Come tutti i movimenti anche Fridays for future ha limiti e contraddizioni. Ma forse si sottovaluta la consapevolezza di molti giovani, come Filippo, secondo il quale è difficile mettere in discussione il dominio del consumismo e non ha senso sprecare energie a fare la predica a chi scende in piazza. Che fare? “Muoviamoci, e facciamolo presto, passiamo all’azione, organizziamoci… – scrive Filippo – Combattiamo la nostra indolenza, le nostre contraddizioni, informiamoci e studiamo instancabilmente…”
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Il treno per Bologna arriva in stazione con dieci minuti di ritardo, ma questo non mi sorprende. Scendo al primo binario, vado verso l’uscita, mi guardo intorno e non ci vuole molto a capire che oggi in città si respira un’aria diversa. Le vie del centro alle nove sono già affollate di ragazzi. Mezz’ora dopo in Piazza San Francesco si accendono gli altoparlanti e inizia la marcia. Non si vede né l’inizio né la fine del corteo. Giovani, giovanissimi, bambini e qualche adulto scendono in piazza uniti; sul volto di tutti traspare quel misto di rabbia e speranza proprio di chi protesta e sogna rivoluzioni. È venerdì 27 settembre e per strada a manifestare ci sono proprio tutti: chi nelle vita ne ha fatte tante di lotte per un mondo un po’ più giusto, chi ogni giorno si impegna per l’ambiente, chi si occupa da sempre di politica, chi di politica non ne sa moltissimo, chi dell’ambiente non si cura troppo spesso e a volte la domenica finisce al centro commerciale, chi sa cos’è l’effetto serra, quante parti per milione di Co2 ci sono in atmosfera e cosa esattamente successe nell’età carbonifera e chi di scienze naturali non si è mai occupato. Tutti però col solito sacrosanto diritto di scendere in piazza, tutti accomunati da un solito amaro sentimento di paura, di rabbia e di rivalsa.
Per protestare infatti non occorrono lauree né riconoscimenti di merito ma occorre prima di tutto sentir dentro di sé che un diritto è violato, che un’ingiustizia è commessa, ognuno con il proprio grado di consapevolezza. Vedere le strade delle città europee stracolme di ragazzi impauriti, indignati, arrabbiati è stato sorprendente e commovente. È vero: non siamo ancora virtuosi come dovremmo e ancora indossiamo abiti firmati, qualche volta mangiamo ai fast food, prendiamo aerei e facciamo la spesa al supermercato, ma perbacco, siamo vivi! Siamo presenti! Qualcosa ci punge nel cuore, qualcosa ci turba e ci scuote come a dirci: “Corri in piazza, non perder più tempo! Fai la tua parte, cambia stile di vita, lotta con le tue contraddizioni”.
Credevo che il sistema dei consumi, quel bestiale totalitarismo che ci vessa da quasi un secolo, ci avesse annullato del tutto, credevo ci avesse svuotato definitivamente di idee e di iniziativa e invece quel venerdì, come dopo aver toccato un fondo umanamente insopportabile, abbiamo dato un segno di vita, abbiamo liberato un grido represso di rabbia e protesta.
La situazione é emergenziale: si parla di vivere o morire, si parla di prendersi finalmente una responsabilità pesante, verso noi stessi, verso chi verrà e verso la natura. E una mobilitazione che inviti a questo non poteva che arrivare dai più giovani, che più di tutti sono attaccati alla vita, che più di tutti sono pronti ad arrabbiarsi e a lottare e sono capaci di accorgersi dell’ipocrisia della propria cultura. La civiltà dei consumi ha tentato di tapparci la bocca, anzi di toglierci definitivamente la parola, ci ha riempito di agi e privilegi, ci ha coccolato con denaro e ferie pagate, ma tutto ciò a carissimo prezzo: pensiamo ai continenti affamati e sfruttati per produrre i nostri lussi, pensiamo a mari, foreste ed interi ecosistemi violentati per mantenere le nostre economie, pensiamo alle città sventrate, saccheggiate e saturate di fast food, supermercati e centri commerciali. Insomma la società ci ha arricchito per indolenzirci, e ora la rivolta è più dura che mai, ma bisogna a tutti i costi mettersi in discussione e resistere. Ora è facile gettare le armi ma sperare è diventata una questione di responsabilità.
A chi critica poi le manifestazioni e invita all’impegno concreto bisognerebbe dire che se è il bene di questo mondo e dell’Umanità che abbiamo a cuore non ha senso sprecare energie a fare la predica a chi scende in piazza e protesta. Chi venerdì 27 ha deciso di marciare dovrà chiaramente fare le scelte giuste giorno per giorno, ma ci sono dei momenti nei quali cui bisogna alzare la voce, farla sentire a tutti e far sapere alla storia da che parte abbiamo deciso di schierarci. Questo è uno di quelli e i soggetti primi sono proprio i giovani. Per altro non ha senso pretendere da un ragazzo la maturità di uno statista; le rivoluzioni richiedono un po’ di incoscienza…
Due giorni dopo la marcia ho visto la proiezione di un film sulla Resistenza nel territorio pistoiese nel 1944, Pistoia 1944, girato da un gruppo di ragazzi volontari che hanno cercato faticosamente negli anni i finanziamenti per compiere un’opera eccezionale di testimonianza, un atto culturale forte, eversivo, meraviglioso. Settant’anni fa qui in Italia a dei ragazzi di vent’anni fu imposta una scelta tragica e decisiva. I più coraggiosi scelsero la lotta al fascismo per la libertà. Oggi a noi ventenni si ripropone di nuovo una scelta simile: piegarsi o resistere. Piegarsi al corso delle cose, rimanere in silenzio e conservare i nostri privilegi, o resistere al consumismo e a tutte le sue degenerazioni, rifiutare il progresso per il progresso e avere il coraggio di fare qualche passo “indietro”.
Che sia per dignità, per orgoglio o per istinto di sopravvivenza muoviamoci, e facciamolo presto, passiamo all’azione, organizziamoci, cerchiamo in ogni modo di non farci ingannare dal sistema, inganniamolo noi con i libri e la protesta, combattiamo la nostra indolenza, le nostre contraddizioni, la nostra ipocrisia, ritroviamo compattezza, rompiamo le righe, informiamoci e studiamo instancabilmente: c’è bisogno di coraggio, di cultura, di irriverenza e di unità. Ora tocca a noi scegliere, ci auguro di farlo con coscienza.
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