Non una proposta di sviluppo alternativo ma un’alternativa di sviluppo, scrive Alberto Acosta. Fu lui, sette anni fa, a presentare al neo presidente dell’Ecuador, Rafael Correa, la bizzarra idea elaborata insieme da molte persone. Si trattava di rinunciare a estrarre altro petrolio da un pezzetto della martoriata foresta amazzonica per proteggere il clima, i pochi superstiti di una popolazione indigena decimata e un enorme patrimonio di bioversità. Correa accettò e disse al mondo che un paese drogato dal petrolio può disintossicarsi e ricominciare, se la comunità internazionale lo sostiene con un serio indennizzo. Non è avvenuto e il governo ha accettato il fallimento dell’Iniziativa Yasunì, un’esperienza che aveva suscitato stupore e speranze ovunque, dal Delta del Niger alla Norvegia. Ora un gruppo di ragazzi, brutalmente repressi dalle autorità dello Stato, sta raccogliendo le firme per una consultazione popolare che faccia decidere la gente
di Alberto Acosta
-Ci sarebbe modo, replicò Donchisciotte, di evitare questo scempio? Se vi incita il valore di questi cipressi, io ve li pago, e che essi restino in piedi.
-Quello lì si venderebbe la terra, e non è quello che intendo fare, disse il padrone, prima la smonto, non tanto per approfittare di quegli alberi che non valgono un granché, quanto per mettere in lavorazione il suolo stesso.
-Tagliati non valgono nulla, rispose il cavaliere, vivi e belli come sono, valgono molto più delle piramidi d’Egitto. E così vi prego e raccomando di valutare conveniente cambiare d’avviso e offrire un tributo alla madre natura, alla quale piace l’ombra dei suoi figli.
Don Quijote de la Mancha, Juan Montalvo [ii]; Capítulos que se le olvidaron a Cervantes, 1895
L’Ecuador sorprese il mondo già più di sette anni fa, quando propose di lasciare nel sottosuolo del Yasuní, in piena Amazzonia, un significativo volume di petrolio. Questa proposta, conosciuta come Iniziativa Yasuní-ITT, che maturò nella società civile, non riuscì a consolidarsi a livello istituzionale a causa delle incongruenze e delle contraddizioni del Governo di Rafael Correa. Certo pesò anche l’insensibilità dei governi dei paesi più potenti, che non si assunsero le proprie responsabilità. [iii]
Non è vero che “l’iniziativa anticipò i tempi, e non fu compresa”, come disse il presidente ecuadoriano, il 15 agosto 2013, nell’annunciarne la conclusione; in realtà chi non comprese e non fu all’altezza della sfida posta dalla società ecuadoriana al mondo fu proprio il presidente Correa.
Una proposta forgiata dalla resistenza
Rompere tradizioni e miti sarà sempre un compito complesso. Il richiamo al realismo frena i cambiamenti. Perciò l’idea di non sfruttare il petrolio nei campi Ishpingo, Tambococha e Tiputini (ITT), in cambio di un contributo finanziario internazionale, provocò comunque stupore e molte resistenze in alcuni settori del potere. Per le classi dominanti, in un paese drogato di petrolio, proporre di non estrarre greggio appariva come una follia totale. All’estero, nei potenti circoli dei petrolieri, l’idea fu guardata con scetticismo e, in seguito, combattuta. Ciò che è sorprendente è che questa idea folle continuò a guadagnare adesioni e forza nella società civile dentro e fuori dell’Ecuador.
C’è da sapere che questa iniziativa fu costruita poco a poco nella società civile, molto tempo prima che essa fosse accettata dal presidente Correa. Questa idea, presentata al Governo prima del suo insediamento, a fine dicembre 2006, da colui che sarebbe divenuto ministro dell’Energia e delle Miniere [iv], non ha alcun padrone. Si tratta di una proposta di costruzione collettiva. Sicuramente, l’idea originaria di sospendere l’attività petrolifera sorse nella testa di coloro che soffrivano gli impatti delle imprese petrolifere in Amazzonia.
La resistenza delle comunità amazzoniche prosperò fino a costituirsi in un’istanza giuridica di respiro internazionale. È conosciuto come il “processo del secolo” quello proposto dalle comunità indigene e dagli abitanti non nativi colpiti dalle conseguenze delle attività petrolifere della compagnia Chevron-Texaco. Questo processo, che iniziò più di vent’anni fa, indipendentemente dal suo svolgimento, pose un precedente nel mettere in stato d’accusa una delle compagnie petrolifere più potenti del pianeta. [v]
Da questa realtà, nel corso del tempo, e alimentandosi di un duro e lungo processo di resistenze contro le attività petrolifere, si venne costruendo la tesi di una moratoria petrolifera nel centro-sud dell’Amazzonia ecuadoriana. Questa tesi, formulata in diversi spazi e forum, fu compiutamente plasmata nel 2000 nel libro scritto da diversi autori, L’Ecuador post-petrolifero. Tre anni dopo, la tesi della moratoria fu presentata formalmente al Ministero dell’Ambiente da parte di varie organizzazioni ecologiste. Poco prima, nel 2001, i gruppi che mettevano in discussione il debito estero prospettarono la possibilità di un accordo storico con i creditori internazionali per sospendere il servizio sul debito in cambio della tutela dell’Amazzonia, proposta in linea con la rivendicazione del debito ecologico, nel quale i paesi ricchi figurano come debitori.
Altrove in Amazzonia, la resistenza della comunità kichwa di Sarayaku, nella provincia di Pastaza, riuscì ad impedire l’attività petrolifera della Compañía General de Combustibles (CGC) nel blocco 23 http://www.cdca.it/spip.php?article544. Fu questo un grande trionfo di una piccola comunità organizzata, considerando che l’impresa contava sull’appoggio armato dello Stato. Tale comunità, sostenuta da un’attiva solidarietà internazionale, ottenne uno storico pronunciamento della Commissione Interamericana dei Diritti Umani nel giugno del 2004. Nella prima metà del 2007 il Governo ecuadoriano accolse finalmente tale risoluzione. Tuttavia, poco tempo dopo tornarono ad emergere minacce sulla comunità Sarayaku. Nella ri-negoziazione del contratto per il Blocco 10 tra il Governo del presidente Correa e l’impresa Agip, svoltasi nel novembre 2010, le autorità concessero a tale compagnia petrolifera – di nuovo senza consultazione della comunità – una porzione del Blocco 23 che fa parte del territorio di vari popoli indigeni amazzonici. [vi]
Raccogliendo tutte queste proteste, nel giugno 2005, fu presentata la proposta di non sfruttare il greggio del Yasuní come parte della tesi di un’ampia moratoria petrolifera in “Un appello ecologico per la conservazione, il clima e i diritti”, documento di posizione di Oilwatch nella prima riunione del gruppo speciale di esperti sulle aree protette realizzata a Montecatini, in Italia. In seguito, questa tesi fu inclusa nel libro Assalto al paradiso: compagnie petrolifere in aree protette, pubblicato da Oilwatch nel 2006.
Tutte queste proposte e iniziative preparano il campo affinché la tesi della moratoria petrolifera nel centro-sud dell’Amazzonia ecuadoriana entrasse con forza nella vita politica nazionale. Così, in un momento storico nel quale si consolidarono le lunghe e complesse lotte espresse da diversi settori della società, la tesi della moratoria passò a far parte del Piano di Governo 2007-2011 del Movimiento País (oggi Alianza País), elaborato nel 2006. [vii]
In sintesi, è importante ribadire che i dettagli più rilevanti dell’iniziativa di lasciare il greggio nel sottosuolo furono definiti molto prima dell’inizio della presidenza Correa.
Gli ambiziosi obiettivi dell’Iniziativa Yasuní-ITT
La proposto Yasuní, indipendentemente dalla forza dei differenti argomenti con i quali è stata sostenuta in oltre sei anni, è una proposta che ha un obiettivo centrale: non estrarre il greggio nel sottosuolo di tre giacimenti ITT o nel blocco 43, all’interno del Parco Nazionale Yasuní, nella sua estremità orientale. Questi giacimenti sono l’Ishpingo, situato nel sud del blocco (una parte rilevante si trova dentro la Zona Intangibile), il Tambococha, nella parte centrale, e il Tiputini, nell’estremo nord del blocco, con una parte di tale giacimento che si estende fuori del Parco. L’ITT è una sorta di corridoio tra il Yasuní e la zona intangibile di Cuyabeno-Imuya. [viii]
Da un grande territorio continuo, questa regione dell’Amazzonia passò a configurarsi in un mosaico di pezzi sui quali diversi attori hanno avuto e hanno controllo. Quello che fu il territorio dei popoli indigeni, ha dovuto affrontare il controllo da parte delle missioni religiose, le compagnie petrolifere e anche lo Stato, anche se in termini relativamente marginali. Per la sua configurazione attuale del territorio giocarono un ruolo determinante le chiese, tanto quella evangelica quanto quella cattolica, i militari e le compagnie petroliere.
Occorre tenere in conto che l’Amazzonia ecuadoriana è stata esplorata per decenni. Come conseguenza di questa attività i popoli indigeni in isolamento volontario si sono allontanati dalle zone di sfruttamento, e attualmente si trovano nelle ultime zone di foresta, e nel resto della zona è aumentata e si è concentrata la popolazione indigena. Questo provoca una crescente opposizione da parte di questi gruppi umani a tali attività.
L’Iniziativa Yasuní-ITT si basò su quattro pilastri:
• proteggere il territorio e con esso la vita dei popoli indigeni in isolamento volontario;
• conservare una biodiversità ineguagliabile in tutto il pianeta – la più grande registrata dagli scienziati finora –;
• prendersi cura del clima globale mantenendo racchiusa nel sottosuolo una significativa quantità di petrolio, evitando l’emissione di 410 milioni di tonnellate di CO2,
• fare un primo passo in Ecuador verso una transizione post-petrolifera, che si convertirebbe in un esempio in altre latitudini.
Però c’è di più, come un quinto pilastro potremmo assumere la possibilità di trovare collettivamente – come Umanità – risposte concrete ai gravi problemi mondiali derivanti dai cambiamenti climatici provocati dall’Umanità stessa, particolarmente esacerbati in quest’ultima fase di espansione globale del capitale.
Come contropartita, l’Ecuador si aspettava il contributo finanziario della comunità internazionale, che doveva assumersi la propria responsabilità condivisa e differenziata in funzione dei livelli di devastazione ambientale provocata dalle diverse società nel pianeta, particolarmente da quelle più opulente. Non si trattava di una volgare compensazione per continuare a imporre lo “sviluppismo” (come la intese il presidente Correa).
Tale iniziativa si inquadra nella costruzione del Buen Vivir o sumak kawsay, che non è una semplice proposta di sviluppo alternativo, ma piuttosto un’alternativa allo sviluppo.
Un tira e molla pieno di contraddizioni
Il cammino in Ecuador risultò estremamente tortuoso. All’inizio la proposta di lasciare il greggio nel sottosuolo, promossa a livello governativo dal ministro dell’Energia e Miniere, si scontrò con la decisione del presidente esecutivo di Petroecuador, impegnato a estrarre il petrolio il più rapidamente possibile. Tale scontro si risolse con l’intervento del presidente Correa nel direttivo di Petroecuador del 31 marzo 2007. In quell’occasione, si propose concretamente come opzione A: lasciare il greggio nel sottosuolo, e l’opzione B: estrarre il greggio. Da allora restò latente, con diversi gradi di intensità, la battaglia tra queste due opzioni che riflettono con chiarezza due visioni diverse su come affrontare il tema del petrolio e il concetto stesso di sviluppo. [ix]
Da allora, lo stesso presidente non si stancò di minacciare l’imminente sfruttamento del campo ITT nel Yasuní; in realtà, più che una minaccia era una certezza dimostrata, ad esempio, dall’avanzamento delle attività estrattive nel blocco 31, adiacente all’ITT, conosciuto anche come blocco 43. Tale logica di ricatto permanente creava confusione, timore e sfiducia.
Per di più si aggiunse un’altra difficoltà: l’approvazione dei Diritti della Natura nella Costituzione di Montecristi, nel 2008, non cambiò l’essenza dell’Iniziativa. Si continuò sullo stesso sentiero crematistico, mentre il mandato costituzionale è chiaro nel suo articolo 71: “La Natura o Pacha Mama, dove si riproduce e realizza la vita, gode del diritto al rispetto integrale della propria esistenza e al mantenimento e alla rigenerazione dei suoi cicli vitali, struttura, funzioni e processi evolutivi”. E nel suo articolo 73 integra il precedente disposto costituzionale: “Lo Stato adotterà misure di precauzione e restrizione delle attività che possano condurre all’estinzione delle specie, alla distruzione degli ecosistemi o all’alterazione permanente dei cicli naturali”. Inoltre, dimenticando completamente la proibizione espressa nell’articolo 57 della Costituzione che impedisce lo sfruttamento dei territori ove si trovino popoli liberi in isolamento volontario.
Occorre tener presente che non esiste alcuna tecnologia che elimini i rischi per le comunità in isolamento e che possa assicurare che non si producano sversamenti o altri incidenti tipici dell’attività petrolifera, che non abbiano un impatto su quella regione così ricca e fragile in termini ecologici. [x]
Nonostante questo, il Governo di Correa proseguì alacremente nella ricerca del denaro, oltre a raccogliere applausi a livello internazionale. Così, dopo tutto il Governo si impantanò in calcoli astrusi. L’ultima commissione negoziatrice già non ebbe lo stesso peso e profilo delle precedenti. La persona incaricata di dirigere i negoziati internazionali, senza una chiara direzione, finì agendo come promotrice di una sorta di Telethon, senza precisione politica né strategica. [xi]
Limiti e possibilità della compensazione economica
Una parte sostanziale del dibattito si concentrò verso la necessità di generare una “compensazione” economica in cambio della moratoria di estrazione di petrolio. Il convertire tale priorità nella condizione indispensabile per portare avanti l’iniziativa, sebbene avesse veri aspetti positivi, ne aveva anche alcuni negativi. Tra quelli positivi è necessario riconoscere che essa poteva assicurare risorse per le casse dello Stato, che sarebbero molto utili per mantenere politiche sociali e servirebbero per smontare l’opposizione di coloro che pensavano che la misura fosse una rinuncia alla redditività insita nello sfruttamento del petrolio. Però esistevano aspetti negativi, in quanto tale “compensazione” portava l’iniziativa solo all’ambito crematistico, emarginando gli altri obiettivi che sono di natura politica e soprattutto di diritto, come la protezione della vita dei popoli “nascosti” (nella foresta mazzonica, ndt) o in isolamento volontario, o della stessa biodiversità, così come lo stabilisce la Costituzione ecuadoriana del 2008.
Il 15 agosto 2013, quando il presidente Correa seppellì definitivamente l’Iniziativa Yasuní-ITT si produsse un cambiamento di direzione di 180°. Molti degli argomenti portati a sostegno di questa iniziativa dentro e fuori del paese furono dimenticati o semplicemente negati. I popoli “nascosti” scomparvero dalla zona. La protezione di una biodiversità estremamente fragile dall’oggi al domani passò per essere una cosa semplice da garantire. L’emissione di CO2 smise di essere un motivo di preoccupazione. I potenziali introiti che avrebbe potuto generare il petrolio aumentarono di più del doppio, passando da 7 miliardi a 18,2 miliardi di dollari (in valore attuale). E contemporaneamente si offrì alla società la promettente notizia che, ora sì, con il greggio dell’ITT, l’Ecuador ampliava significativamente il suo orizzonte petrolifero e finalmente poteva sradicare la povertà…
La fragilità dei calcoli ufficiali
Assumendo come valide le cifre governative, di 18,2 miliardi di dollari in valore attuale, calcolati a partire da 40 miliardi in termini nominali, tale ammontare di potenziali introiti deve essere rateizzato nel tempo. Per l’estrazione del greggio dell’ITT ci vorranno tra i 22 e i 25 anni. Ciò significa che lo Stato potrebbe ricavare una media annuale inferiore ai 2 miliardi di dollari in valore nominale. E che per i governi territoriali autonomi resterà un 10%, come stabilisce la legge della Cootad (Codice organico di organizzazione territoriale autonomia e decentramento), cioè meno di 200 milioni all’anno. Questa cifra, quest’anno è inferiore a quanto il governo spende in propaganda e pubblicità.
Credere che ora sì, con questi introiti, si possa sradicare la povertà è una illusione. Sono 41 anni che esportiamo petrolio e l’Ecuador non si è sviluppato né ha sradicato la povertà. Inoltre l’attuale Governo, con più di sette anni al potere, è quello che ha avuto più entrate economiche di tutta la storia della Repubblica: più di 152 miliardi di dollari in termini nominali. Nonostante ciò non è riuscito a sradicare la povertà, si riconosce che essa si è ridotta a livello nazionale dal 37% al 27%; anche se nelle provincie con la maggiore presenza di popolazioni indigene, tra cui quelle amazzoniche, le cifre non sono cambiate. Deve essere chiaro: l’eliminazione della povertà non si ottiene solamente con investimenti sociali e opere pubbliche, ma con una sostanziale redistribuzione della ricchezza (qualcosa che non avviene in Ecuador, dove si registra una migliore distribuzione degli introiti fiscali in termini di equità, mentre in parallelo si estremizza la concentrazione della ricchezza).
Se si volesse affrontare la redistribuzione della ricchezza, la disponibilità di risorse destinate a sradicare la povertà ci sarebbe. Ad esempio, se i settori più ricchi pagassero un 1,5% in più di tasse sui loro enormi guadagni si ricaverebbero immediatamente – senza impatti socio-ambientali – più di due milioni l’anno, cioè più denaro di quello che potrebbe generare tutto il petrolio dell’ITT. Risolvere il problema dei sussidi ai combustibili, che beneficiano i più ricchi e non i poveri, e che rappresentano circa 4500 milioni all’anno, sarebbe un’ulteriore fonte di finanziamento. Una rinegoziazione dei contratti con le imprese telefoniche potrebbe contribuire in modo importante: si consideri che queste imprese hanno utili annuali pari al 38,5% (trentotto virgola cinque per cento) sul patrimonio netto! E così via.
Con lo sfruttamento dell’ITT, invece, l’estrazione del greggio inizierebbe dal 2016, raggiungendo i 600 mila barili l’anno seguente, sempre secondo le informazioni ufficiali. Ciò presuppone che l’estrazione di greggio dai giacimenti dell’ITT inizi entro due anni; un presupposto poco realistico. E ovviamente non bisogna dimenticare che questo greggio è pesante, meno di 15° API (il grado API misura la densità, ndt), con una grossa quantità di zolfo, e la cui costosa estrazione implica anche l’estrazione di una grande quantità di acqua di formazione, estremamente inquinante; si stima che per ogni barile di petrolio occorra estrarne 10 di acqua.
Infine, il valore di questa proposta sta nel fatto che la società ecuadoriana aveva deciso di aprire il cammino verso il post-estrattivismo, non guardando alle proprie risorse naturali come all’unica via di procurarsi delle entrate economiche. Però giustamente sono i petrodollari quelli che il potere usa, attraverso i governi che si definiscono progressisti, per tornare a rafforzare la dipendenza petrolifera. Questi governi di indole populista poltriscono sull’alto prezzo delle materie prime, soprattutto petrolio e minerali.
In fin dei conti, la questione non è solamente contabile, ma di etica politica. Ciò che sta in gioco sono i Diritti Umani e i Diritti della Natura, non semplicemente più risorse economiche.
Di fronte al fallimento governativo, al popolo la parola
Al di là del fallimento a livello governativo dell’Iniziativa Yasuní-ITT, provocato dalle incoerenze del Governo ecuadoriano e dalla voracità dimostrata dai rappresentanti degli interessi petroliferi, questa iniziativa ottenne risultati soddisfacenti.
Iniziamo dal riconoscere che il tema si è imposto nel dibattito nazionale e anche in diverse arene a livello internazionale. Inoltre, di fronte all’appello sempre più condiviso a diminuire le emissioni di CO2, un contributo importante è smettere di estrarre petrolio e risorse minerarie.
Per esaltare l’importanza di questa iniziativa occorrerebbe seguire le altre proposte derivate direttamente o indirettamente dall’idea di non sfruttare il petrolio dell’ITT, che già hanno permesso di coniare il termine “yasunizzare” [xii]. Dove? In luoghi come il Delta del Niger, le isole Lofoten in Norvegia, San Andrés e Providencia in Colombia, Lanzarote nelle isole Canarie e il Madidi in Bolivia. Con lo stesso spirito, in Francia e altri luoghi in Europa si evita il fracking del gas di scisto.
In Ecuador la proposta ha guadagnato molta forza, tanto che oggi esistono coloro che reclamano con forti argomenti che è conveniente lasciare il greggio nel sottosuolo, anche senza ottenere il contributo finanziario internazionale. Si tratta dell’Opzione C, con la quale il popolo ecuadoriano – attraverso una consultazione popolare – può prendere il testimone dopo che il Governo Correa ha fallito. E per concretizzare questo processo, un gruppo di giovani – Yasunidos http://www.yasunidos.org/ – si sono incaricati, affrontando la repressione da parte di diverse autorità statali, del difficile compito di raccogliere le firme al fine di convocare una consultazione popolare.
Non sfruttare il petrolio dell’ITT, che per l’Ecuador rappresenta il 20% o anche il 30% delle sue riserve petrolifere e che l’Umanità consumerebbe in soli nove giorni, permetterà di propiziare l’indispensabile rincontro degli esseri umani con la Natura. Questo, inoltre, aprirebbe la porta al cammino verso una transizione energetica che consenta di superare la fase dei combustibili fossili, i cui limiti biofisici sono evidenti.
Da questa prospettiva, superando le visioni corte ed egoiste, si spera che molte iniziative di questo genere fioriscano nel mondo: la parola d’ordine è creare due, tre… molti Yasuní!
Alberto Acosta è un economista ecuadoriano. Professore e ricercatore della FLACSO. Ministro dell’Energia e delle Miniere dal gennaio al giugno 2007. Presidente dell’Assemblea Costituente e parlamentare, ottobre 2007-luglio 2008. Candidato alla Presidenza della Repubblica, settembre 2012-febbraio 2013.
Note dell’articolo La difficile costruzione dell’utopia
[ii] Brillante scrittore ecuadoriano (Ambato, 13 aprile 1832 – Parigi, 17 di gennaio 1889).
[iii] Questo punto merita un’analisi più attenta. Tuttavia, qui occorre recuperare la riflessione di Pablo Solón sul tema: “La preservazione della natura e dei diritti della Madre Terra non può basarsi sull’aspettativa che il mondo capitalista pagherà il suo debito ecologico o che il dono verrà senza condizioni o legamenti. Non c’è dubbio che ciò sarebbe giusto e corretto data la sua responsabilità storica e il suo dovere di riparare il danno arrecato. Tuttavia, la realtà è che non saremo mai capaci di costringere i capitalisti a pagare finché non avremo sconfitto e sostituito il sistema capitalista. L’idea che i paesi “sviluppati” e alcune imprese avrebbero donato volontariamente del denaro al fine di preservare il Yasuní-ITT aveva una probabilità su un milione”. Senza nulla togliere a queste affermazioni, di fatto l’Iniziativa Yasuní-ITT mira in questa direzione, quella di superare il capitalismo e trasformare il mondo pensandolo a partire dai Diritti Umani e dai Diritti della Natura. Si veda: http://pablosolon.wordpress.com/2013/08/17/algunos-pensamientos-sobre-la-yasunitt/
[iv] Alberto Acosta, autore di queste righe.
[v] La lunga lista di frodi ed inganni della Chevron-Texaco sono sintetizzati in ALERTA VERDE, Boletín de Acción Ecológica, Gennaio 2014, Nº170. Si veda: http://www.accionecologica.org/component/content/article/1735-alerta-verde-170-la-mano-sucia-de-texaco-se-extiende-al-yasuni
[vi] Il 25 giugno 2012 la Corte Interamericana di Giustizia emise un verdetto definitivo a favore della comunità di Sarayaku, però il Governo di Correa non rispetta la totalità della sentenza.
[vii] Il Governo, ingnorando le proprie proposte iniziali, aprì la strada all’XI Ronda Petrolifera nel centro-sud dell’Amazzonia. Con scarso successo, come si vide a fine 2013, quando ricevette offerte solo per 21 blocchi petroliferi. Di fronte alle proposte contro questa procedura d’appalto, il Governo intensificò la criminilazzazione della resistenza popolare, arrivando addirittura a chiudere un’organizzazione della società civile, la Fondazione Pachamama.
[viii] Sulla base delle raccomandazioni formulate dal Progetto Petramaz, fu emesso il Decreto Esecutivo n. 551 creando la zona intangibile Cuyabeno-Imuya e il Decreto Esecutivo n. 552 creando la zona intangibile Tagaeri-Taromenane, 29 gennaio 1999.
[ix] A questo punto pare opportuno un chiarimento in merito alla reiterata insistenza del Governo, dopo il 15 agosto 2013, nel dire che Alberto Acosta, allora ministro dell’Energia e delle Miniere, aveva autorizzato lo sfruttamento dell’ITT. Qualcosa di totalmente lontano dalla verità. L’accordo per la Strumentazione della Cooperazione nel Settore Energetico: http://es.scribd.com/doc/165687582/ACUERDO-COOPERACION-SECTOR-ENERGETICO, sottoscritto il 17 aprile 2007, aveva l’obiettivo di sviluppare degli STUDI per analizzare la fattibilità di vari progetti congiunti nel settore. Per evitare sospetti, nel quadro di questo accordo ampio, fu sottoscritto un ulteriore accordo specifico sull’ITT, solo per la realizzazione di uno studio di quantificazione e certificazione delle riserve dei giacimenti esistenti nel suddetto blocco: http://es.scribd.com/doc/165687779/PROYECTO-CONJUNTO-ITT
[x] L’autore di questo articolo, quando era ministro dell’Energia e delle Miniere, ancora credeva che esistessero delle tecnologie capaci di minimizzare tali rischi. Occorre segnalare che tale posizione fu superata dopo aver studiato in dettaglio il processo contro la Chevron-Texaco e aver osservato i gravi danni provocati dalla British Petroleum nel Golfo del Messico.
[xi] Bisogna ricordare che Ivonne Baki fu una sostenitrice degli interessi della Chevron-Texaco, promotrice del Trattato di Libero Scambio con gli Stati Uniti, organizzatrice del concorso Miss Universo in Ecuador, prima di formare parte del Governo di Correa. Si veda: http://www.accionecologica.org/component/content/article/1735-alerta-verde-170-la-mano-sucia-de-texaco-se-extiende-al-yasuni
[xii] Termine utilizzato per indicare la replicabilità dell’Iniziativa Yasuni-ITT, ovvero lasciare il greggio o il carbone o le risorse minerarie sotto terra. http://www.taringa.net/posts/ecologia/6868400/A-Yasunizar-la-real-academia-de-la-lengua.html
Fonte: Rebelion
Traduzione per Comune-Info: Roberto Trevini Bellini.
DA LEGGERE
Yasunizzare il mondo di Joan Martinez Alier
DA VEDERE
SOS YASUNI con il video di Vandana Shiva che supplica il presidente Correa di lasciare il petrolio alla terra
http://www.sosyasuni.org/en/index.php
Yasunidos per la vida
[youtube]https://www.youtube.com/watch?v=XdyemlW4iEQ#t=21[/youtube]
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