Ci sono più persone in giro nelle strade, ma il loro comportamento dimostra che le persone comuni non hanno bisogno di uno Stato paternalista, di droni e forze dell’ordine: lunghe file ordinate e pazienti, tutti (ma proprio tutti) con mascherine portate in modo corretto, guanti, distanza di sicurezza, persone che lasciano il passo se incrociano un anziano in un passaggio stretto. E la vita torna a sbocciare poco a poco e in modo diverso nei quartieri. Un racconto di vita quotidiana romana
Questa mattina sono uscita per andare a comprare la scorta di cibo per i miei famelici micetti e ho visto un quartiere completamente diverso rispetto all’ultimo mese e mezzo. Sembrava essere tornati all’inizio della quarantena, ma con più consapevolezza e responsabilità.
In questo pezzo di Roma c’era, infatti, un sacco di gente in giro, ma tutti mantenevano comportamenti estremamente responsabili: lunghe file ordinate e pazienti, tutti (ma proprio tutti!) con mascherine portate correttamente, guanti, distanza di sicurezza, persone che lasciavano il passo se incrociavano un anziano in un passaggio stretto, per evitare pericolosi intruppamenti.
Non c’erano controlli in giro, ma non servivano: le persone sapevano perfettamente cosa fare. Un mese e mezzo di reclusione, di paura, di conta dei morti, ha prodotto un lascito di auto-responsabilizzazione che non necessita più di controlli e repressioni.
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Il solo poter uscire nel quartiere, stare all’aria aperta, godere di questo bel sole, sembra già di per sé una conquista enorme, da non rovinare con comportamenti irresponsabili.
La gioia di godere delle piccole cose. E la vita è sbocciata nuovamente nel quartiere: i bambini che giocano nei cortili dei condomini, come non avveniva più da anni, e con i genitori che controllano che non si avvicinino troppo tra loro; anziani che curano i giardini e gli spazi verdi; i negozi di casalinghi dei cinesi che hanno riaperto; coppie di adolescenti che si incontrano in strada indossando la mascherina di ordinanza e mantenendo anche tra loro la distanza di sicurezza; coppie di anziani che camminano per strada tenendosi per mano, come se si sentissero dei sopravvissuti e vogliano quindi viversi il loro amore fine alla fine, stringendosi tra loro.
A forza di parlare di Fase 2, riapertura, ripartenza, le persone normali qui si comportano e si sentono già in Fase 2 e lo fa in autonomia e nel rispetto di tutte le norme di sicurezza.
Sabato è il 25 aprile, ma c’è già aria di armistizio e la Liberazione i cittadini se la stanno già conquistando. Le autorità se ne facessero una ragione: noi non abbiamo bisogno che lo Stato si inventi chissà cosa per la Fase 2, le persone comuni sono già responsabilmente pronte. È il sistema produttivo a non essere pronto, non il tessuto sociale.
Andrea dice
Mascherine, distanziamento, file ordinate. Bene, non c’è bisogno dei droni. Vuol dire che abbiamo già interiorizzato la sottomissione all’ideologia intrinsecamente di destra del Distanziamento. Non ne usciremo più. Questa vita distanziata e mascherata non è vita, è un pallido e triste simulacro della vita.
Andrea dice
Andrea, il ridimensionamento (o semplice applicazione) necessario e volontario della prossemica non è da attribuire ad alcuna ideologia bensì ad una temporanea e condivisa necessità. In ognuno di noi adesso vive la forza, la gentilezza e la speranza nel futuro di un marinaio temporaneamente imbarcato.
Andrea dice
Non mi convince. Ma avete letto la farsa dei “congiunti” e dei “fidanzati ufficiali” da visitare mascherati a un metro di distanza finchè i virologi non trovano il vaccino? Siamo alle comiche finali dell’ideologia del rischio zero. In questo paese tutto è temporaneamente definitivo. Come le orribili barriere anti terrorismo. Sono ancora li ora.
Andrea dice
Se ascoltiamo i virologi la specie si estinguerà quando le coppie già formate usciranno dall’età fertile. Basta con questa retorica virologica.