Se diversi licei hanno scelto la strada della competizione, del razzismo e della discriminazione per accalappiare nuovi “clienti” significa che la scuola azienda non è più uno slogan. Intanto c’è chi promuove la distinzione tra scuole che accolgono chi deve diventare classe dirigente e scuole destinate a chi deve diventare salariato precario, tra scuole dei vincenti e quelle dei perdenti. “A tanto siamo arrivati, nell’indifferenza, nel cinismo, nella bruttezza e nella paura dei tempi in cui viviamo. E tra i responsabili, in prima fila – scrive Matteo Saudino -, purtroppo ci siamo noi insegnanti…”
di Matteo Saudino*
In questa scuola non ci sono “né stranieri, né disabili“. Tale affermazione non è un estratto delle leggi di Norimberga emanate dal nazismo o delle leggi razziali fasciste. Tali orgogliose dichiarazioni sono contenute nel RAV (il rapporto di autovalutazione redatto dai docenti e che viene pubblicato sul portale Scuola in chiaro, per fornire alle famiglie e a chi si iscrive informazioni sull’offerta formativa delle scuole) di alcuni prestigiosi e rinomati licei italiani. Ecco a quale degrado educativo e politico ci ha condotto il processo, voluto indistintamente dal centrodestra e dal centrosinistra, di trasformazione delle scuole italiane in efficaci aziende, edificate sul dogma della competizione e del profitto.
ARTICOLI CORRELATI
- Effetto domino Rosaria Gasparro
- L’acquiescenza verso le classi ghetto
Le nuove buone scuole aziendali, infatti, si stanno alacremente costruendo una clientela all’interno di un determinato spazio di mercato, come se fossero una catena di negozi specializzati. Ed è così che la scuola della Costituzione, democratica, antifascista e inclusiva sempre più solo a parole e nella forma, sta diventando, nella sostanza, un arcipelago scolastico, fondato sulla disuguaglianze, in cui sorgono le scuole per i figli della borghesia e dei liberi professionisti, le scuole per chi è figlio del popolo a basso reddito, le scuole per chi deve diventare classe dirigente o per chi deve diventare salariato precario, le scuole parcheggio per chi è pigro, le scuola luna park tecnologico per chi vuole divertirsi, le scuole lente piene di disabili e quelle difficili con tanti stranieri, le scuole in cui si studia e quelle in cui si lavora, le scuole dei ricchi e quelle dei poveri, le scuole dei vincenti e quelle perdenti.
A tanto siamo arrivati, nell’indifferenza, nel cinismo, nella bruttezza e nella paura dei tempi in cui viviamo. E tra i responsabili, in prima fila, purtroppo ci siamo noi insegnanti: collaborazionisti per scelta o per necessità, demotivati o disillusi, pigri o soli, ormai incapaci, da lustri, di dare vita ad una vitale stagione di lotte al fine di arrestare le barbarie delle neo-democrazie autoritarie al servizio del capitale e per costruire una nuova scuola pubblica che sia una autentica comunità-laboratorio, in cui sperimentare democrazia ed emancipazione (leggi anche La scuola come comunità, ndr). Per far ciò serve rompere le catene del neoliberismo da un lato e del neofascismo dall’altro, le cui prospettive antropologiche portano alla formazione di individui egoisti, competitivi e violenti. Compito talmente arduo, da apparire oggi quasi impossibile, ma non vi è alternativa per chi vuole costruire una società che sappia coniugare libertà, uguaglianza e giustizia, in cui sia possibile vivere felici.
*Insegnante di filosofia a Torino
Camillo Coppola dice
SCUOLE PERSE NELL’OBLIO,IL MODUS VIVENDI E’ QUI’ :
https://www.facebook.com/manfredo.dilorenzo/posts/10208260830581601?pnref=story