Ventuno contesti territoriali romani approfonditi. “Reti di mutualismo e poli civici a Roma” è un e-book (potete scaricarlo qui sotto) che presenta una ricerca importante, nuova e condivisa tra soggetti diversi come comunità di apprendimento e cambiamento concreto della lettura, della scrittura e della pratica della coesione sociale, ambientale e economica. Parte dal presupposto che, per dar vita a una vera rigenerazione urbana, sia indispensabile ma non più sufficiente costruire o rigenerare spazi. C’è bisogno di processi di co-formazione e condivisione tra decisori, amministratori, dipendenti pubblici dei servizi territoriali e cittadini organizzati che integrino innovazione sociale e sviluppo di economie locali al necessario presidio degli spazi pubblici. Per questo il volume prova anche a fornire alcuni modelli di strutturazione e organizzazione generale di “Poli civici”, a partire da due proposte, variamente declinate e sviluppate nei quartieri di Quarticciolo e Esquilino. Si tratta di un primo passo verso lo studio e la realizzazione di esperienze e forme collaborative sui territori che sappiano esplorare nuove potenzialità, come quelle proposte nei “poli civici”, capaci di far vivere una città diversa che già esiste ma non riesce ancora a pensarsi come tale. LabSU – Laboratorio di Studi Urbani “Territori dell’abitare” (DICEA – Sapienza Università di Roma) ha sviluppato, in collaborazione con l’Associazione Fairwatch, questa ricerca, edita da Comune-info, con il sostegno dalla Fondazione Charlemagne, che sarà presentata in Campidoglio, nella sala del Carroccio, il prossimo 27 gennaio alle ore 17.30
Una delle lezioni più importanti della pandemia per la Capitale è stata quella di poter contare, a sostegno dei corpi indeboliti e smarriti dei propri abitanti e delle stesse istituzioni, su un’ossatura di realtà, forme e pratiche di autorganizzazione sociale, di autoreddito e servizi, formalizzate e informali che hanno retto la botta, permesso il suo parziale assorbimento e l’organizzazione della nuova normalità nella quale stiamo procedendo, pur con tante difficoltà. La buona notizia per la città è stata, dunque, quella di poter contare su una struttura la cui fragilità e flessibilità – come per le ossa- è stata parte della sua forza imprevista.
La cattiva notizia per le componenti dello scheletro stesso, più che altro una triste conferma rispetto alle precedenti crisi che hanno attraversato i territori e il Paese, è stata quella della propria invisibilità e della potenziale sparizione nei contesti decisionali e d’opinione una volta che l’emergenza fosse rientrata. Con la conseguenza di un perseverare in vecchi modelli di sviluppo economico e sociale che creano le condizioni ideali e materiali per il proliferare di crisi, diseguaglianze, e rabbiosa rassegnazione.
Se la ricerca ha un senso, però, è quello di saper riconoscere e fotografare la realtà, approfondirla e, attraverso un’analisi rigorosa e terza, qualitativa, quantitativa e relazionale, proporre indirizzi e strumenti che, in questo caso, riconoscano e evidenzino strutture e processi in campo e potenziali perché possano esprimere al meglio le proprie possibilità di partecipazione e generazione di altre iniziative e risposte ai bisogni dei territori in continua evoluzione.
Una ricerca anch’essa condivisa, tra istituzioni della conoscenza, della solidarietà e realtà sociali, come comunità di apprendimento e cambiamento concreto della lettura, della scrittura e della pratica della coesione sociale, ambientale e economica.
E’ stata questa la sfida raccolta insieme dalla Fondazione Charlemagne, che opera da diversi anni per la promozione umana e sociale delle periferie romane il programma “ periferiacapitale “; il LabSU – Laboratorio di Studi Urbani “Territori dell’abitare” del Dicea (Dipartimento di Ingegneria Civile Edile e Ambientale) dell’Università La Sapienza di Roma, da tempo impegnato con progetti di ricerca-azione e a carattere interdisciplinare in molte periferie romane; l’Associazione Fairwatch impegnata anch’essa da tempo, e non solo a Roma, sui temi delle economie trasformative e delle alternative di sviluppo praticate nelle nostre città.
Nel volume “Reti di mutualismo e poli civici a Roma – Osservatorio delle reti romane di mutualismo e sperimentazione di centri civici a supporto dello sviluppo locale integrale delle periferie” sono raccolte alcune importanti novità.
Innanzitutto una sorta di “mappa delle mappe” che quantifica e geolocalizza, per la prima volta insieme, le realtà dell’associazionismo censite dal centro servizi del Volontariato di Roma, le cooperative sociali, i Comitati di quartiere, gli enti ecclesiali impegnati in progetti per l’ecologia integrale insieme ai centri sociali e alle occupazioni abitative, con le realtà informali, le scuole aperte, gli spazi per lo sport popolare, le scuole aperte, e poi la galassia dell’altra economia con le pratiche di economia circolare, gli orti urbani e i giardini autogestiti, le aziende agricole biologiche e innovative, i gruppi d’acquisto, le botteghe del commercio equo, i mercati e le cucine popolari per un totale di oltre 6.250 realtà attive e reattive a Roma.
Dalla diversa distribuzione geografiche di queste realtà – associazioni e cooperative più presenti in aree centrali e semi-centrali, occupazioni già più distribuite ma fortemente concentrate, realtà ecclesiastiche, scuole, comitati e realtà produttive progressivamente più distribuite ed estese fuori il Gra – si può già dedurre quale sarà l’indicazione di fondo che emerge dalla ricerca: dove c’è deserto urbanistico e assenza di servizi, anche l’innovazione e la generatività sociale sono più complesse in assenza di “grumi” e densificazione relazionale, dove al servizio di valore pubblico si accompagni l’attivazione, lo scambio, la possibilità percepita.
La seconda “notizia” che emerge dalla ricerca, è che questi “addensamenti”, avendo saputo far sistema con altri soggetti dei territori nei quali operano sono più resistenti ai rovesci della cronaca, hanno tratti comuni di generatività culturale, sociale ed economica, e molti degli stessi problemi. Larga parte delle difficoltà sono di tre tipi: innanzitutto la burocrazia, la disponiblità e titolarità di spazi per le attività, la difficoltà di conciliare tempi di vita e tempi di attivazione, la difficoltà di sostenere i costi connessi alle attività a fronte di una crescita costante di bisogni e richiesta, e in assenza di sostegni specifici da parte pubblica.
Ventuno sono stati i contesti territoriali approfonditi: dall’Esquilino a la Pisana, da Spinaceto a Montesacro, dal Quarticciolo a Corviale, da Tor Sapienza a Cinecittà, dal Tufello a Tor Bell Monaca. La maggior parte di queste realtà appartiene a reti territoriali, nazionali ma anche internazionali, sono tecnologicamente avanzate e mediamente capaci di gestire professionalmente i rapporti istituzionali, con la stampa. Dall’analisi dei risultati di bilancio pre e post-crisi di evince fino all’80% delle risorse a disposizione viene assorbito da spese connesse alle attività, il 35% in media per le retribuzioni, il 5% come contributi diretti al territorio. Questi “poli attrattivi” si occupano non soltanto delle proprie attività specifiche ma partecipano o catalizzano vertenze più ampie e trasversali.
Attraverso la partecipazione a queste reti la maggior parte dei soggetti intervistati ha riportato cambiamenti trasformativi nel proprio ambito d’azione o quartiere, scontando, però, un forte sovraccarico e impatto sulla qualità della vita dei legali rappresentanti o coordinatrici/coordinatori, sui quali ricade una forte concentrazione dei processi decisionali e delle relazioni esterne e con le realtà di secondo livello come istituzioni, media, enti finanziatori.
Questo succede non soltanto per dinamiche di verticalizzazione decisionale, ma in larga parte perché le relazioni con le istituzioni, con i finanziatori con i media sono nella maggior parte di esse attività non retribuite, e quindi affidate volontariamente alle cariche o figure apicali.
Chi sa gestire più direttamente questo ultimo tipo di relazioni, anche con strategie esplicite di auto-istituzione e di comunicazione indipendente, riporta di avere risultati trasformativi più immediati o incisivi. Soprattutto i rapporti con le istituzioni possono, però, per la maggior parte delle realtà intervistate, “generare il peggioramento di una decisione pubblica o privata” (8 realtà su 21 ne sono convinte), il ”peggioramento di un processo esterno o interno all’organizzazione che la pratica” (lo denunciano 7 realtà), una perdita economica (secondo 5 realtà) e il peggioramento di una condizione sociale (altre 5 segnalazioni), oltre all’approvazione o all’abrogazione sbagliate di una legge o regola (1 realtà lo denuncia), ma anche un danno d’immagine o l’oscuramento di una realtà o di una problematica (secondo 3 realtà).
La terza “notizia”, che consente di affrontare, quando praticata, la difficoltà di relazione “istituzioni-territorio”, è quella spinta all’integrazione spaziale virtuosa tra servizi pubblici e iniziative di rete e d’attivazione dal basso che le realtà romane stanno già sperimentando, e che sarebbe un volano di accelerazione della strategia della “Città dei 15 minuti” che l’attuale Giunta Capitolina sta provando ad attuare come molte altre metropoli nel mondo. Sia l’idea delle “officine municipali” sia quella dei “poli civici” sono state riprese in alcune recenti proposte di legge della Regione Lazio, e consolidate in specifici articolati che si ispirano a sperimentazioni europee e internazionali: dalle “case di quartiere” alle “neighbourhood houses”, dalle “case delle associazioni” agli “ateneos cooperativos” ai “Les tiers-lieux”.
Molto spesso, come emerge da questa ricerca, i bandi e i progetti offerti da soggetti e finanziatori a diversi livelli (ad esempio, regionali, nazionali o europei), così come l’inserimento in maniera strutturata nel mercato del lavoro, richiedono competenze e capacità che è difficile trovare gratuitamente nei quartieri della periferia.
Anche solo costituire una start-up o una cooperativa sociale, così come operare sulle piattaforme telematiche, o ancora accedere al credito o comprendere le disposizioni fiscali, rappresentano ostacoli insormontabili per molti. Sono quindi necessarie diverse forme di “capacitazione” dei soggetti e degli attori locali. In questo senso un polo civico viene qui interpretato non soltanto come luogo fisico di produzione e erogazione condivisa, tra pubblico e cittadinanza attiva, di servizi e informazioni, ma anche come un “hub delle economie locali”, a sostegno dell’imprendere eco-equo e generativo dei territori.
Si fa qui riferimento a “economie trasformative” e quindi non semplicemente a “quello che offre il mercato”, spesso piegando le esigenze di occupazione a modelli eterodiretti, o a modelli di sviluppo non certo sostenibili, né ambientalmente né socialmente. Il tipo quindi di “filiere produttive” che si possono insediare nei nuovi poli sono quindi un motivo di forte attenzione, pur comprendendo le generali necessità di occupazione.
Senza contare che di fronte alla disaffezione generale nei confronti della politica, soprattutto della politica istituita”, e alle difficoltà che la metropoli pone all’organizzazione di forme di vita collettiva e politica, i poli civici assumono il carattere di luogo di confronto e co-decisione, oltre che di socialità e di solidarietà urbana e sociale (come base di riferimento per le diverse forme di mutualismo), diventando “spazi pubblici” per eccellenza, luogo di maturazione di una politica radicata nella vita quotidiana degli abitanti, nonché di costruzione di una democrazia territoriale.
Nella declinazione qui proposta, la strada praticata è quella di costruire la progettazione dell’“hub” / “polo civico” con le realtà locali in un vero e reale percorso di co-progettazione aperta, a partire da quegli attori della società civile o della cittadinanza attiva, che già “fanno rete” sul territorio e sviluppano progettualità autonome in una prospettiva di interesse collettivo e di sguardo complessivo territoriale, promuovendo autogestione. In sintesi, non basta costruire o rigenerare spazi, ma serve costruire processi di co-formazione e condivisione tra decisori, amministratori, dipendenti pubblici dei servizi territoriali e cittadini organizzati, che integrino innovazione sociale e sviluppo di economie locali al necessario presidio degli spazi pubblici per una vera rigenerazione urbana.
La ricerca non si limita a indicare questa strada, ma fornisce alcuni modelli di strutturazione e organizzazione generale di “Poli civici”, a partire da tre proposte sviluppate nei quartieri di Tor Bella Monaca, Quarticciolo e Esquilino, contestualizzate in una rassegna normativa con alcuni casi di successo nazionali e internazionali in divenire o già consolidate come le case di quartiere a Torino, in Australia e in Canada, i “Luoghi terzi” francesi, le Fondazioni di comunità o gli Atenei cooperativi che in Spagna istituzionalizzano in grandi progetti cittadini quelle collaborazioni “dentro-fuori l’accademia” che questa ricerca prova a praticare in piccolo.
Un’alleanza per Roma e per le sue buone pratiche potrebbe essere lo strumento più adatto se è capace di coinvolgere soggetti pubblici e privati uniti dall’interesse per il vivere comune e senza fini speculativi.
E questa alleanza potrebbe dotarsi appunto, come avvalorato dalla presente ricerca, di case di quartiere o poli civici che stimolino la comunità ad essere protagonista nel futuro della città. O di fondi dedicati ai singoli quartieri per investire nelle loro potenzialità e strutture o, ancora, di sostegno alle comunità energetiche ed ai patti educativi di comunità, o ai patti di collaborazione.
Come dimostra lo studio del DICEA e di Fairwatch non mancano le buone pratiche a Roma, nè mancano esperienze innovative in città e fuori. Speriamo con questo lavoro comune di poter contribuire alla miglior vivibilità della nostra città avendo ora uno strumento in più di analisi ed azione futura.
Per scaricare ebook della ricerca clikka qui.
Roberto dice
interessante, leggerò il testo appena posso
Giuseppe Musolio dice
Si potrebbe organizzare un incontro di chi ha lavorato alla ricerca con diverse realtà socio-culturali presenti a Varese e provincia?
Grazie per l’attenzione.
Giuseppe Musolino – Rete Varese Senza Frontiere 3387075200