Anche quando il coprifuoco sarà stato tolto chi mai si precipiterà a comprare un’auto? Ben pochi. Chi un’auto ce l’ha, riprenderà a guidarla; ma chi non ce l’ha, o pensava di cambiarla, avrà perso il reddito necessario a pagarla (eccetto i ricchi e i ricchissimi) o avrà altre priorità. Sono lontani i tempi in cui l’ex sindaco di Milano Albertini dichiarava che il traffico è un bene perché è indice della vitalità di una città. Ma da allora le idee dei sindaci non sembrano cambiate. A quelli che hanno ripetuto fino all’ultimo “la nostra città non si ferma”, e che ora si ritrovano bloccati di fronte a una pandemia che li ha resi impotenti, spetta il compito di utilizzare questa pausa forzata per attrezzare territorio e cittadini a una mobilità diversa
Il mercato europeo dell’auto è crollato a febbraio e si è quasi azzerato a marzo, né si sa quando e se si riprenderà. Intanto, una dopo l’altra, le fabbriche del settore fermano l’attività, dopo aver costretto per oltre un mese gli operai a lavorare in condizioni di alto rischio per produrre auto e componenti senza mercato che intaseranno per mesi depositi, magazzini e bilanci.
Ma anche quando il coprifuoco sarà stato tolto chi mai si precipiterà a comprare un’auto? Ben pochi. Chi un’auto ce l’ha riprenderà a guidarla; ma chi non ce l’ha, o pensava di cambiarla, avrà perso il reddito necessario a pagarla (eccetto i ricchi e i ricchissimi) o avrà altre priorità.
E intanto ci sarà da smaltire l’invenduto. Dunque, è il momento per mettere a fuoco e prepararsi a un’altra idea di mobilità. L’emergenza covid19 ha sgomberato le strade e pulito l’aria, ma non ha certo interrotto l’avanzata della crisi climatica e ambientale.
L’auto è stata il principale emblema del XX secolo. Al suo esordio è stata espressione e strumento di libertà (permetteva di andare dove volevi, quando volevi e con chi volevi, senza la costrizione di tracciati, orari e compagni di viaggio obbligati);poco per volta, aveva permesso a tanti e promesso a tutti di trasformarli da fanti in cavalieri, da quelli che portano a quelli che si fanno portare.
Ma per usare un’auto bisognava possederla: di qui la motorizzazione di massa che ben presto si è rivelata prigione di ogni nostro spostamento ovunque manchi un servizio pubblico adeguato (cioè quasi sempre).
Oggi l’auto privata riassume in sé quasi tutti i principali tratti di uno stile di vita e di un’organizzazione produttiva e sociale insostenibili: promuove individualismo (ognuno nella suascatola di latta) e competizione (per superarsi, per conquistare un parcheggio, per esibire il proprio status); consuma in misura smodata materiali, energia, suolo, aria, salute, tempo e denaro; fa molto rumore, produce molta CO2 e inquina molto(non c’è da illudersi: l’80 per cento del particolato emesso dal traffico non esce dagli scappamenti ma è generato dall’attrito delle ruote sull’asfalto: l’auto elettrica non lo eliminerebbe).
Ma oggi si scopre che il particolato che il traffico concorre a produrre insieme al riscaldamento e alle fabbriche (dove ci sono) è, insieme agli ossidi di azoto, il principale vettore del coronavirus, che è tanto più attivo quanto maggiore è l’inquinamento dell’aria: per questo la Lombardia è diventata l’epicentro mondiale dell’infezione.
Di fronte ai danni che l’auto infligge alle nostre vite e al pianeta, i suoi apologeti si trincerano su un altro fronte: l’occupazione. Ma più che dei lavoratori, che sono pronti a mandare al macello, come mandano al macello senza protezioni adeguate medici e infermiere negli ospedali, a loro preme che la produzione non si fermi: in realtà pensano al Pil.
E’ vero che nessuna settore ha mai creato tanto lavoro come l’industria dell’auto, ma proprio per questo il suo inevitabileridimensio-namento pone il problema ineludibile di ricollocare i suoi addetti in attività più utili e di minore impatto, come le energie rinnovabili e l’efficienza energetica, l’ecoedilizia, la cura del territorio e delle persone, ecc.), ma soprattutto quellodella ridistribuzione del lavoro su una platea più ampia, concontestuale riduzione di orari e ritmi di lavoro. Problema che si ripropone in molti altri settori a partire da quello delle armi.
Oggi, comunque, il web permette di sostituire al possesso di un’auto il semplice accesso ad essa attraverso varie forme di condivisione (carsharing, carpooling, taxi collettivo, trasporto a domanda, distribuzione merci, intermodalità con il trasporto di linea). La mobilità fondata sulla condivisione è un modello che può essere esteso a molti altri beni da trasformare in altrettanti servizi (dal coworking alle case vacanza, dagli elettrodomestici ai macchinari, alle attrezzature e ai supporti per farle funzionare, e altro), facendone, se si saprà impedirne l’appropriazione da parte di un monopolio, dei “beni comuni”.
Contribuendo così a rendere più leggera la nostra presenza sulla Terra. Sono lontani i tempi in cui l’ex sindaco di Milano Albertini dichiarava che il traffico è un bene perché è indice della vitalità di una città. Ma da allora le idee dei sindaci non sembrano cambiate.
A quelli che hanno ripetuto fino all’ultimo “la nostra città non si ferma” e che ora si ritrovano bloccati di fronte a una pandemia che li ha resi impotenti spetta il compito di utilizzare questa pausa forzata per attrezzare territorio e cittadini a una mobilità diversa. Sull’auto come produzione e come prodotto di consumo si gioca buona parte della conversione ecologica.
sergio falcone dice
Sono esterrefatto. Trasecolo… Mi spiegate a che punto siamo arrivati? e perché?
“Se il vostro pensiero e il vostro agire sono diventati deboli e’ perché li avete nutriti male”, ma qui siamo andati ben oltre.
Che i reazionari di ogni risma e colore colgano l’occasione per le loro strumentalizzazioni nazionaliste e le loro sceneggiate dai balconi, non mi meraviglia affatto.
Mi meravigliano, invece, i compagni, gli alfieri del pensiero critico e la corporazione strapagata degli intellettuali. Tutti pronti a salire in cattedra e a darci dimostrazione del loro narcisismo.
Di imbecillità, in queste ore, ne ho sentite tante. Una su tutte: i vegani sarebbero immuni. Sic!
Non vedo ragionevolezza e non vedo umanità.
Doti quanto mai necessarie a chi, ancora oggi, voglia cambiare la vita e trasformare il mondo. Perché le loro lezioncine ultracolte, le loro discutibili teorie del complotto, il loro integralismo ideologico dimostrano e mostrano assoluta mancanza di cervello e di cuore.
Dov’e’ finito il libero pensare? Cosa sono più i sentimenti? Cos’è più la virtù?
Non abbiamo bisogno dei soliti professoroni, sempre gli stessi e sempre disposti a cambiare machiavellicamente posizione e interlocutori, a seconda delle loro convenienze private. Serve a poco indagare sulle cause del Covid-19, non serve a nulla scagliare accuse contro il potente di turno, a scelta, a seconda delle antipatie politiche.
Ci sono delle priorità. La gente muore, gli ospedali scoppiano.
Abbiamo bisogno di anime buone che si prodighino per gli altri, che si rimbocchino le maniche e che si diano da fare.
Ogni giorno, solo nel nostro paese, muoiono dalle 300 alle 400 persone. Ieri, 602.
L’ideologia e’ falsa coscienza e c’è chi l’ha dimenticato.
E tutto questo avviene nell’epoca del falso totale. Il buon Theodor W. Adorno aveva perfettamente ragione. Ci ha messo sull’avviso in epoca non sospetta, pochi l’hanno ascoltato.