al racconto del mondo eccessivo e spietato, di orrori e abbandoni, di rifiuti e mancanze, di perdite e partenze, di draghi e giganti cattivi, di falsi eroi da smascherare, di bambini soli nelle periferie della terra, in fuga da carestie e guerre, poveri, senza briciole per il ritorno, senza rotte sicure, divorati dagli orchi del mare.
La fiaba come radicalizzazione del bene, per non avere paura, e con fiducia mettersi in viaggio nel mondo, mutare o inventare il proprio destino, perché desiderare può essere ancora efficace e il protagonista più umile diventa principe quando mostra la nobiltà del proprio animo.
Racconto fiabe perché credo nel prodigio delle formule comuni degli eroi senza nome, “ed è che io credo questo: le fiabe sono vere” scriveva Italo Calvino, «sono il catalogo dei destini che possono darsi a un uomo e a una donna […] E in questo sommario disegno, tutto; la drastica divisione dei viventi in re e poveri, ma la loro parità sostanziale; la persecuzione dell’innocente e il suo riscatto come termini d’una dialettica interna ad ogni vita; l’amore incontrato prima ancora di conoscerlo e poi subito sofferto come bene perduto; la comune sorte di soggiacere a incantesimi, cioè d’essere determinato da forze complesse e sconosciute, e lo sforzo per liberarsi e autodeterminarsi inteso come un dovere elementare, insieme a quello di liberare gli altri, anzi il non potere liberarsi da soli, il liberarsi liberando; la fedeltà a un impegno e la purezza di cuore come virtù basilari che portano alla salvezza e al trionfo; la bellezza come segno di grazia, ma che può essere nascosta sotto spoglie d’umile bruttezza come un corpo di rana; e soprattutto la sostanza unitaria del tutto, uomini bestie piante cose, l’infinita possibilità di metamorfosi di ciò che esiste».
Racconto fiabe perché rassicurano e confortano, perché il protagonista per quanto alto come un mignolo e indifeso, sciocco e sprovveduto, alla fine vince sempre. E sono i bambini che, attraverso i protagonisti delle fiabe, vincono contro tutte le figure del male più potenti di loro. Per questo le fiabe rappresentano, per i bambini che le ascoltano e per l’adulto che le racconta, un percorso esistenziale insostituibile di speranza.
Racconto fiabe perché l’odio e il dolore si possono guarire. E se la Fiaba diventa Comune, io ci sono. (r.g.)
Raccontami una storia; vedi come sono stanco
per quello cui assisto controvoglia
Una storia dove c’è gente buona
Raccontami una storia dal lieto fine
per farmi riposare, per farmi guarire.
(Lounis Ait Menguellat)
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