Abbiamo bisogno di contesti stimolanti che permettano relazioni significative e scoperte, che aprano possibilità che nessuna casa o nessun gioco online possono aprire. Abbiamo bisogno di spazi (parchi, boschi, cortili, strade pedonalizzate, centri socio-culturali…), tempi ampi, educatori ed educatrici (ma anche docenti, volontari, genitori); idee, per immaginare davvero la mappa di un’educazione diffusa. Si tratta di rompere distanze e aprire a possibilità impensate. Un contributo alla riflessione proposta da Rete di Cooperazione Educativa, redazione di Comune, Casa-laboratorio di Cenci e collettivo di filmmakers Zalab
Dopo quasi due mesi di emergenza coronavirus, alcune considerazioni genericamente educative possiamo trarle. E dobbiamo farci i conti.
- Sofferenze continue e diffuse. Chiusura e divieto di circolazione stanno generando sofferenze psicologiche e traumi sociali di cui ancora non conosciamo la dimensione e di cui dovremo farci carico. Il fatto che chiusura e divieti fossero “necessari” non cambia di una virgola quanto detto.
- Paura paura paura. Tra di noi circola un’unica emozione: la paura. Paura di nemici invisibili, paura di essere attaccati, paura di essere portatori, paura degli altri, paura dell’altro. Dovremo fare i conti anche con questa monocoltura emotiva durata già cinquanta giorni.
- Bambini e ragazzi che non esistono. Scomparsi (ancor più di prima) da ogni discorso pubblico, se ne è sentito parlare solo come veicolo di contagio. Mentre si cercano mille modi per mandare a lavorare i genitori, non si pensa nemmeno a come far tornare alla vita i ragazzi. Che messaggio abbiamo passato? Quale valore ha la vita di qualcuno per cui una soluzione non si può trovare? Dobbiamo ringraziare associazioni, educatori, docenti e genitori coraggiosi per aver prodotto un “controcanto” che ha ricordato l’esistenza loro e nostra, l’esistenza dei parchi e la ricchezza degli apprendimenti perduti da casa (leggi e firma l’appello Una scuola speciale per tutti/e, ndr).
- Distanziamento senza qualità. Il veleno immesso dentro ognuno di noi ha una natura generale e generica. Tutti infettano tutti, tutto è pericoloso per tutti allo stesso modo. Questa indifferenziazione preclude la profondità necessaria per organizzare la “nostra” fase 2: quando potremo tornare nei parchi e nei luoghi comuni e dovremo capire come sia possibile relazionarsi a turni o far correre i bambini senza diventare controllori permanenti.
- La responsabilità, dove sta? Cinquanta giorni di comunicazioni dall’alto al basso, di regole da applicare, di libertà da far scomparire. Le cacce all’uomo e all’untore hanno reso evidente questo messaggio: di te non ci fidiamo, su di voi non possiamo contare. Ma quando il governo diventerà consapevole che con il virus bisogna convivere, le possibilità di azione, relazione, crescita e libertà dipenderanno direttamente dalla responsabilità che accorderemo a ciascuno/a di noi, ai bambini e agli anziani, alle famiglie, alle comunità.
- Il momento dell’immaginazione. La fase eccezionale che stiamo vivendo apre alla possibilità di inventare opzioni nel presente e soprattutto pensare il futuro affinché non sia come il passato. Un futuro in cui l’aria aperta diventi spazio educativo salutare più delle chiuse stanze; in cui si ripensino le attività su piccoli numeri; in cui le scuole si aprano al territorio, per contaminarsi a vicenda.
Scaglie di futuro
I giorni che abbiamo davanti, diciamo da qui alla prima settimana di maggio e oltre, devono servire per mettere in moto l’immaginazione e vedere opportunità dove oggi ci sono rischi. Distanziamento sociale: questa è il nome-spauracchio per chi lavora nell’educazione ed è consapevole che soltanto la vicinanza sociale, fisica ed emotiva può costruire un contesto veramente ricco e significativo. Non esiste Didattica a distanza o gioco online: è nella relazione diretta con le persone e la natura che i bambini e gli adolescenti possono davvero fare-insieme, decidere-insieme, giocare-insieme, crescere-insieme. Allora, come può diventare un’opportunità, la fase che si apre?
LEGGI ANCHE Educazione all’aperto e diffusa Carlo Ridolfi, L’immaginario per cambiare Franco Lorenzoni, Una scuola speciale per tutte/i Francesca Lepori, Manifesto dell’educazione diffusa aa.vv., Semi di scuola diffusa Gianluca Carmosino
Chiariamo un punto: pensare scuole diverse, riaprire parchi e centri di aggregazione, favorire forme di socialità inedite non è necessario perché non sappiamo “dove mettere” i ragazzi ora che i loro genitori tornano al lavoro. O almeno, non è ciò che interessa adesso. Siamo educatori, i baby parking non possono interessarci seriamente.
La priorità è restituire ai dimenticati, i bambini e i ragazzi (come a ciascuno/a di noi), contesti stimolanti e ricchi, che permettano relazioni significative e scoperte, che aprano possibilità che nessuna casa o nessun gioco online possono aprire.
Come fare? Sappiamo che avremo bisogno di spazi (1), per questo i prossimi quattro-cinque mesi avremo bisogno di poter usare gli spazi più ampi possibili; spazi esterni come parchi, cortili, strade pedonalizzate, marciapiedi dignitosi e spazi interni come palestre, sale da ballo, centri socio-culturali e sale parrocchiali. Sappiamo che avremo bisogno di tempi ampi (2) perché sarà necessario modulare sull’intera giornata gli accessi alle aree aperte o chiuse. E parlare di temporalità significa mettere in gioco per forza anche le persone (3): serviranno educatori ed educatrici che coordino processi fatti su spazi e tempi larghi, ma anche docenti, volontari, attivisti, genitori che siano disponibili ad allargare il raggio d’azione, a ridurre il controllo e la “sorveglianza militare”, ad affiancare i piccoli nella fruizione degli ambienti. Soprattutto, avremo bisogno del coraggio di responsabilizzare tutti (4), grandi e piccoli, per comprendere non solo l’importanza dello stare distanti uno o due metri, ma soprattutto per dare un senso circoscritto e ragionevole a questa azione illogica per la vita: stare lontani. Illogica. A questo punto, dobbiamo mettere le idee (5) di un creativo e le capacità progettuali di un demiurgo per immaginare davvero la mappa di questa educazione diffusa, fatta di progetti e percorsi modulabili, che potranno vedere ragazzi/e e bambini/e coinvolti nei servizi per la comunità o in giochi in ampi spazi; potrebbero lavorare – ricostruendo scuole, inventando sentieri, rioccupando spazi abbandonati – o sperimentare arti marziali; persino, potremmo immaginare su spazi larghi e tempi differenziati una reintroduzione della didattica per piccole dosi, piegata alle necessità, con la messa a disposizione di docenti e personale che possa approfondire con chi vuole, favorire discussioni e al tempo stesso mettere in crisi il modello della lezione barbosa circoscritta e obbligata nelle quattro mura.
Ma qui siamo nel campo dell’immaginazione e del coraggio: sta a noi esserne ora i vettori, per aprire a possibilità impensate. Finanche una rivoluzione educativa.
Stefano Casulli è ricercatore e pedagogista del Centro Culturale Fonti San Lorenzo – Recanati (MC)
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