Il tema dell’autogestione è tornato con forza al centro delle attenzioni dei movimenti di Uruguay. Numerosi gruppi di lavoratori, colpiti dai meccanismi di esclusioni del mercato capitalista, rivendicano quel termine per definire una modalità di organizzazione collettiva di carattere alternativo. Secondo un recente rapporto sono quaranta le imprese autogestite dai lavoratori in diversi settori. “Il momento di crisi globale e sistemica con cui è iniziato il secolo XXI contribuisce a spiegare, al meno in parte, questo fenomeno – spiega Pablo Guerra, sociologo dell’Università della Repubblica di Montevideo – In questo panorama, ad esempio, le imprese recuperate in Argentina e in Uruguay, il movimento dell’economia solidale in Brasile, buona parte del cooperativismo di tutto il mondo, reti gestate da una marea di disoccupati e persino gli increduli impiegati di General Motors negli Stati uniti, hanno rispolverato gli antichi vessilli dell’autogestione”.
di Pablo Guerra
L’autogestione sta rivivendo. È risorta in questi ultimi anni, a partire dalla nascita di nuovi movimenti sociali, forgiati da un’identità collettiva che incontra le sue radici nella cultura operaia. E così è rinata, aldilà delle difficoltà generate dall’evoluzione del concetto che, dagli anni ’90 in poi, si è riconvertito in termini di decentralizzazione, promossa dalla tecnologia informatica: università private, banche, grandi imprese di servizi, invitano i propri clienti ad “autogestire” i propri dubbi attraverso un account in Internet.
Nonostante ciò, il risultato è che, oggi, numerosi gruppi di lavoratori, colpiti dai meccanismi di esclusioni del mercato capitalista, rivendicano il termine autogestione per definire una modalità di organizzazione collettiva di carattere alternativo.
Senza dubbio, il momento di crisi globale e sistemica con cui è iniziato il Secolo XXI contribuisce a spiegare, al meno in parte, questo fenomeno. Una crisi che sul piano dei pardigmi strettamente economici fa riferimento, in prima istanza, alla caduta del modello autoritario e fortemente centralizzato (pianificazione economica centralizzata) dei paesi dell’ex blocco sovietico, in seconda battuta alla crisi del consenso di Washington (nell’area latinoamericana) ed infine a quella del modello liberal-capitalista del Nord (Usa ed Europa). In tale contesto, è possibile intravedere le condizioni che hanno rigenerato il vecchio vento autogestionale, dando spazio ad una nuova irruzione delle ideologie che, lungi dall’estinzione (come preconizzava erroneamente Fukuyama), hanno recuperato vigore, posizionandosi come alternativa al modello egemonico.
In questo panorama – per esempio – le imprese recuperate in Argentina e in Uruguay, il movimento dell’economia solidale in Brasile, buona parte del cooperativismo di tutto il mondo, reti gestate da una moltitudine di disoccupati e persino gli increduli impiegati di General Motors negli Stati uniti, hanno rispolverato gli antichi vessilli dell’autogestione.
In Uruguay, il termine era caduto in disuso a partire dagli anni ‘90. Rifugiatosi in alcune posizioni libertarie, democristiane e di una certa parte della sinistra eterodossa, l’autogestione non era più riuscita ad inserirsi tra il binomio capitalismo – statalismo, predominante nel dibattito politico durante tanto tempo.
Però, la crisi ha prodotto le condizioni necesarrie per riproporre sulla scena una serie di soluzioni alternative, basate sulla partecipazione (la più diretta e piena possibilie) dei lavoratori. Posta in scena sostenuta dal riposizionamento di alcuni attori cooperativi (FUCVAM y FCPU[1]) e delle imprese recuperate (ANERT[2]), oltre alla Coordinazione nazionale di economia solidale, a cui si aggiungono posteriormente e con ruoli diversi, il sindacato nazionale dei lavoratori – Pit Cnt – ed il servizio d’estensione dell’Università della Repubblica.
Però, sará importante senza dubbio l’attenzione del presidente della Repubblica, José ‘Pepe’ Mujica, che ha inserito il tema nell’agenda pubblica, attivando cosí alcuni strumenti di poltica economica specífici, rivolti alla promozione ed al finanziamento all’autogestione, come è il caso del Fondes (Fondo Nazionale per lo Sviluppo).
Nella ricerca “Autogestión empresarial en Uruguay. Análisis de caso del Fondes”, si cerca di analizzare come, negli ultimi anni, si è gradualmente affermata la modalità dell’autogestione sulla scena pubblica uruguaiana.
Prima di tutto, si esamina il portata del termine autogestione, la complessità teorica e la densità propositiva. In seconda istanza si prendono in esame due casi concreti: quello delle imprese recuperate dell’Uruguay e la possibilità di generare meccanismi autogestionati in cooperative di usuari (prendendo in considerazione il fenomeno delle cooperative di consumo). In un terzo momento si analizza come e quanto l’impronta personale del presidente Mujica è risultata determinante per la creazione di politiche d’appoggio specífiche in materia. Infine si procede ad una valutazione del Fondes, quale strumento specifico di politica pubblica, diretta al rafforzamento dell’autogestione nel territorio nazionale.
Oltre all’analisi teorico, il Dossier si basa su una serie di interviste a informanti qualificati, sullo studio di micro-dati del IIº Censimento Cooperativo, su un rilevamento a cooperative nate dalla formalizzazione d’imprese recuperate, un seminario organizzato con lavoratori e lavoratrici dell’economia solidale nell’ambito dello Spazio per un Mercosur solidale..
Delle quaranta imprese recuperate in Uruguay, rilevate da questo dossier, quattro corrispondono a imprese registrate sottoforma di società anonima (Ebigold S.A.; Urutransfor S.A., Noblemark S.A. y Dyrus S.A.) e le restanti trentasei formalizzate attraverso la costituzione di cooperative.
In entrambi i casi, si definisce impresa recuperata “quell’unità economica costituita da lavoratrici lavoratori che provengono da una precedente esperienza occupazionale comune e che gestiscono collettivamente, al meno una parte degli attivi (tangibili o intangibili) dell’impresa in cui ricoprivano il ruolo di dipendenti”.
In quest’ottica, è comprensibile che possano verificarsi casi che, nonostante si avvicinino al concetto appena esposto, non rispecchino pienamente la definizione. Per esempio, la Cooperativa di Lavoratori d’Impresa Popolare Alimentare (Ctepa) è composta da venti operai, ex lavoratori degli stabilimenti Puritas e Las Acacias, licenziati nell’ambito di un conflitto sindacale. Nonostante si possa catalogare come un caso di recupero dell’impiego, attraverso la creazione di una cooperativa, non è possibile parlare di “impresa recuperata” in senso stretto, visto che le imprese convenzionali continuano ad operare sul mercato e gli (ormai) ex-dipendenti non hanno ereditato nessuna marca, struttura o macchinario dal precedente datore di lavoro. Questo, come altri casi, rientrano nell’ambito allargato dell’impresa auto-gestita.
La ricerca che ha prodotto questo documento è terminata nel mese di agosto di quest’anno. Per accedere al documento completo (in spagnolo) cliccare sul seguente link: retosalsur.org/biblioteca/comercio-justo/finanzas/
Pablo Guerra sociologo, docente e ricercatore della Facoltà di Diritto dell’Università della Repubblica (Montevideo – Uruguay), esperto di economia solidale, è presidente di Retos al Sur.
(Traduzione per Comune-info di Roberto Casaccia di Retos al Sur/Reorient)
Per approfondire: Fabbriche recuperate. Dossier
[1] Federazione Uruguaiana di Cooperative di Residenza per Mutuo Aiuto (FUCVAM) e Federazione di Cooperative di Produzione del Uruguay (FCPU).
[2] Associazione Nazionale di Imprese Recuperate dai Lavoratori (ANERT).
[4] Associazione Nazionale di Imprese Recuperate dai Lavoratori (ANERT).
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