di Valentina Guastini*
Nell’affrontare l’argomento “montagna” abbiamo aderito ad un progetto dell’Apt della Valsugana che consisteva nell’adottare una mucca di malga. Il progetto poi si è esteso e, una parte di noi, è riuscita a raggiungere la mucca Nutella durante le vacanze Natalizie, nella sua dimora in stalla. Il malghese è stato così entusiasta che ci ha omaggiato di diversi tipi di formaggi e al rientro dalle feste abbiamo fatto l’assaggio in classe. È nata così la nostra riflessione sul cibo e di conseguenza sul latte.
Il latte come alimento che, non solo accomuna tutte le etnie fin dalla nascita, ma addirittura tutte le “razze”. Abbiamo riflettuto quindi sul significato della parola “razza” prendendo in considerazione anche chi sostiene che ormai sia una parola obsoleta che andrebbe cancellata o sostituita nella nostra Costituzione. La classe, composta da ventiquattro alunni (di cui otto di differente origine), ha convenuto sull’idea che razza pare più un termine indicato per differenziare “generi” tra vertebrati e non tanto fra uomini. Ma con sorpresa i bambini hanno formulato ragionamenti profondi su quanto il latte possa davvero essere una delle poche cose comuni ad ogni “razza”. E se con il latte possono condividere somiglianze razze differenti, figuriamoci etnie!
Ed ecco ricercare nella propria cultura ricette a base latte e condividerle in un rito che ci è sembrato più adatto a questi tempi di scuola in trincea: un picnic. Una scuola che, in generale, si sta sempre di più burocratizzando lasciando sempre meno spazio “all’imparare facendo”, alla condivisione di momenti non strutturati che possano lasciare al bambino la possibilità di esprimersi liberamente. Così hanno deciso che questi piatti avrebbero voluto mangiarli in un picnic, all’aria aperta dove, non per questo, vengano dimenticate le regole delle buone maniere, ma dove il cibo assume un momento di benessere equo, che sia inclusione e non distanza per chi non ha avuto la fortuna di essere messo a prova di galateo. Cibo condiviso e apprezzato nella serenità libera e non nel giudizio.
I piatti proposti dai bambini sono tendenzialmente simili a ghiottonerie preconfezionate e poco sane che loro consumano abitualmente, ma rivolti alla scoperta di ricette genuine e artigianali (come i pierogi di brindza che ricordano i “sofficini”o il risengrøt svedese che ricorda il riso-latte da banco frigo). E con il sorriso arrivano a pensare che certamente dal picnic nessuno è escluso, nemmeno le razze differenti.
E qualcuno racconta che il nonno per catturare le bisce metteva del latte in fondo ad una bottiglia perché essendone ghiotte, una volta entrate e bevuto, non riuscivano più ad uscirne. E così ci affidiamo a Gianfranco, alunno ecuadoriano, con doti incredibili per l’illustrazione e che passa dall’essere l’alunno talvolta in difficoltà, a guida sull’impostazione di disegni e spazio foglio. E Sheraz dice che però in Pakistan mangiano con le mani e qualcuno suggerisce di aggiungere le bacchette nel cesto da picnic. Aggiungiamo del burro e giochiamo con le parole disegnando un asino – Samantha ci suggerisce che nella sua lingua
“burro” significa asino – e io confesso a qualcuno di aver assaggiato il formaggio con i vermetti bianchi che saltano…
Ci siamo complicati molto la vita decidendo di stendere un finto plaid dopo aver fatto i disegni. Ridendo Alexandru dice che ci vorrebbe della meditazione per sopportare tanta precisione e allora ci ingegniamo anche in questo,notando che esistono persino dei vini da meditazione… Laggiù, infondo a destra, in tre bisbigliano: “Se mangiamo davvero tutte ‘ste cose a base di latte passiamo la serata sul gabinetto!”. Che occasione per accennare al corpo umano, alle intolleranze e alla fermentazione. Quante scoperte partendo dal latte…
Tecnica
Abbiamo utilizzato differenti metodi per colorare il cartellone: tempera, acquerelli, pastelli a cera, pennarelli e matite colorate. Polverina ricavata dalle mine, gesso e scaglie di cera. Abbiamo sperimentato le ombre ( rese pressoché invisibili dal plaid) con polvere di lapis. (I vari piatti, con ricetta sul retro, sono da sistemare sul cartellone: giocate con noi!).
Baciare il pane
Una notte in Afghanistan in una panetteria mi è stato offerto un pezzo di pane. Mentre lo mangiavo un pezzettino, poco più di una briciola, mi è caduto per terra. Ho visto una bambina lanciarsi per prenderlo, baciarlo e restituirmelo. Era lo stesso gesto di mia nonna, che diceva che bisogna rispettare il pane e metterlo sempre nel verso giusto, mai girarlo con la pancia all’aria. D’altronde, a tavola tutto ha un senso liturgico, di condivisione. Sono molto importanti lo spazio, la gestualità, la parola, i silenzi, la gratitudine, la benedizione. C’è qualcosa di sacro e solenne nel nutrirsi, anche con poco, anche con un tozzo di pane.
Monika Bulaj (Polonia)
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