Una città di provincia benestante di una regione nota, un tempo, per i suoi legami sociali. Per capire qualcosa in più di come il collasso del finanz-capitalismo, per dirla con Gallino, e l’austerity siano precipitati sulle persone comuni ecco un’interessante ricerca realizzata a Parma. I soggetti più colpiti dall’impoverimento? Giovani donne e migranti da diversi anni in Italia
di Marina Mastropierro*
Disoccupazione e scoraggiamento in provincia di Parma
Secondo i dati dell’Osservatorio su Economia e Lavoro di Ires Cgil Emilia Romagna, rapporto novembre 2012, in provincia di Parma il tasso di disoccupazione a fine 2011 è leggermente diminuito rispetto all’anno precedente: 3,7% rispetto al 4,0% del 2010. Se consideriamo però quante sono le persone in cerca di occupazione tra il 2010 e il 2011 vediamo che a Parma sono diminuite di 1.361 unità (a fronte di un diminuzione media regionale di 321 unità). Aumentano dunque le «non forze di lavoro» (secondo l’Istat sono le persone non hanno interesse o possibilità di lavorare e gli inattivi, cioè coloro che non cercano lavoro ma che sarebbero disponibili a lavorare) che coinvolgono principalmente donne e cassaintegrati a zero ore. Il Rapporto Ires sostiene che se queste categorie si aggiungessero al calcolo del tasso di disoccupazione lo farebbero alzare dal 3,7% al 5,7%. Ne consegue che il solo tasso di disoccupazione ufficiale non riesce a calcolare l’intera portata del fenomeno, cioè le effettive difficoltà occupazionali, economiche e sociali che colpiscono lavoratori, cittadini e nuclesi familiari.
Per avere una percezione più ravvicinata del fenomeno abbiamo deciso di svolgere un’indagine qualitativa effettuando due focus group, composti da 10/12 persone, e 17 interviste in profondità a persone che frequentano l’Emporio di Parma. Il totale delle persone incontrate si aggira intorno alle 40 unità. L’Emporio è un negozio sociale in cui fare la spesa e ritrovarsi, è uno spazio in cui reperire generi alimentari di prima necessità ma anche luogo di socializzazione e incontro (leggi anche «Un social market contro Golia»).
I risultati della ricerca qualitativa fanno luce su un microcosmo sociale in cui i soggetti particolarmente colpiti dai percorsi di impoverimento e povertà sono soprattutto donne, prevalente giovani (30-40 anni) e con figli a carico, e famiglie monoreddito (breadwinner), il cui unico percettore di reddito ha perduto la sicurezza del proprio posto di lavoro, o perché licenziato o perché in cassa integrazione. Sono dati che coincidono, in parte, con altre analisi condotte a livello macro dall’Ires (nonostante la ricerca qualitativa non abbia pretese di validità statistica). Si tratta di soggetti fortemente scoraggiati dalle difficoltà di accesso al mercato del lavoro, capifamiglia che hanno perduto la sicurezza del proprio reddito e persone che, pur avendo un lavoro, non riescono a far fronte alle spese di gestione ordinaria della propria vita. «Nuove povertà», dunque, in cui il lavoro e l’istruzione non sono più garanzia di sicurezza sociale. E’ stato interessante riscontrare che, su un totale di 14 donne incontrate durante i colloqui, 8 dichiarano di essersi trovate in condizioni di povertà in seguito a separazione o abbandono da parte del marito o convivente. Quest’ultimo è uno spunto d’analisi che si presterebbe a essere approfondito.
Tutti i soggetti intervistati dichiarano di essere stati colpiti dalla crisi economica iniziata nel 2008 (crisi dei mutui subprime) anche se non sempre riescono a individuarne le cause precise. L’incapacità di provvedere alle spese di gestione per la casa rappresenta per tutti il primo fattore di crisi e di scivolamento in percorsi di impoverimento materiale e sociale.
L’Emporio: alcune cifre
A maggio 2012 l’Emporio riceve 15 nuove richieste di accoglienza alla settimana e a gennaio 2013 la cifra raggiunge le 20 richieste. I nuclei familiari tesserati hanno un Isee medio di riferimento pari a 1.884 euro. La maggior parte dei richiedenti sono famiglie monoparentali (23%), una percentuale che si è tenuta costante negli ultimi due anni e che sottolinea la rilevanza di questa tipologia familiare tra le situazioni di disagio economico.
La maggior parte degli utenti ha nazionalità straniera: 76% a fronte di un 24% di persone con nazionalità italiana. Sono persone che vivono e lavorano in Italia già da molti anni, in media 12,3, e che iniziano a perdere i pochi benefici acquisiti all’interno di un processo di integrazione già abbastanza difficile.
Il «povero straniero»
Accertata la prevalenza della componente straniera tra gli utenti dell’Emporio, l’indagine si è concentrata sull’analisi del binomio «migrazione-povertà». Facendo riferimento agli studi di Abdelmalek Sayad sulla migrazione algerina in Francia rileviamo che ancora oggi, a distanza di quarant’anni dall’avvio delle sue ricerche, il fenomeno migratorio viene affrontato solo in relazione agli effetti che produce nel paese d’immigrazione, senza considerare le condizioni di vita nei contesti di emigrazione. Non si conoscono le cause che inducono a lasciare il proprio paese, il ruolo della comunità e del contesto locale, la costruzione del percorso migratorio e le illusioni che ispirano il viaggio. Il fenomeno migratorio è dunque affrontato rispetto a una sola dimensione, quella relativa all’arrivo nei paesi di destinazione, e si presta a essere usato come strumento di confronto politico-ideologico piuttosto che oggetto di riflessione storica. La visione parziale con cui viene trattata la «questione immigrazione» genera delle distorsioni che ostacolano il rapporto tra migranti e istituzioni nazionali e locali.
Dalla ricerca è emerso in particolar modo il difficile rapporto intrattenuto con i servizi sociali, percepiti come agenti giudicanti piuttosto che enti preposti all’accoglienza dei bisogni e risoluzione dei disagi. Senza entrare nel merito di quello che potrebbe essere un carico eccessivo di aspettative da parte dei migranti, oppure il disorientamento dei servizi di fronte alla gestione di un fenomeno che si presenta in vesti del tutto nuove, è interessante mettere in evidenza la criticità che questo incontro produce. Orientandoci sugli studi condotti da Marco Revelli («Poveri, noi», Einaudi, 2010») sull’aumento della povertà in Italia ci sembra di riscontrare, a partire dei racconti degli intervistati, un conflitto di classe «latente e orizzontale» tra migranti e assistenti sociali. «Se non togli il velo non ti trovo lavoro», «se cambi di nuovo casa ti tolgo la bimba» sembrano essere affermazioni che utilizzano il registro del conflitto tra modelli culturali diversi per esprimere il disagio legato alla paura di cadere in percorsi di impoverimento. Gli operatori sociali appartenevano a una classe tutelata dal rischio di cadere in povertà e l’assottigliamento del confine tra piccola-media borghesia e poveri, in particolar modo migranti, produce rancore e rabbia sociale. I migranti sono materializzazioni di una crisi che si cerca di occultare a tutti i costi e rappresentano l’incertezza incarnata di status sociali minacciati dalla precarietà delle condizioni di vita e lavoro.
Non siamo stati in grado di intervistare persone di classi medie durante questa fase di approccio allo studio del fenomeno «povertà a Parma» ma, attraverso le rilevazioni condotte su un campione di persone che versa in condizioni di povertà assoluta, è possibile pensare che il rischio di incappare in percorsi di impoverimento riguardi anche fasce della popolazione che un tempo si sentivano garantite.
Marina Mastropierro è una ricercatrice sociale che collabora con l’Università di Parma e l’Università di Bari. Attualmente è impegnata sulle seguenti tematiche: «nuovi poveri» e «crisi e Mezzogiorno». Per Comune-info ha scritto questi articoli.
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